Seguici su

Analisi e studiEconomia

Keynes, Hayek e l’Unione Europea: l’errore teorico di un’architettura economica fondata sul vincolo di Antonio Maria Rinaldi*

L’errore fatale dell’UE: né Keynes né Hayek, solo burocrazia. L’analisi di Antonio Maria Rinaldi svela come l’architettura economica europea abbia tradito sia la stabilità keynesiana che la libertà di mercato, creando una gabbia di regole procicliche che soffocano la crescita.

Pubblicato

il

L’assetto economico-istituzionale dell’Unione Europea non costituisce l’esito coerente di una scuola di pensiero riconoscibile, ma il risultato di una stratificazione normativa che ha progressivamente trasformato ipotesi teoriche controverse in vincoli giuridici permanenti. Tale processo, lungi dal garantire stabilità macroeconomica, ha prodotto un sistema intrinsecamente fragile, scarsamente adattivo agli shock e strutturalmente ostile alla crescita. Il confronto tra il pensiero di John Maynard Keynes, la Scuola Austriaca nella formulazione di Friedrich A. Hayek e il modello europeo consente di individuare con chiarezza le radici teoriche di questo fallimento.

L’impostazione keynesiana muove da una critica radicale all’idea che il mercato sia in grado di autoregolarsi in presenza di incertezza sistemica. Keynes respinge l’assunto di razionalità piena degli agenti e riconosce che le decisioni di investimento sono guidate da aspettative instabili, convenzioni sociali e stati d’animo collettivi. In tale contesto, la moneta non è neutrale, il tempo economico non è reversibile e l’equilibrio di pieno impiego non rappresenta un attrattore naturale del sistema. Da ciò discende la necessità di un intervento pubblico attivo, non episodico ma strutturale, fondato sull’uso coordinato della politica fiscale e monetaria, possibile solo in presenza di una piena sovranità statale.

La Scuola Austriaca, nella declinazione hayekiana, si colloca su un piano epistemologico opposto. Il mercato è concepito come un ordine spontaneo, capace di coordinare conoscenze disperse attraverso il sistema dei prezzi. Tuttavia, questa costruzione teorica, per quanto formalmente suggestiva, poggia su una forte idealizzazione dei meccanismi di mercato. Hayek assume che i prezzi riflettano informazioni non distorte, trascurando il fatto che essi incorporano rapporti di potere, asimmetrie informative e strutture oligopolistiche. La sua critica all’intervento pubblico non si limita alla contingenza della politica economica, ma investe la possibilità stessa di una razionalità collettiva, sfociando in una diffidenza strutturale verso la democrazia economica.

Il modello dell’Unione Europea rappresenta una declinazione incompleta e distorta di questa impostazione. Esso assume come dogmi l’indipendenza della banca centrale, la neutralità della moneta nel lungo periodo e la superiorità delle regole sulla discrezionalità, ma ignora le condizioni istituzionali e concorrenziali necessarie affinché un ordine di mercato possa effettivamente funzionare. L’Unione non realizza un mercato concorrenziale in senso hayekiano, bensì un sistema iper-regolato, nel quale la norma sostituisce il processo e il vincolo giuridico prende il posto dell’aggiustamento economico.

Al tempo stesso, l’architettura europea rigetta esplicitamente il paradigma keynesiano, negando agli Stati membri la possibilità di utilizzare la politica fiscale come strumento di stabilizzazione macroeconomica. I vari aggiornamenti del Patto di Stabilità e Crescita hanno trasformato grandezze economiche endogene, quali deficit e debito pubblico, in parametri normativi rigidi, astratti dal ciclo economico e sottratti alla valutazione discrezionale. In tal modo, l’Unione Europea ha istituzionalizzato una politica sistematicamente prociclica, aggravando le fasi recessive, comprimendo la domanda aggregata e ritardando la ripresa.

In questo quadro, la critica a Hayek diviene imprescindibile. L’idea che una disciplina imposta dall’esterno possa sostituire il coordinamento politico interno ignora la dimensione storica, sociale e istituzionale dell’economia. La rigidità delle regole europee non ha generato ordine spontaneo, ma disordine sistemico, accentuando le divergenze tra i Paesi membri e cristallizzando squilibri strutturali. La pretesa hayekiana di depoliticizzare l’economia si è tradotta, nell’Unione Europea, in una tecnocrazia priva di legittimazione democratica, nella quale le decisioni fondamentali sono sottratte al controllo politico senza essere affidate a un autentico meccanismo di mercato.

In conclusione, il modello economico dell’Unione Europea appare come l’esito di un errore teorico profondo: aver confuso la regola con la razionalità, il vincolo con la stabilità, la disciplina con l’efficienza. Esso ha respinto Keynes senza comprenderne la lezione sull’instabilità intrinseca dei mercati e ha invocato Hayek senza accettarne le condizioni di coerenza teorica. Il risultato è un sistema che non stabilizza, non cresce e non converge, ma perpetua le proprie contraddizioni sotto la forma giuridica dell’irreversibilità.

* ex membro della Commissione ECON del Parlamento europeo

Domande e risposte

Perché si afferma che il modello UE è strutturalmente ostile alla crescita? Il modello europeo si fonda su regole rigide che limitano la capacità degli Stati di intervenire nell’economia. Trasformando parametri come deficit e debito in vincoli legali fissi, l’UE impedisce l’uso della politica fiscale per stimolare la domanda durante le crisi. Questo approccio rende le politiche economiche “procicliche”: impongono austerità proprio quando servirebbero investimenti, aggravando le recessioni e rallentando la ripresa, contrariamente a quanto suggerirebbe una logica orientata allo sviluppo e al pieno impiego.

In che modo l’UE ha distorto il pensiero di Hayek? Sebbene l’UE adotti alcuni principi cari ai liberali, come l’indipendenza della Banca Centrale, tradisce il concetto hayekiano di “ordine spontaneo”. Invece di lasciar fare al mercato, l’Europa ha costruito un sistema iper-regolato e burocratizzato. In questo contesto, non è il meccanismo dei prezzi a guidare l’economia, ma una serie di vincoli giuridici imposti dall’alto. Si è creata così una tecnocrazia che sostituisce le decisioni del mercato con norme amministrative, negando la libertà di adattamento che è alla base della teoria austriaca.

Cosa manca all’Europa della lezione di Keynes? L’architettura europea ignora l’assunto fondamentale di Keynes: i mercati non si autoregolano perfettamente, specialmente in condizioni di incertezza. L’UE ha rimosso gli strumenti di stabilizzazione macroeconomica (politica monetaria e fiscale discrezionale) che Keynes riteneva indispensabili per contrastare l’instabilità degli investimenti e degli “animal spirits”. Senza una sovranità che permetta di agire sulla domanda aggregata, il sistema non ha difese contro gli shock asimmetrici e non tende naturalmente al pieno impiego.

Google News Rimani aggiornato seguendoci su Google News!
SEGUICI
E tu cosa ne pensi?

You must be logged in to post a comment Login

Lascia un commento