Attualità
Jobs act e controllo dei lavoratori: quali sono i limiti?
Sta facendo molto discutere la norma contenuta nell’ultimo decreto attuativo approvato in sede preliminare dal Consiglio dei Ministri ed inviato alle apposite Commissioni parlamentari – quello sulla razionalizzazione e semplificazione di procedure e adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni sul rapporto di lavoro – che disporrebbe la possibilità di controllo dell’utilizzo degli strumenti messi a disposizione dell’azienda, quali PC, tablet o smartphone, oltre che il controllo degli spostamenti del lavoratore attraverso il badge aziendale, senza che sia necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione del Ministero.
I sindacati, per una volta uniti, hanno contestato questa previsione, definendola “colpo di mano” la Segretaria nazionale della CGIL, Serena Sorrentino, norma che “non va bene e deve essere cambiata“, secondo la leader della CISL, Maria Furlan, e per la quale, afferma il Segretario confederale della UIL, Guglielmo Loy, “agiremo nelle sedi opportune per chiedere il cambiamento“.
La previsione contenuta nel decreto legislativo, secondo la relazione, è la seguente:
gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In mancanza di accordo possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze
le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
Il secondo comma, quello evidenziato in corsivo, è il punto controverso: ma che portata ha e soprattutto quali sono i limiti a questo controllo?
Bisogna partire da una recentissima sentenza della Cassazione del 25 maggio scorso, la quale ha stabilito il precedente della liceità del licenziamento del lavoratore sorpreso a conversare su Facebook in orario di lavoro e che già nei giorni precedenti si era assentato per circa 15 minuti per una telefonata personale che gli aveva impedito di intervenire tempestivamente su una pressa bloccata da una lamiera che così era rimasta incastrata nell’impianto.
La Cassazione ha non solo dichiarato legittimo il licenziamento, ma ha dichiarato lecito il modo con cui la violazione è stata riscontrata, ovvero la creazione di un finto profilo Facebook femminile da parte del responsabile delle risorse umane, autorizzato dalla Direzione, con cui era stata richiesta l’amicizia al dipendente e con il quale questi si era intrattenuto in chat durante l’orario di lavoro.
Secondo la Corte “il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo che non ha avuto ad oggetto l’attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento, ma l’eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente” e “il controllo difensivo era dunque destinato ad riscontare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti. Si è trattato di un controllo ex post, sollecitato dagli episodi occorsi nei giorni precedenti, e cioè dal riscontro della violazione da parte del dipendente della disposizione aziendale che vieta l’uso del telefono cellulare e lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di servizio.“.
Questa decisione sembra quindi avallare la possibilità di controllo solo a fini “difensivi” del datore di lavoro dell’attività del lavoratore, pertanto renderebbe lecita anche la previsione del decreto legislativo in esame, nei limiti stabiliti dalla Cassazione e dal Garante della Privacy che ha già dettato le regole di liceità del controllo della posta elettronica del dipendente, affermando che i datori di lavoro pubblici e privati non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali.
Sulla questione è intervenuto ieri il Ministero del Lavoro che in una nota ha voluto smentire che il provvedimento all’esame delle Commissioni autorizzi il controllo del lavoratore ma “adegua la normativa contenuta nell’art.4 dello Statuto dei lavoratori – risalente al 1970 – alle innovazioni tecnologiche nel frattempo intervenute“. “Gli strumenti di controllo a distanza, dai quali derivi anche la possibilità di controllo dei lavoratori” – ha ribadito il Ministero del Lavoro – “possono essere installati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale; ed esclusivamente previo accordo sindacale o, in assenza, previa autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro o del Ministero“.
Sembrerebbe quindi scongiurato il pericolo di trovarsi nella situazione di Myma Arias, ex dipendente della azienda californiana Intermex, la quale è stata licenziata per aver disistallato dal proprio cellulare un app che controllava i suoi spostamenti e che serve alla gestione dei flussi di lavoro, coordinando il personale rimasto in ufficio con quello fuori sede. Il problema è che questa app non si spegneva e monitorava i suoi movimenti anche dopo l’orario di ufficio, con un’evidente lesione della sua privacy. Della questione se ne sta occupando la Corte Superiore della California.
Speriamo che la nostra Cassazione non debba fare altrettanto…
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