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Irving Fisher: il grande economista che si rovinò con una previsione economica

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Irving Fisher è l’esempio di un economista anche bravo, che si arrischia nel fare delle previsioni  sui mercati reali rovinando la prorpia fama. Eppure è considerato, soprattutto dai monetaristi, uno dei padri fondantori dello studio dell’economia americana, lodato sia da Tobin sia da Freidman.

Irving Fisher è nato il 27 febbraio 1867 a Saugerties, New York, negli Stati Uniti. Sin da giovane dimostrò una spiccata intelligenza e una passione per gli studi. Si laureò all’Università di Yale nel 1888, dove studiò matematica e teoria economica. La sua tesi di laurea, intitolata “Mathematical Investigations in the Theory of Value and Prices,” sottolinea fin da subito il suo approccio unico all’economia, basato sulla rigorosa applicazione della matematica alle questioni economiche.

Fisher divenne rapidamente una figura prominente nel mondo accademico. Nel 1892 fu nominato professore di economia politica all’Università di Yale, dove avrebbe insegnato per gran parte della sua carriera. La sua influenza iniziò a crescere e nel 1918 divenne il primo presidente dell’American Economic Association.

Ma il contributo più noto di Fisher all’economia fu probabilmente la sua teoria dell’inflazione la cosiddetta “Teoria quantitativa della moneta”, di cui vi parleremo fra poco. . Nel 1911, pubblicò “The Purchasing Power of Money,” un libro che introdusse l'”Equazione di Fisher”; ritenuta la base della teoria monetarista.

Pochi giorni prima del crollo della Borsa di Wall Street, affermò che “le azioni sono salite a un nuovo plateau permanente”. Anche di questo parleremo in seguito.

Nel corso della sua carriera, Fisher sviluppò anche il concetto di “indice dei prezzi al consumo” (CPI), un’importante misura dell’inflazione ancora utilizzata oggi per valutare le variazioni dei prezzi dei beni e dei servizi nel tempo. Il CPI è uno strumento cruciale per gli analisti finanziari come te, poiché fornisce una panoramica chiara delle tendenze dell’inflazione, che a sua volta può avere un impatto significativo sulle decisioni di investimento.

Dal punto di vista personale, Irving Fisher affrontò anche sfide significative. In gioventù fu ammalato di tubercolosi, come il padre e per tre anni dovette curarsi in sanatorio. Era un salutista estremo, contrario al fumo, all’alcol,  e fu anche a favore anche del proibizionismo, e non mangiare carne. Figlio della sua epoca fu favorevole a pratiche chirugiche e mediche estreme nel tentativo di curare la moglie, schizofrenica.  Insomma era un rompiscatole che si fidava dei medici. Visse fino a 80 anni, undici meno di Wisnton Churchill che beveva, fumava e mangiava carne…

La teoria quantitativa della moneta, l’inflazione e il rendimento reale

La teoria del capitale e dell’interesse di Fisher si basa su due principi fondamentali: il principio di impazienza e il principio di opportunità. Il principio di impazienza afferma che le persone preferiscono consumare oggi piuttosto che domani, a meno che non ci sia un incentivo a rinviare il consumo. Questo incentivo è il tasso di interesse, che rappresenta il premio che le persone ricevono per prestare il loro denaro o il costo che devono pagare per prendere in prestito il denaro. L’interesse è il prezzo del tempo.

Il principio di opportunità afferma che le persone allocano il loro capitale tra i diversi usi possibili in base al rendimento atteso di ciascuno. Il rendimento atteso dipende dal tasso di interesse e dal rischio associato a ciascun investimento.

Secondo Fisher, il capitale è la somma dei beni presenti che possono produrre un flusso di reddito futuro. Il capitale può essere suddiviso in due categorie: beni di consumo e beni di investimento. I beni di consumo sono quelli che soddisfano direttamente i bisogni o i desideri delle persone, come il cibo, l’abbigliamento, l’intrattenimento, ecc. I beni di investimento sono quelli che servono a produrre altri beni, come le macchine, le fabbriche, le terre, ecc. Fisher sostiene che il valore del capitale dipende dal valore attuale dei redditi futuri che esso genera. Il valore attuale è il valore presente di una somma futura scontata al tasso di interesse.

Fisher ha anche introdotto il concetto di tasso di interesse reale, che è il tasso di interesse nominale corretto per l’inflazione. L’inflazione è la variazione percentuale del livello generale dei prezzi nel tempo. Il tasso di interesse reale misura il guadagno o la perdita effettiva del potere d’acquisto del denaro prestato o preso in prestito. Fisher ha formulato la seguente relazione tra il tasso di interesse nominale (i), il tasso di interesse reale (r) e il tasso di inflazione (p):

i = r + p

Questa formula è nota come equazione di Fisher ed è alla base dell’analisi della politica monetaria.

La teoria del capitale e dell’interesse di Fisher ha avuto un grande impatto sulla scienza economica e sulla pratica economica. Fisher ha fornito una spiegazione razionale del comportamento degli agenti economici e ha contribuito a chiarire il ruolo del denaro, dell’inflazione e del credito nell’economia. Fisher ha anche anticipato alcune delle idee della macroeconomia moderna, come la funzione di consumo, la preferenza per la liquidità e la neutralità della moneta nel lungo periodo.

Un’altra equazione fondamentale per comprendere il pensiero di Fisher, contenuta nel suo “The purchasing Power of Money” è la seguente

 MV = PQ

L’equazione MV = PQ rappresenta una semplice ma potente espressione della relazione tra la quantità di denaro in circolazione (M), la sua velocità di circolazione (V), il livello generale dei prezzi (P) e la quantità di beni e servizi scambiati nell’economia (Q).

Innanzitutto, consideriamo il lato sinistro dell’equazione: M*V. Questo rappresenta il valore monetario totale delle transazioni nell’economia. M rappresenta la quantità di denaro in circolazione, ovvero la liquidità disponibile in un dato momento. V rappresenta la velocità con cui questo denaro cambia mano attraverso le transazioni. Ad esempio, se le persone spendono il denaro più velocemente, V sarà alto. Invece, se tengono il denaro nei conti bancari e non lo spendono, V sarà basso.

Ora, passiamo al lato destro dell’equazione: P*Q. Qui, P rappresenta il livello generale dei prezzi, ovvero quanto costa una “basket” rappresentativa di beni e servizi nell’economia. Q rappresenta la quantità di beni e servizi prodotti e scambiati nell’economia.

La teoria quantitativa della moneta sostiene che l’equazione deve essere in equilibrio. In altre parole, il valore delle transazioni (MV) deve essere uguale al valore dei beni e servizi scambiati (PQ). Ciò implica che ci deve essere un rapporto proporzionale tra la quantità di denaro in circolazione e il livello generale dei prezzi e la quantità di beni e servizi prodotti.

Una delle implicazioni più importanti di questa teoria è che un aumento della quantità di denaro in circolazione (M) dovrebbe, in teoria, portare a un aumento dei prezzi (P), a condizione che la velocità di circolazione del denaro (V) e la produzione di beni e servizi (Q) rimangano costanti. Questo è noto come l’effetto monetario, che suggerisce che l’inflazione è causata principalmente da un eccesso di denaro rispetto all’offerta di beni e servizi nell’economia.

Il problema è che, empiricamente, quest’equazione non si è sempre verificata, oppure semplicemente si è sempre sottovalutata l’importanza del valore V, la velocità di circolazione della moneta. Se la moneta emessa non viene spesa, ma viene tesaurizzata o distrutta in bolle speculative, allora non ci sarà nessun effetto sul lato PQ, quindi sul prezzo.

Per fare un esempio pratico, gli anni del QE europeo, quello successivo al “Whatever it takes” di Draghi, ha visto un boom nella quantità di moneta, ma un valore dell’inflazione non responsivo. Semplicemente la moneta in eccesso è stata tesaurizzata, facendo crolla V, o è finita in speculazioni puramente finanziare con minima ricaduta nell’economia, praticamente scomparendo.

Irving Fisher riconobbe che la sua equazione era grezza, ma questo non ha impedito a molti economisti di gridare all’infazione ogni volta che si sia aumentata la quantita di moneta. .

La sfortuna di Fisher: la crisi del 1929

Quando l’estate del 1929 volgeva al termine, il celebre economista dsi espresse sulle pagine del New York Times a proposito di Wall Street, il mercato stata vivendo unc erto nervosismo che, comunque, non faceva presagire una crisi imminente. I prezzi delle azioni erano saliti per tutto l’anno; gli investitori avevano speculato con denaro preso in prestito, partendo dal presupposto che i bei tempi sarebbero continuati. Si trattava del mercato toro di tutti i tempi e coloro che avevano scommesso volevano essere rassicurati sul fatto che i loro soldi fossero al sicuro.

Fisher gliela fornì un alibi per proseguire nelle loro speculazioni, prevedendo con sicurezza: “I mercati azionari hanno raggiunto quello che sembra un alto livello permanente”. Quel giorno, mancavano meno di due mesi al crollo di Wall Street dell’ottobre 1929. Fu il peggior ribasso azionario della storia.

La crisi scoppiò giovedì 24 ottobre, quando il mercato scese dell’11%. Il giovedì nero fu seguito da un calo del 13% il lunedì nero e da un ulteriore crollo del 12% il martedì nero. All’inizio di novembre Fisher era rovinato e il mercato azionario era in una spirale discendente che avrebbe toccato il fondo solo nel giugno 1932, quando le società quotate alla borsa di New York avevano perso il 90% del loro valore e il mondo era completamente cambiato.

Al Grande Crollo seguì la Grande Depressione, la più grande battuta d’arresto dell’economia globale dagli albori dell’era industriale moderna, a metà del XVIII secolo. Entro tre anni dalla sconsiderata previsione di Fisher, un quarto della popolazione attiva americana era disoccupata e disperata. Come disse l’economista JK Galbraith: “Alcune persone erano affamate nel 1930 e nel 1931 e nel 1932. Altri erano torturati dalla paura di poter soffrire la fame”.

Eppure qualcuno aveva capito che il mercato non poteva crescere in eterno, Jospeph Kennedy, il padre del futuro presidente John F. Kennedy (e nonno dell’attuale candidato Robert F. Kennedy Junior..) dismise tutto il suo portafoglio e si tenne liquido proprio prima del crollo, per poi rientrare nei mesi successivi, su  beni il cui valore era crollato, realizzado un utile di 10 volte il capitale investito.

Gli viene attribuita, a proposito, una famosa frase:

“Quando il tuo lustrascarpe ha dei consigli di borsa, allora il mercato azionario è troppo popolare per andare bene”.

Irving Fisher ne fu personalmente colpito e la sua fama ne fu duramente macchiata.

 


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