Attualità
Intervista di AD a De Grauwe (London School of Economics) “l’Euro non e’ irreversibile”
Pubblichiamo l’intervista di Alessandro Bianchi dell’AntiDiplomatico a Paul De Grauwe, Professore di Politica economica alla London School of Economics. Ha ricoperto importanti incarichi all’interno del FMI e della Bce. Autore di Economia dell’Unione Monetaria
– In un suo studio recente, Design Failures in the Eurozone: Can they be fixed?, ha dimostrato come l’Unione monetaria europea non sia riuscita ad uniformare le cosiddette dinamiche di espansione e arresto – “boom and busts” – anzi la sua presenza ha di fatto amplificato gli effetti negativi per i singoli paesi membri. Ci può spiegare meglio le ragioni?
Ripeto spesso come la zona euro, al momento della sua creazione, appariva come una bella villa in cui tutti gli europei volevano entrare. Ma era una villa che non aveva un tetto. Quindi, fino a quando il tempo è stato buono, abbiamo continuato a voler restare tutti al suo interno, ma ora che il tempo è pessimo cresce la voglia di scappare.In quello studio, in particolare, prendevo a riferimento uno dei fallimenti di progettazione, riguardante le dinamiche endogene interne all’Unione delle espansioni – “boom” – ed arresti – “busts” – dimostrando come la partecipazione alla zona euro abbia reso gli Stati “nudi” dalle vecchie protezioni ed in balia di effetti molto più ampi dei normali cicli tipici di tutti i sistemi capitalistici.Nella zona euro le politiche monetarie sono centralizzate, ma il resto delle misure macroeconomiche rimangono nelle mani dei governi nazionali, producendo dinamiche peculiari e senza costrizioni per l’esistenza di una moneta unica. Come risultato, la dinamica dei “booms and bust” non può convergere a livello della zona euro, ma, al contrario, l’esistenza di un’unione monetaria ne amplifica l’ampiezza a livello nazionale, perché il tasso d’interesse è uguale per tutti i paesi membri. Ed è un tasso troppo basso per i paesi che registrano l’espansione e troppo alto per i paesi in recessione: quando Spagna, Irlanda e Grecia hanno incominciato a registrare alti tassi di crescita, anche l’inflazione ha chiaramente seguito il passo. Tuttavia, restando lo stesso il tasso d’interesse nominale deciso dalla Bce, il tasso d’interesse reale era, per quei paesi, eccessivamente basso, aggravando l’arresto e le conseguenze dell’esplosione della bolla creditizia alimentata dall’afflusso dei capitali dal nord Europa. L’opposto è accaduto per i paesi con bassa crescita o in recessione. L’Unione monetaria ed un solo tasso d’interesse, quindi, amplificano questi effetti distorsivi per le economie nazionali.
Dobbiamo essere molto precisi a proposito e differenziare la situazione americana da quella europea. Negli anni’30, gli errori erano stati commessi sia dalle autorità governative che hanno applicato politiche di austerità in una fase depressiva in cui era necessario dare stimolo alla domanda interna; ed anche da quelle monetarie, che hanno frenato l’accesso al credito all’economia reale, producendo un drammatico circolo vizioso deflattivo. Oggi, abbiamo governi che nella fase recessiva o di ripresa stagnante hanno deciso di commettere lo stesso errore con politiche di austerità, ma la Fed, ben conscia degli insegnamenti della Grande Depressione, negli Stati Uniti ha agito con misure straordinarie, efficaci nel ridare ossigeno all’economia e porre un freno a quegli stessi rischi di deflazione.Al contrario, la Banca centrale europea continua a non rifornire l’economia del credito necessario. La Bce dovrebbe intervenire pesantemente per comprare i titoli governativi a rischio e gli asset tossici in mano alle banche per alleviare la situazione deflattiva ormai presente nei paesi del sud. Ma non lo sta facendo e quindi si, per l’Europa, possiamo affermare che tutte le autorità, governative e monetarie, stanno commettendo gli stessi errori che sono stati fatti negli anni ’30.
Anche io me lo domando spesso e non riesco proprio a comprendere come, ancora oggi, la voce degli “austerici” continui ad essere così forte nel dibattito. Individuo due ragioni principali che penso possano aiutare a costruire una risposta: da un lato c’è l’idea molto radicata in un gran numero di persone che tutto ciò che è collegabile all’azione di governo sia cattivo per definizione, in particolar modo per quel che riguarda il debito: nessun paese, secondo questa visione, dovrebbe averne uno e tutti dovrebbero impegnarsi ad eliminarlo il prima possibile. Per chi conosce e studia l’economia si tratta chiaramente di un’impostazione molto stravagante, ma è l’opinione di un numero ampio di politici, dalle cui scelte dipendono la vita di milioni di cittadini.In secondo luogo, vi è l’atteggiamento delle nazioni creditrici, in particolare nell’Europa settentrionale, che hanno chiarito che rivogliono indietro i loro soldi dalle banche dei paesi dell’Europa meridionale, dove hanno massicciamente investito, nel minor tempo possibile. Questi paesi, la Germania in primis, hanno il potere politico dalla loro, hanno imposto il modello economico dell’austerità e si stanno battendo per la loro prosecuzione.
Penso che la decisione del programma OMT dello scorso anno – con cui la Bce si è impegnata all’acquisto dei titoli obbligazionari a rischio e si è di fatto trasformata in prestatore di ultima istanza – sia stata corretta, perché ha eliminato la paura esistente nei mercati ed ha impedito il collasso dell’euro, allora possibile. L’OMT ha aiutato a ricreare la stabilità nei mercati, che avevano iniziato a scommettere pesantemente sul fallimento di alcuni paesi dell’area euro ed ha permesso di abbassare lo spread, anche in Italia. Una buona scelta, ma, il semplice annuncio del programma è un risultato non sufficiente, considerando soprattutto anche la serie di vincoli non necessari imposti al suo interno, con i beneficiari che vengono obbligati ad un impegno all’austerità. Questi paesi stanno già applicando tagli deleteri e la Bce dovrebbe intervenire nei mercati senza alcuna condizione, proprio per compensare le misure fiscali restrittive imposte dalla Germania.La Bce dovrebbe applicare certamente misure straordinarie come l’acquisto incondizionato dei titoli del debito pubblico a rischio e degli asset tossici in mano alle banche per alleviare la situazione della crisi. Se non ora quando. La decisione del Governatore della Banca centrale della Svezia, al contrario, di alzare i tassi d’interesse per prevenire immaginifiche spirali inflattive è un non senso economico in un periodo a rischio deflattivo per l’Europa, ma purtroppo rappresenta un punta di vista molto forte anche nel board della Bce.
Le possibilità di intervento esistono, ma il tempo si sta assottigliando e dobbiamo smettere questo inutile esercizio di moralità. Le responsabilità per il disastro attuale sono esattamente le stesse: per ogni debitore in difficoltà, infatti, c’è dietro un creditore imprudente.
Se ci pensiamo bene, non è così difficile far cambiare atteggiamento a Berlino. Basterebbe che i paesi dell’Europa meridionale con l’Irlanda, quindi la maggioranza nelle votazioni nei vari consessi decisionali, formassero un’alleanza politica e dicessero chiaramente che non sono in grado di proseguire con queste misure di politica economica. Dovrebbero poi chiarire che non sono disposti a seguire più il Diktat del Nord Europa. Hanno i voti per rendere efficaci le loro indicazioni ed urgenze. Si può fermare l’austerità oggi stesso ed isolare la Germania, ma solo se tutti questi paesi decidono di agire insieme ed in modo coordinato. Fino ad ora però questo non è accaduto.
Non è una risposta facile perché l’Italia è un caso particolare all’interno della zona euro: a differenza della Spagna e dell’Irlanda, ad esempio, non ha registrato un boom dal lato del credito, ma è entrata in crisi nel momento in cui è crollata la fiducia dei mercati sul suo alto debito pubblico. Di fronte ad una Germania ed agli altri paesi del nord che impediscono politiche monetarie e fiscali espansive in grado di rilanciare le prospettive di crescita del paese, l’Italia dovrebbe in primis cercare un’alleanza con i paesi dell’Europa meridionale, ma, da subito, deve chiarire che non è più disposta a proseguire con l’austerità e non può accettare di entrare in deflazione.Al contrario, il tema dominante resta quello delle riforme strutturali. Può essere un aspetto vero, ma bisogna sempre ricordarsi come le riforme strutturali possono aumentare la produttività di un paese e quindi influire positivamente sulla crescita solo nel lungo periodo. Al contrario, non aiutano in nessun modo a risolvere i problemi drammatici che l’Italia deve affrontare nel breve periodo, in particolare il crescente tasso di disoccupazione.
Non è mai facile parlare del futuro e fare previsioni. Ogni cosa è certamente sempre possibile ed anche la fine della zona euro è uno scenario da tenere sempre in considerazione. La mia opinione personale è che oggi non siano alte le probabilità di un collasso della zona euro, ma è assolutamente imprudente dire che la moneta unica sia irreversibile. Tutti i scenari devono essere considerati e studiati per essere poi pronti alle conseguenze. Il maggiore rischio oggi per la sopravvivenza della zona euro è lo smantellamento del Welfare – figlio dell’austerità e della spirale deflattiva – che produrrà proteste sociali sempre maggiori in grado di destabilizzare politicamente un numero crescente di paesi.Mentre la Bce con il programma Omt, agendo come prestatore di ultima istanza, ha ridotto la possibilità di un’implosione finanziaria della moneta unica, questo rischio è stato sostituto da uno nuovo: un’implosione politica. Senza un cambiamento di rotta immediato e deciso in grado di dare una risposta concreta soprattutto al livello insostenibile di disoccupazione, le possibilità di una dissoluzione potrebbero aumentare rapidamente.
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