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Intel: L’abbraccio (mortale?) con lo Stato e quel “Make Intel Great Again” che non convince Nvidia
Intel: lo Stato entra nel capitale e il titolo vola, ma il rifiuto di Nvidia sulla tecnologia 18A gela l’entusiasmo. Ecco cosa rischiano ora gli azionisti.

La vicenda recente di Intel rappresenta un caso di scuola di politica industriale, o forse, di come la politica possa salvare la finanza mentre l’industria annaspa ancora. Tutto è iniziato in un caldo agosto, quando Donald Trump, con la consueta diplomazia che lo contraddistingue, ha attaccato pubblicamente il CEO di Intel, Lip-Bu Tan. “Il CEO di Intel è in pieno conflitto di interessi e deve dimettersi immediatamente”, tuonava il Presidente.
Invece di fare le valigie, Tan ha fatto ciò che ogni buon manager pragmatico farebbe: ha cercato la sponda politica. Intel ha organizzato in fretta e furia un incontro alla Casa Bianca, trasformando una crisi potenziale in un punto di svolta — almeno apparente — per il gigante dei chip, che si trovava sull’orlo del baratro finanziario.
L’accordo: Lo Stato diventa padrone
L’incontro nello Studio Ovale, durato una quarantina di minuti alla presenza dei Segretari al Commercio e al Tesoro, ha sancito un passaggio storico. Tan ha accettato una proposta che molti definirebbero di “nazionalizzazione morbida”: il governo degli Stati Uniti ha iniettato liquidità in cambio di azioni.
Ecco i dettagli dell’operazione che ha trasformato la struttura proprietaria di Intel:
Iniezione di liquidità: 5,7 miliardi di dollari in contanti tramite il CHIPS Act.
Assetto azionario: Il governo USA è diventato il maggiore azionista di Intel.
Status percepito: Il mercato ha subito etichettato l’azienda come “Too strategic to fail” (Troppo strategica per fallire).
Tan ha poi promesso di “Make Intel Great Again”, uno slogan che Howard Lutnick, Segretario al Commercio, ha prontamente rilanciato sui social come “The Art of the Deal: Intel”. Una mossa di marketing politico perfetta. VI erano tutte le premesse per un quasi perfetto rilancio dell’azienda produttrice di chip.
L’illusione ottica dei mercati
L’effetto sui listini è stato immediato e drogato dall’entusiasmo. Da quando Tan ha preso le redini, ma soprattutto dopo l’accordo con l’amministrazione Trump, il titolo Intel ha guadagnato circa l’80%, stracciando le performance del mercato allargato.
L’ingresso dello Stato ha agito come un sigillo di garanzia, attirando investimenti pesanti:
5 miliardi di dollari da Nvidia.
2 miliardi di dollari da SoftBank.
Una ristrutturazione interna lacrime e sangue, con il taglio del 15% della forza lavoro per snellire la burocrazia aziendale.
Tutto bene, quindi? Non proprio. C’è un vecchio detto nei mercati: compra sulle voci, vendi sulla notizia. O in questo caso, vendi sulla realtà tecnica.
La doccia fredda della realtà industriale
Mentre la finanza festeggiava l’ingresso dello Stato, l’ingegneria — che è il vero cuore pulsante di un’azienda di semiconduttori — mandava segnali preoccupanti. Nonostante l’afflusso di denaro e le strette di mano politiche, i problemi strutturali della manifattura Intel rimangono irrisolti.
Il Dipartimento del Commercio, per voce di alcuni funzionari citati da Reuters, ha chiarito un punto fondamentale: Intel non è “troppo strategica per fallire”. Se lavora male, può benissimo fallire.
Il Segretario Lutnick parla con tutti gli attori del settore, non privilegia Intel a prescindere. Anzi, non si escludono future diluizioni del capitale a tutto vantaggio dei contribuenti (e a danno dei vecchi azionisti), qualora servissero altri fondi.
Ma la notizia peggiore arriva dal fronte tecnico:
Il rifiuto di Nvidia: Dopo aver testato la tecnologia di produzione 18A di Intel (il processo produttivo di punta su cui si basava il rilancio), Nvidia ha scelto di non procedere. Nessun impegno a produrre i propri chip nelle fonderie Intel.
La reazione del CEO: Tan ha dovuto ammettere che la partnership ha un raggio d’azione limitato, parlando vagamente di “collaborazioni”.
Conclusioni: La fine della luna di miele?
Il titolo INTC ha reagito a queste notizie con un calo del 4%, scendendo di quasi il 20% dai massimi recenti. Ecco il relativo grafico:
Il rischio è che, svanita l’euforia per l’abbraccio con Trump, il mercato torni a guardare i fondamentali: un’azienda che ha liquidità grazie allo Stato, ma che fatica a convincere i clienti più importanti sulla qualità del suo prodotto.
L’allineamento tattico con il governo USA ha comprato tempo, ma non ha risolto il gap tecnologico. E come sanno bene gli investitori, la politica può fornire i capitali, ma non può stampare i microchip funzionanti. Se Intel vuol veramente
Domande e risposte
Perché le azioni di Intel sono salite così tanto se l’azienda ha problemi? Il rialzo è stato guidato principalmente dalla percezione di sicurezza. L’ingresso del governo USA come maggiore azionista ha creato l’idea che l’azienda fosse “troppo strategica per fallire”, garantendo implicitamente la sua sopravvivenza. Questo “scudo statale” ha attirato capitali speculativi e investimenti da partner come SoftBank, che scommettono sulla stabilità politica dell’azienda piuttosto che sulla sua immediata eccellenza tecnica. Tuttavia, come dimostra il recente calo, i fondamentali industriali alla fine tornano a prevalere sull’ottimismo politico.
Cosa significa che Nvidia ha rifiutato la tecnologia 18A? Significa che il processo produttivo più avanzato di Intel, chiamato 18A, non ha soddisfatto gli standard di Nvidia durante i test. Nvidia è leader indiscusso nei chip per l’intelligenza artificiale e il fatto che non si sia impegnata a usare le fabbriche di Intel per produrre i suoi processori è un segnale d’allarme molto grave. Indica che, nonostante i soldi pubblici, Intel non ha ancora colmato il divario tecnologico con i concorrenti taiwanesi di TSMC, rendendo difficile il suo piano di diventare una fonderia per conto terzi.
Qual è il rischio per i piccoli azionisti con lo Stato dentro? Il rischio principale è la diluizione. I funzionari governativi hanno lasciato intendere che potrebbero esserci ulteriori operazioni che avvantaggiano i contribuenti (cioè lo Stato) a discapito degli azionisti esistenti. Inoltre, la gestione dell’azienda potrebbe diventare più “politica” e meno orientata al profitto puro o all’efficienza, dovendo rispondere a logiche di sicurezza nazionale. Se i risultati industriali non arrivano, il valore delle azioni potrebbe tornare ai livelli pre-accordo, intorno ai 20 dollari, una volta svanito l’effetto novità.








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