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Economia

Industria 4.0, Industria 5.0 e Italia: dove siamo e dove possiamo andare (di Antonio Maria Rinaldi)

Non basta più la fabbrica digitale: la vera sfida per le PMI italiane è unire automazione e risparmio energetico. Ecco come cambiano gli incentivi e perché il fattore umano torna centrale per non perdere competitività.

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Dalla “fabbrica intelligente” alla “fabbrica umana”: questo, in estrema sintesi, è il passaggio che sta ridisegnando la manifattura. L’Industria 4.0 nasce per digitalizzare i processi produttivi e collegare macchine, persone e dati in tempo reale. Il suo cuore è l’integrazione tra Internet of Things (sensori e dispositivi connessi), sistemi cyber-fisici, cloud e analisi dei dati, con l’obiettivo di ridurre fermi impianto, difetti e sprechi. In una linea 4.0 il macchinario “parla” al gestionale, invia informazioni su prestazioni e consumi, e rende possibile la manutenzione predittiva: si interviene prima che il guasto si manifesti. Il gemello digitale consente di simulare modifiche di processo prima di fermare la produzione; la tracciabilità digitale aiuta qualità e compliance; l’interconnessione apre la strada a logiche “just-in-time” più robuste.

Negli ultimi anni, però, la sola efficienza non basta più. Crisi energetiche, instabilità delle supply chain, tensioni geopolitiche, carenza di competenze e nuove aspettative sociali hanno portato a una domanda diversa: produrre sì, ma in modo sostenibile, resiliente e rispettoso delle persone. Qui si innesta l’Industria 5.0, che la Commissione europea presenta come una visione in cui l’industria mira anche a obiettivi sociali, diventa più sostenibile e mette il benessere del lavoratore al centro del processo produttivo.

Cosa cambia, concretamente? Se la 4.0 ha introdotto automazione e connettività, la 5.0 sposta il baricentro verso la collaborazione uomo-macchina e l’impatto ambientale. Parliamo di cobot che affiancano l’operatore nelle fasi ripetitive, ergonomia e sicurezza “by design”, interfacce intuitive e formazione continua. L’intelligenza artificiale non è solo una leva di produttività: diventa strumento per supportare decisioni, ridurre errori, migliorare la qualità del lavoro e governare i rischi (privacy, bias, cybersecurity). In parallelo, la sostenibilità non è un capitolo a parte: entra nei requisiti di progetto. Significa monitorare e ottimizzare i consumi energetici in tempo reale, ridurre scarti, recuperare calore e materiali, ripensare il prodotto in ottica di circolarità e rendere trasparenti le emissioni lungo la filiera.

E l’Italia? Il Paese ha spinto l’adozione del paradigma 4.0 soprattutto tramite incentivi fiscali agli investimenti in beni strumentali e sistemi interconnessi. Nel 2025 resta centrale il credito d’imposta per beni materiali 4.0, con procedure di comunicazione tramite piattaforma e regole temporali definite per gli investimenti agevolabili.  Questo ha aiutato molte imprese, ma ha anche evidenziato due criticità: la distanza tra grandi gruppi e PMI (spesso frenate da capitale, competenze e burocrazia) e la tendenza a “comprare tecnologia” senza un vero ridisegno dei processi e della gestione del dato.

Sul fronte 5.0, l’Italia ha scelto di legare esplicitamente trasformazione digitale ed efficienza energetica. Il Piano Transizione 5.0 prevede un credito d’imposta per nuovi investimenti nel biennio 2024-2025 in strutture produttive sul territorio nazionale, orientando le scelte verso progetti che migliorano le prestazioni energetiche; l’operatività passa anche attraverso piattaforma e procedure con il supporto del GSE.  Il messaggio è chiaro: la competitività industriale, oggi, si gioca anche sul costo dell’energia, sulla capacità di autoprodurla o usarla meglio, e sulla misurabilità dei risultati.

Le prospettive future dipendono da tre scelte. Primo: portare la trasformazione dentro i processi, non limitarla all’hardware. Senza governance dei dati, integrazione tra IT e OT, cybersecurity e indicatori chiari, anche il miglior impianto resta sottoutilizzato. Secondo: investire sulle persone. Industria 5.0 significa competenze ibride (meccanica + software + energia), nuovi ruoli (data analyst di fabbrica, manutentore 4.0, energy manager) e un’organizzazione che valorizzi il contributo degli operatori, perché l’innovazione non sia subita ma praticata. Terzo: scegliere filiere e casi d’uso ad alto impatto, dove l’Italia è forte: meccanica, automotive, food, moda, farmaceutica, impiantistica. Qui digitalizzazione, qualità e sostenibilità possono diventare un’unica proposta di valore.

Se queste condizioni si realizzano, l’Italia può giocare una partita importante: trasformare il suo “saper fare” manifatturiero in un vantaggio a prova di futuro, dove produttività e qualità vanno di pari passo con decarbonizzazione e centralità del lavoro. La sfida non è scegliere tra 4.0 e 5.0, ma usarle insieme: dati e automazione per essere efficienti; energia e persone per essere sostenibili e resilienti.

Un ultimo punto riguarda il mercato: clienti e istituzioni chiedono più tracciabilità e dati ambientali. Monitoraggio continuo, analisi predittiva e certificazione digitale di prodotto spingeranno modelli “servitizzati” (manutenzione come servizio, pay-per-use) e fabbriche capaci di riconfigurarsi rapidamente senza perdere qualità.

Domande e risposte

Qual è la differenza principale tra Industria 4.0 e 5.0 per un imprenditore? La differenza sostanziale risiede nell’obiettivo finale. L’Industria 4.0 si concentra sull’interconnessione e sulla digitalizzazione per massimizzare l’efficienza produttiva (macchine che parlano con macchine). L’Industria 5.0 non annulla la precedente, ma la evolve mettendo al centro la sostenibilità energetica e il fattore umano. Per un imprenditore, passare alla 5.0 significa non solo automatizzare, ma utilizzare la tecnologia per ridurre i consumi energetici e migliorare la collaborazione tra uomo e macchina, rendendo l’azienda più resistente a shock esterni come le crisi energetiche.

Gli incentivi fiscali attuali sono sufficienti per questa transizione? Gli incentivi, come il credito d’imposta per la Transizione 5.0, sono strumenti finanziari fondamentali per abbattere il costo dell’investimento iniziale, specialmente in un paese con costi energetici alti come l’Italia. Tuttavia, l’incentivo da solo non basta se manca una strategia aziendale. Come evidenziato nel testo, molti hanno comprato tecnologia solo per lo sconto fiscale senza cambiare i processi. I fondi funzionano solo se accompagnati da una riduzione della burocrazia per l’accesso (vedi ruolo GSE) e da investimenti paralleli nelle competenze del personale.

L’intelligenza artificiale e i robot toglieranno lavoro nelle fabbriche italiane? La visione dell’Industria 5.0 suggerisce il contrario: si parla di “cobot” (robot collaborativi) progettati per affiancare l’operatore, non per sostituirlo. L’obiettivo è eliminare le mansioni ripetitive, logoranti o pericolose, permettendo al lavoratore di concentrarsi su attività a maggior valore aggiunto come il controllo qualità, la gestione dei dati e la risoluzione di problemi complessi. Più che una perdita di posti di lavoro, si assisterà a una trasformazione dei ruoli che richiederà nuove competenze ibride (meccanica più digitale).

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