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Indice di liquidità in Serie A: cos’è, come funziona e perché sta per sparire

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Stadio di calcio (© Depositphotos)
Stadio di calcio (© Depositphotos)

Nel calcio italiano, quando si parla di “mercato bloccato” o di difficoltà operative per registrare nuovi tesseramenti, spesso il riferimento (esplicito o implicito) è stato l’indice di liquidità: un parametro contabile che, negli ultimi anni, ha inciso in modo concreto sulla libertà di manovra di molti club. E oggi, proprio mentre l’attuale edizione del campionato vive il suo equilibrio fragile tra ambizioni sportive, ricavi e sostenibilità, con le Quote serie A aggiornate che non riescono ancora a individuare una potenziale favorita per la vittoria finale visto il grande equilibrio sportivo attuale,  la FIGC ha scelto di cambiare modello: l’indice di liquidità è destinato a essere superato da indicatori ritenuti più “moderni” e più vicini agli standard UEFA.

Che cos’è l’indice di liquidità (in parole semplici)

L’indice di liquidità, così come definito dalle norme federali, è un rapporto tra Attività Correnti (AC) e Passività Correnti (PC). In sostanza, misura se un club, nel breve periodo, ha risorse “pronte” (cassa e crediti esigibili a breve) sufficienti a coprire i debiti in scadenza entro l’anno. La formula è:

Indice di liquidità = Attività correnti / Passività correnti

Secondo la disciplina FIGC, tra le attività correnti rientrano, ad esempio, disponibilità liquide e crediti esigibili entro 12 mesi; tra le passività correnti, invece, i debiti che scadono entro 12 mesi (verso banche, fornitori, fisco, enti previdenziali, ecc.). L’indicatore viene calcolato sulla base di bilancio d’esercizio, relazione semestrale e situazioni patrimoniali intermedie approvate.

Detto ancora più terra-terra: non sta chiedendo “sei un club ricco o povero?”, ma “sei in grado di pagare ciò che ti scade a breve con ciò che hai (o incassi a breve)?”—quindi mette il faro sulla cassa e sul timing finanziario.

Perché l’indice ha contato così tanto: l’effetto sul mercato

Il punto non è solo teorico. Negli anni l’indice è stato usato come un “cancello”: se scendi sotto una certa soglia, puoi trovarti con limitazioni nelle operazioni di tesseramento (il famoso “blocco del mercato” o, in alcune configurazioni, un blocco parziale o condizionato). È per questo che il tema torna ciclicamente ogni sessione trasferimenti: non riguarda solo i bilanci “a fine anno”, ma anche l’operatività immediata di un club.

I limiti strutturali dell’indice: perché è stato contestato

Negli anni l’indice di liquidità ha raccolto critiche trasversali, e non sempre da chi “spende troppo”. Il motivo è semplice: essendo un indicatore di breve periodo, può penalizzare anche club che hanno patrimonio, valore della rosa o ricavi prospettici, ma che in un certo momento presentano uno sbilanciamento tra incassi e pagamenti (ad esempio per rate, anticipazioni, scadenze concentrate, contenziosi, ecc.).

In più, il tema è diventato anche giuridico-istituzionale: in passato ci sono stati passaggi di scontro tra Lega Serie A e FIGC sul peso dell’indice nelle procedure di ammissione e licenza, con interventi del sistema di giustizia sportiva che hanno ridimensionato l’uso dell’indice come requisito decisivo per l’iscrizione.

Queste frizioni hanno contribuito a una consapevolezza: controllare la solvibilità di breve è utile, ma non basta per misurare la sostenibilità di un club calcio, dove la voce dominante non è un debito bancario “classico”, bensì il costo complessivo della rosa (ingaggi più ammortamenti).

Perché verrà abolito: il cambio di filosofia della FIGC

La ragione principale del superamento dell’indice di liquidità è un cambio di paradigma: dalla gestione finanziaria (cassa, incassi e pagamenti) alla gestione economica (ricavi e costi, con focus sui costi sportivi).

Negli ultimi mesi la FIGC ha chiarito che il sistema delle Licenze Nazionali e dei controlli evolverà secondo un principio di sostenibilità economico-finanziaria definito nel Piano Strategico del Calcio Italiano, e che per il meccanismo di blocco legato al mercato il perno diventerà l’indicatore del Costo del Lavoro Allargato (CLA).

Che cos’è il Costo del Lavoro Allargato e cosa cambia davvero

Il CLA è un rapporto tra costo del lavoro “allargato” e ricavi: dentro non ci sono solo gli stipendi, ma anche componenti chiave come gli ammortamenti legati ai calciatori (cioè il “costo contabile” del cartellino spalmato negli anni). In pratica, misura quanto la squadra “pesa” rispetto a quanto il club genera.

La FIGC ha indicato un percorso con soglie e progressiva stretta: a partire dalla finestra estiva successiva, il valore-soglia per la Serie A viene abbassato (da 0,8 a 0,7), con una logica dichiarata di disciplina e prevenzione. Nello stesso impianto è stato annunciato anche un correttivo a favore dei vivai: per incentivare l’investimento sui giovani, alcuni costi legati agli Under 23 selezionabili per le Nazionali possono essere esclusi dal numeratore del calcolo.

Il “perché” in una frase

L’indice di liquidità viene superato perché è considerato un termometro troppo legato alla cassa nel brevissimo, mentre la FIGC vuole un indicatore che spinga i club a tenere sotto controllo il costo strutturale della rosa e ad avvicinarsi alla logica dei parametri UEFA, dove la sostenibilità passa sempre più da regole sui costi della squadra rispetto ai ricavi.

Cosa aspettarsi per i club (e per i tifosi)

Per i tifosi, la differenza si vedrà soprattutto nel modo in cui si parlerà di “mercato”: meno discussioni sulla liquidità intesa come fotografia di cassa e più attenzione a concetti come rapporto costi/ricavi, massa salariale, ammortamenti e capacità del club di finanziare il progetto sportivo con entrate ricorrenti.

Per i club, invece, il messaggio è netto: non basterà “sistemare i flussi” a ridosso delle scadenze. Diventerà sempre più centrale costruire un modello in cui la rosa—cioè il cuore del prodotto Serie A—sia coerente con i ricavi reali e sostenibili.

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