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India vs Cina: Delhi arresta manager cinese con l’accusa di esportazione illegale di capitali

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L’agenzia indiana per i crimini finanziari ha arrestato un dirigente cinese del produttore di smartphone Vivo, ha affermato l’azienda.

I funzionari indiani non hanno ancora commentato, ma Vivo ha affermato che “eserciterà tutte le opzioni legali disponibili” per conto del suo dipendente, Andrew Kuang.

L’anno scorso le autorità hanno fatto irruzione nell’ufficio della società Vivo, accusandolo di rimesse illegali dall’India alla Cina.

Secondo i dati del settore, questo è il secondo marchio di smartphone più grande in India, dopo Samsung. Vivo ha negato qualsiasi addebito e ha affermato di essere conforme alla legge indiana.

L’arresto avviene sulla scia di una spaccatura sempre più ampia tra India e Cina che dal lato politico si sta spostando a quello economico.

La settimana scorsa, avevamo riferito che la polizia indiana aveva formalmente accusato Vivo di aver aiutato a trasferire illegalmente fondi a NewsClick, un portale di notizie che è sotto inchiesta con l’accusa di diffondere propaganda cinese.

L’arresto di martedì è avvenuto ai sensi della legge sulla prevenzione del riciclaggio di denaro (PMLA). Si tratta di “una legge molto severa e consente l’avvio di procedimenti penali, a differenza delle normali violazioni dei cambi che sono per lo più considerate reati civili”, secondo Atul Pandey, Senior Partner dello studio legale Khaitan.

Vivo è stato anche accusato di evasione doganale da parte delle forze dell’ordine. L’azienda è di proprietà della cinese BBK Electronics, che gestisce anche marchi come Oppo e Realme in India.

Negli ultimi 18 mesi, le autorità indiane hanno preso di mira anche altre società cinesi di telefonia mobile come Xiaomi, congelando beni per 670 milioni di dollari.

All’inizio di quest’anno, il ministro indiano per l’elettronica e l’informatica Rajeev Chandrashekhar ha dichiarato al parlamento che le aziende cinesi avevano evaso le tasse per un importo di 1,1 miliardi di dollari. Ha detto che il governo è riuscito a recuperare solo il 18% circa di tale importo.

Parlando alla BBC in condizione di anonimato, un consulente legale senior che rappresenta diverse aziende cinesi in India ha affermato che la repressione inizialmente aveva lo scopo di esercitare pressioni sul governo cinese all’indomani di uno scontro mortale al confine nel 2020 che uccise 24 soldati. L’India aveva quindi risposto vietando centinaia di app cinesi, tra cui TikTok.

Ma le indagini successive hanno portato importanti aziende cinesi come Xaomi e Oppo India ad essere accusate di crimini finanziari. Entrambe le aziende hanno negato le accuse.

La questione sta quindi sta crescendo e rende ancora più amari i rapporti fra le due superpotenze asiatiche che stanno diventando sempre più contrapposto, condizionando con il loro peso i rapporti di forza mondiali. 

 


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