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Economia

In Odio a Trump la Commissione Europea si piegherà a un umiliante viaggio a Pechino a Luglio

La Von der Leyen si recherà a Pechino a Luglio, con una grande concessione diplomatica che mostra l’isolamento della UE da un lato e la sua sottomissione alla Cina dall’altro

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L’annuncio che i leader UE, il Presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa e la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, si recheranno a Pechino per un summit con Xi Jinping – per la seconda volta consecutiva nella capitale cinese – solleva interrogativi profondi sulla postura strategica dell’Europa e sulla sua apparente vulnerabilità, oltre che alla propria disponibilità a umiliarsi nei confronti dei cinesi, ormai evidentemente indispensabili per Bruxelles, come riporta il SCMP.

Il contesto è cruciale. La relazione tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti sotto l’attuale presidenza Trump è descritta come “effettivamente collassata”. L’imposizione di dazi sui beni europei e, soprattutto, il drammatico voltafaccia sulla guerra in Ucraina, con Trump percepito ormai più vicino alla Russia invasore che all’alleato storico europeo, hanno lasciato Bruxelles in uno stato di profondo disagio e isolamento strategico. L’incapacità ri rapportarsi con Trump sta portando a una inaspettata, e francamente incredibile, apertura verso la Cina.

È in questa cornice che si inserisce la pianificazione del summit UE-Cina a Pechino. La consuetudine diplomatica vorrebbe una rotazione delle sedi, e dopo il vertice del 2023 in Cina, sarebbe stato logico aspettarsi Xi Jinping a Bruxelles. Invece, di fronte alla riluttanza del leader cinese a viaggiare in Europa (nonostante una prevista visita a Mosca al fianco di Vladimir Putin il prevista per il prossimo maggio), sono i leader europei ad accettare di recarsi nuovamente in Cina. Una decisione che, vista dall’esterno, appare come un cedimento significativo, quasi un atto di deferenza imposto dalle circostanze.

Questa dinamica ricorda inquietantemente i tempi della Cina Imperiale, quando gli stati considerati satelliti o tributari inviavano delegazioni nella capitale per rendere omaggio e negoziare, riconoscendo implicitamente la superiorità del centro. Che l’UE, un blocco economico e politico che aspira a essere un attore globale di primo piano, si trovi a dover “inseguire” il leader cinese per la seconda volta consecutiva, accettando le sue condizioni sulla sede, rischia di proiettare un’immagine di debolezza e subordinazione. È come se la paura dell’instabilità transatlantica costringesse l’Europa a cercare un ancoraggio a Pechino, anche a costo di compromettere la propria immagine di parità diplomatica.

I segnali di questo riavvicinamento, forse dettato più dalla necessità che dalla convinzione, si moltiplicano. Ursula von der Leyen, considerata fino a poco tempo fa tra i “falchi” europei verso Pechino, ha recentemente adottato un tono più conciliante.

La sua recente conversazione con il Premier cinese Li Qiang, focalizzata sul monitoraggio degli effetti negativi dei dazi globali di Trump e sulla preoccupazione per un possibile dirottamento di merci cinesi a basso costo verso l’Europa, ha evitato, secondo i resoconti, temi spinosi come i diritti umani – un’omissione notevole rispetto al passato. Quindi il problema degli Uiguri dello Xinjiang, fino a ieri al centro delle discussioni, viene messo in secondo piano, di fronte alle convenienze politiche di Bruxelles. 

Anche i negoziati avviati tra il responsabile commerciale UE Maros Sefcovic e il Ministro del Commercio cinese Wang Wentao sui veicoli elettrici, pur nascendo da tensioni (i dazi UE sulle EV cinesi), indicano una volontà di dialogo pragmatico per evitare un’escalation dannosa per entrambe le parti, ora sotto pressione da Washington. Che arrivino pure le auto elettriche cinesi e chiudano le fabbriche europee. Tutto, pur di fare un dispetto a Trump, anche far fallire le proprie aziende.  

Auto cinese BYD

La riluttanza cinese a concedere il vertice a Bruxelles, insistendo prima sul livello del Premier Li e poi rifiutando il viaggio di Xi (pur andando in Russia), è stata superata solo dalla determinazione europea a incontrare il massimo leader cinese, Xi Jinping, accettandone di fatto le condizioni in modo umiliante. L’UE ha sottolineato il precedente dei summit passati con Xi e l’importanza del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche nel 2025, ma alla fine ha prevalso la necessità di un confronto diretto al massimo livello, ovunque esso si tenga.

Questa “processione” verso Pechino non riguarda solo i vertici UE: anche altri leader nazionali, come lo spagnolo Pedro Sanchez (alla sua terza visita in due anni) e il francese Emmanuel Macron, hanno in programma viaggi in Cina.

Sembra delinearsi una tendenza in cui l’Europa, spaventata dalla prospettiva di un secondo mandato di Trump e dalle sue imprevedibili conseguenze economiche e geopolitiche, veda nella Cina un interlocutore indispensabile, forse l’unico in grado di offrire una qualche forma di contrappeso o stabilità, anche a costo di apparire come un partner che deve recarsi a corte.

Però nessuno ricorda che la Cina è anche il maggior partner della Russia, la vera mano che aiuta Putin, il tutto in un sistema di relazioni internazionali contradditorie, confuse, in cui, pur di far dispetto a un personaggio scomodo, ci si mette nelle mani di governi che commercialmente sono nostri concorrenti e hanno aiutato a demolire l’industria europea.  Tra l’altro qualcuno spiegherà a Bruxelles che la UE ha un surplus commerciale con gli USA, ottimi clienti, e un deficit con Pechino?


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