Negli ultimi giorni ho ricevute molte istanze da parte di imprenditori che mi hanno chiesto in che modo potrebbero difendere la liquidità delle rispettive imprese dalle nuove regole del bail in. Con questo post cercherò di dare alcune risposte ( le più immediate) e le soluzioni proposte riguardano anche i singoli risparmiatori.
Nella gestione di un’impresa può capitare che vi siano saldi attivi di conto corrente anche per importi importanti. Solo a titolo di esempio non esaustivo, si pensi al ciclo finanziario di quelle imprese particolarmente virtuose nelle quali, magari, anche per la tipologia di attività svolta, i flussi di cassa restituiscono sistematicamente saldi positivi di conto corrente, anche per importi considerevoli. Si pensi, inoltre, a tutte quelle imprese che producono utili senza essere distribuiti ai soci e senza essere investiti in piani di sviluppo aziendale. Con le nuove regole sui salvataggi bancari si pone il problema di evitare che queste sostanze possano essere coinvolte nei salvataggi bancari.
La prima regola da osservare è che questa liquidità in eccesso dovrebbe essere trasferita a favore di banche sicure. In Italia, contrariamente a ciò che sostengono alcuni “commentatori” (che cercano di fare affari sulla paura delle persone), posso assicurarvi che, banche sicure, ne esistono e sono banche la cui possibilità di dissesto è fattore di rischio assai remoto.
Ma se ciò non dovesse convincere, esiste sempre la soluzione di affidare la liquidità in eccesso ad una banca (ritenuta sicura) residente all’estero, in un paese più sicuro dell’Italia, sapendo che, comunque, la soluzione estera, se l’impresa (o il risparmiatore) ha residenza in Italia, non esclude altri fattori di rischio, come ad esempio un’eventuale imposta patrimoniale, in quanto trattasi di attività che devono essere dichiarate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
Se proprio non volete abbandonare la banca (non si capisce il motivo) per la quale state nutrendo dei dubbi sulla sua solidità (magari a ragione) esiste un’altra possibilità, che è quella di investire la liquidità in eccesso, magari a favore di qualche attività che sfugga alle nuove regole sulla risoluzione delle banche in crisi, in vigore dallo scorso primo gennaio.
Inoltre, siccome le regole sono fatte per essere modificate, la stessa Banca d’Italia precisa che:
Le passività non espressamente escluse possono essere sottoposte a bail-in. Tuttavia, in circostanze eccezionali, quando l’applicazione dello strumento comporti, ad esempio, un rischio per la stabilità finanziaria o comprometta la continuità di funzioni essenziali, le autorità possono discrezionalmente escludere ulteriori passività; tali esclusioni sono soggette a limiti e condizioni e devono essere approvate dalla Commissione europea. Le perdite non assorbite dai creditori esclusi in via discrezionale possono essere trasferite al fondo di risoluzione (cfr. infra) che può intervenire nella misura massima del 5 per cento del totale del passivo, a condizione che sia stato applicato un bail-in minimo pari all’8 per cento delle passività totali.
Da ciò se ne deduce che, ad esempio, i dossier titoli che ospitano investimenti di carattere finanziario (obbligazioni, azioni ecc) sono esclusi dalle regole dal bail in.
Ecco che, pur non cambiando banca (anche se si suggerisce di cambiarla), le attività liquide giacenti sui conti correnti delle imprese possono sfuggire alle regole del bail-in semplicemente investendole. E’ ovvio che non dovrebbero essere investite in strumenti riconducibili alla banca della quale se ne dubita la solidità. Inoltre, visto il contesto particolarmente articolato di cui abbiamo detto QUI, dovrebbe essere mantenuto un profilo prudente e fortemente diversificato in modo da ridurre quanto più possibile i rischi.
Ad esempio un portafoglio di fondi comuni prudenti potrebbe essere la soluzione ideale. In questo modo, non solo il patrimonio del fondo (e quindi il vostro investimento) è separato dalla banca della quale ci si ostina a rimanere clienti (nonostante i dubbi sull’eventuale dissesto), ma è ulteriormente separato dalla società di gestione (SGR) che lo gestisce.
Questo sistema, tuttavia, presuppone che la liquidità sia in qualche modo immobilizzata nell’investimento, anche se è possibile ottenere il disinvestimento del fondo comune in tempi solleciti (al massimo 15 giorni). Ciò comporta che dovrebbe essere investita solo la liquidità ritenuta in eccesso, ossia non necessaria allo svolgimento dell’attività di impresa.
E per la liquidità necessaria all’attività, che si fa? che soluzione potrebbe esserci?
Fermo restando che il suggerimento rimane sempre quello di cambiare banca, se proprio non ve la sentite o se vi sta così simpatico il direttore, il suggerimento è quello di privarvi completamente della liquidità, azzerando il conto corrente, e investire anche queste somme negli strumenti di cui abbiamo detto sopra. Ma è ovvio che l’impresa non potrebbe sopravvivere, in assenza di liquidità. Ecco quindi che l’impresa dovrebbe farsi affidare dalla banca (scoperto di conto), magari ponendo a garanzia il portafoglio di fondi comuni (o parte di essi) sottoscritti, in modo da ottenere condizioni di maggior favore per via di un minor rischio sopportato dalla banca per la linea di credito che vi è stata concessa.
E’ ovvio che, in questo caso, stiamo parlando di soluzioni abbastanza estreme, che comunque dovrebbero essere valute anche in relazione agli interessi passivi della linea di credito ottenuta, e alla deducibilità degli stessi dal reddito d’impresa, sapendo che nel caso delle società di capitali questi possono essere dedotti nei limiti del 30% del reddito operativo lordo.
Ad ogni buon conto, proprio per soddisfare le esigenze di quelle imprese che intendono ricorrere a queste soluzioni, ho predisposto un sevizio dedicato di estrema flessibilità, con elevatissimi standard di prudenza, idoneo a soddisfare le esigenze più complesse e articolate.
Coloro che sono interessati a valutarne la possibilità, possono contattarmi via email all’[email protected] indicando nome, cognome e recapito telefonico.
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