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Imprese. E’ possibile invocare lo stato di forza maggiore al fine di evitare il fallimento? Alcune riflessioni di Lisa Taddei

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In piena emergenza Covid sono state sospese le dichiarazioni di fallimento sino a data da destinarsi; alcuni studiosi hanno individuato l’uovo di Colombo in una sentenza del 1986 (Cass. Civ. n. 6856 del 21/11/1986), ossia la possibilità di non fallire a causa dello stato di forza maggiore.

Orbene, analizzando la suddetta sentenza è emerso che né la Cassazione né il tribunale – in sede di opposizione allo stato passivo – hanno utilizzato il concetto di forza maggiore.

La sentenza del giudice di legittimità ha riguardato un imprenditore individuale che ha rivestito altresì la qualità di socio di un’altra impresa, quest’ultima dichiarata fallita; la curatela ha erroneamente apposto i sigilli per circa una mese anche all’azienda in proprio, creandole uno stato di insolvenza anche solo transitoria.

Già il giudice delegato, analizzando i crediti ammissibili allo stato passivo dell’impresa individuale ha comunque ritenuto che lo stato di insolvenza ai sensi dell’art. 5 della legge fallimentare sia applicabile, poiché l’imprenditore non è stato in grado di far fronte alle proprie obbligazioni nonostante alcuni crediti contestati (non è indicato nella sentenza di Cassazione se siano stati in precedenza oggetto di opposizione allo stato passivo).

L’apposizione per errore dei sigilli alla impresa non è stata sufficiente per ottenere uno “scudo” dal fallimento pur trattandosi di un’attività, quella della vendita di generi alimentari, che di certo avrebbe ripreso appieno dopo un breve periodo di sospensione.

La sentenza, raffrontata all’attuale emergenza Covid, porta a riflettere innanzitutto sulla figura dello stato di forza maggiore, figura squisitamente civilistica in materia di responsabilità da inadempimento e da illecito aquiliano.

Se è vero, come sostiene autorevole dottrina, che si può considerare il diritto fallimentare una branca autonoma, sono tuttavia evidenti le sinergie sussistenti con il diritto civile, commerciale e diritto processuale civile: pertanto, è ben possibile ricorrere ad un “risanamento” del diritto fallimentare attingendo alla disciplina civilistica della causa di forza maggiore.

Occorre considerare altresì che la causa di forza maggiore instaurata dall’emergenza Covid, di cui ancora non si conosce la durata, comporterà altresì una importante modifica della propensione al consumo dei cittadini, condizione che si rivelerà una conseguenza causalmente riconducibile sempre allo stato di forza maggiore.

Non vi è dubbio che il fallimento sistemico sarebbe ingestibile per i tribunali, che sortirebbe con effetto domino, su tutti gli altri settori dell’attività giurisdizionale, sia civile che penale; senza dimenticare la stessa sezione fallimentare che potrebbe sospendere le aste fallimentari per manifesta anti economicità.

Il fallimento “ad ogni costo” è stato invocato da un diverso orientamento, particolarmente rigoroso, il quale sostiene che non esistono leggi né a livello nazionale né sovranazionale che permettano l’esenzione dal fallimento.

Del pari, si può obiettare che non emerge in alcuna legislazione nazionale o sovranazionale la compressione dei diritti fondamentali della persona e dell’imprenditore tali da paralizzare le attività.

Sostenere il predominio del diritto fallimentare rispetto ai diritti umani richiama quell’assimmetria, una sorta di distopica sistemica, per azzardare un parallelismo, della par condicio creditorum, che si è volatilizzata con l’introduzione delle classi nel fallimento.

In detto contesto, “l’esproprio fallimentare” rimanda alla definizione sull’abolizione della schiavitù, in forza della Convenzione sull’abolizione della schiavitù del 1926 nella quale, all’art. 1 si recita: “la schiavitù è lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o taluni di essi”, princìpi d’altronde già noti ai tempi del diritto romano.

Alla luce delle considerazioni fin qui evidenziate, il risanamento delle imprese in crisi da Covid tramite il concordato “in bianco” si rivelerà soltanto una mossa, una posa che si inarca, si incaglia prima del fallimento se non sarà accompagnato da un nuovo paradigma di politica monetaria e fiscale.

Lisa Taddei


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