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Scienza

Il “Trucco” dei lego cognitivi: perché il cervello umano batte ancora l’IA sulla flessibilità

Un nuovo studio di Princeton svela come il cervello usa “Lego cognitivi” per battere l’IA in flessibilità ed efficienza. Ecco perché le macchine dimenticano e noi no, e cosa significa per il futuro della tecnologia.

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L’Intelligenza Artificiale scrive saggi che vincono premi, diagnostica malattie con precisione chirurgica e gioca a scacchi meglio di Magnus Carlsen. Eppure, se chiedete a un sistema avanzato di imparare una nuova regola banale mentre sta eseguendo un compito, spesso assistete a un crollo verticale delle sue prestazioni. È il paradosso della tecnologia moderna: potenza di calcolo bruta contro efficienza biologica. Un recente studio condotto dall’Università di Princeton e pubblicato su Nature svela finalmente perché il nostro cervello mantiene un vantaggio competitivo cruciale: la capacità di usare “Lego cognitivi”.

Mentre l’IA tende a dover riaddestrare intere reti per compiti nuovi, il cervello umano adotta una strategia che un economista definirebbe di “massima efficienza nell’allocazione delle risorse“. I ricercatori hanno scoperto che la corteccia prefrontale riutilizza componenti modulari per risolvere problemi correlati, garantendo una flessibilità che il silicio ancora ci invidia.

La Sfida: Flessibilità vs. Potenza

Gli esseri umani assorbono nuove informazioni e si adattano a situazioni sconosciute con uno sforzo minimo. Possiamo imparare a usare un nuovo software, seguire una ricetta mai vista o capire le regole di un gioco da tavolo in pochi minuti. Le macchine, al contrario, faticano ad adattarsi in tempo reale. Tim Buschman, Ph.D. e autore senior dello studio presso il Princeton Neuroscience Institute, spiega la questione con una chiarezza disarmante: “I modelli di IA all’avanguardia possono raggiungere prestazioni umane, o addirittura sovrumane, su singoli compiti. Ma faticano a imparare ed eseguire molti compiti diversi”.

Il segreto risiede nella composizionalità. Immaginate di dover imparare a riparare una motocicletta. Se sapete già come mantenere una bicicletta e come funziona un motore base, non partite da zero. Il cervello “incolla” insieme competenze preesistenti. L’IA, spesso, deve reimparare il concetto di “ruota” da capo se il contesto cambia drasticamente.

L’esperimento: macachi e blocchi cognitivi

Per comprendere la meccanica neuronale di questo processo, il team guidato da Sina Tafazoli ha addestrato due macachi rhesus a completare tre compiti correlati, monitorando l’attività cerebrale in tempo reale. Non si trattava di riparare motori, ma di compiti visivi complessi che richiedevano di categorizzare forme e colori.

La struttura dell’esperimento era ingegnosa nella sua semplicità modulare:

  • Compito 1 (Forma/Asse 1): Categorizzare una forma (coniglio vs lettera T) e muovere gli occhi su un asse specifico (sinistra/destra).
  • Compito 2 (Colore/Asse 2): Categorizzare un colore (rosso vs verde) e muovere gli occhi su un asse diverso.
  • Compito 3 (Colore/Asse 1): Il vero test. Qui le scimmie dovevano categorizzare il colore (come nel compito 2) ma rispondere usando l’asse di movimento del compito 1.

Questa configurazione ha permesso di vedere se il cervello creasse nuovi percorsi neuronali da zero o se, come un bravo ingegnere, riciclasse “pezzi” di codice neurale già scritti.

a, Schema della tempistica dell’attività. Dopo la fissazione, sono stati presentati uno stimolo visivo e quattro obiettivi di risposta. Le scimmie hanno segnalato la categoria dello stimolo spostando lo sguardo su uno degli obiettivi. b, Gli stimoli erano morfismi in uno spazio bidimensionale, che variavano indipendentemente nella forma (a sinistra) e nel colore (a destra). Le categorie sono indicate da linee tratteggiate ed etichette. c, Schema della struttura dell’attività. Il compito S1 richiedeva la categorizzazione degli stimoli in base alla forma e la risposta sull’asse 1. Il compito C2 richiedeva la categorizzazione in base al colore e la risposta sull’asse 2. Il compito C1 richiedeva la categorizzazione in base al colore e la risposta sull’asse 1. Gli sfondi colorati evidenziano i sottocompiti condivisi: categorizzazione dei colori per C1 e C2 (blu) e asse di risposta per S1 e C1 (arancione). d, Esempio di sequenza di compiti. Il compito cambiava quando la prestazione era ≥70%. Le scimmie non ricevevano indicazioni sul compito successivo, anche se l’asse di risposta cambiava sempre tra i blocchi. Le registrazioni includevano 94, 97 e 189 blocchi di S1, C1 e C2. e,f, Prestazioni comportamentali. e, Curva psicometrica per entrambi gli animali per le 102, 102 e 51 prove prima del cambio per i compiti S1, C1 e C2, rispettivamente. f, Le prestazioni prima e dopo un cambio di compito. I dati sono espressi come media ± s.e.m. La linea orizzontale indica P < 0,001, come determinato utilizzando un test binomiale unilaterale non corretto. g, Le posizioni delle registrazioni neurali. Il diagramma è stato creato utilizzando BioRender. h–l, Informazioni sulle variabili rilevanti per il compito per tutte le regioni, stimate come la proporzione di varianza nell’attività di ciascun neurone spiegata in modo univoco da ciascuna variabile (utilizzando il coefficiente di determinazione parziale, CPD; Metodi). Viene mostrato il CPD per il colore (h), la forma (i), l’identità del compito (j), la ricompensa (k) e la direzione della risposta (l). Le linee mostrano il CPD medio tra i neuroni per regione. Le linee tratteggiate indicano che una regione non aveva un numero significativo di neuroni che codificavano quella variabile cognitiva. m, Andamento temporale del CPD medio tra tutti i neuroni registrati, normalizzato al valore massimo per mostrare l’ordine temporale. I dati sono espressi come media ± s.e.m.

I risultati: la corteccia prefrontale come un archivio modulare

L’analisi dell’attività cerebrale ha confermato l’ipotesi della composizionalità. La corteccia prefrontale, sede del pensiero di alto livello, ha mostrato schemi ricorrenti di attività neurale. Quando il compito richiedeva di distinguere i colori, il cervello attivava il “blocco colore”, indipendentemente da dove dovessero guardare gli occhi successivamente. Quando il compito richiedeva un movimento a sinistra, si attivava il “blocco movimento sinistra”, indipendentemente dal fatto che lo stimolo fosse un colore o una forma.

Buschman utilizza una metafora informatica: “Penso a un blocco cognitivo come a una funzione in un programma per computer. Un insieme di neuroni potrebbe discriminare il colore e il suo output può essere mappato su un’altra funzione che guida un’azione”.

In termini economici, il cervello evita i costi fissi di creare nuove infrastrutture per ogni problema. Sfrutta le economie di scopo. Se hai già i neuroni allenati per riconoscere il “rosso”, perché sprecarli? Li riutilizzi, combinandoli con i neuroni che sanno come muovere l’occhio a sinistra.

Il problema dell’IA: l’interferenza catastrofica

Qui arriviamo al punto dolente per gli sviluppatori di reti neurali artificiali. Sina Tafazoli evidenzia un problema noto come interferenza catastrofica. “Quando una macchina o una rete neurale impara qualcosa di nuovo, tende a dimenticare e sovrascrivere i ricordi precedenti. Se una rete neurale artificiale sa come fare una torta ma poi impara a fare i biscotti, dimenticherà come fare la torta”.

L’IA attuale lavora spesso modificando i pesi delle connessioni globali per minimizzare l’errore sul nuovo compito, finendo per distruggere le configurazioni che servivano al vecchio compito. Il cervello biologico, invece, protegge i moduli esistenti e si limita a riconfigurarne le connessioni tra di loro. È la differenza tra demolire una casa per costruirne una nuova e semplicemente riarrangiare i mobili.

Efficienza energetica e “Silenzio” neurale

Un altro aspetto affascinante emerso dallo studio è la capacità del cervello di “silenziare” i blocchi non necessari. In un mondo inondato di stimoli, la capacità di ignorare è tanto importante quanto quella di elaborare. “Il cervello ha una capacità limitata di controllo cognitivo”, spiega Tafazoli. “Devi comprimere alcune delle tue abilità per concentrarti su quelle che sono attualmente importanti”. Se state cercando di distinguere una forma, il cervello riduce attivamente l’attività dei neuroni dedicati al colore. Questa allocazione dinamica delle risorse cognitive previene il sovraccarico e garantisce che l’energia metabolica (che il corpo paga a caro prezzo) sia spesa solo dove serve. Un approccio che ricorda una gestione aziendale snella (lean management), dove ogni dipartimento lavora solo quando necessario.

Prospettive future: dalla medicina alla tecnologia

Le implicazioni di questa scoperta vanno oltre la semplice curiosità accademica.

  1. IA di Nuova Generazione: Integrare la composizionalità nelle architetture AI potrebbe portare a sistemi capaci di apprendimento continuo (lifelong learning), senza la necessità di costosi e lunghi riaddestramenti completi.
  2. Salute Mentale: Molti disturbi neurologici e psichiatrici, come la schizofrenia o il disturbo ossessivo-compulsivo, si manifestano come una difficoltà ad adattarsi a nuovi contesti o a cambiare strategia. Potrebbe trattarsi di un guasto nel meccanismo di assemblaggio di questi “Lego cognitivi”. Capire come riparare questo processo potrebbe aprire la strada a terapie riabilitative rivoluzionarie.

In conclusione, mentre ci meravigliamo davanti ai generatori di testo e immagini, ricordiamoci che la macchina biologica che abbiamo tra le orecchie utilizza un’architettura modulare ed efficiente che l’ingegneria umana sta ancora cercando di copiare. Il cervello non lavora di più, lavora meglio, riciclando le sue competenze con una maestria che è, a tutti gli effetti, la vera definizione di intelligenza.


Domande e risposte

Perché l’IA soffre di “interferenza catastrofica” mentre il cervello no? L’IA tradizionale, quando apprende un nuovo compito, modifica i pesi delle sue connessioni interne per ottimizzare il risultato, rischiando di sovrascrivere le configurazioni che servivano per i compiti precedenti. Il cervello, invece, utilizza la composizionalità: mantiene intatti i moduli funzionali (i “blocchi Lego”) che sanno già fare qualcosa (come riconoscere un colore) e si limita a ricombinarli in modi nuovi. Questo permette di apprendere nuove abilità senza distruggere quelle vecchie, garantendo una flessibilità superiore.

Qual è il ruolo della corteccia prefrontale in questo processo? La corteccia prefrontale agisce come un “direttore d’orchestra” o un ingegnere che assembla i componenti. Lo studio ha dimostrato che è proprio in quest’area che risiedono i modelli di attività neuronale riutilizzabili. È la zona del cervello deputata alle funzioni esecutive e al pensiero di alto livello. Essa non solo attiva i blocchi necessari (es. “giudica la forma”), ma ha anche il compito cruciale di silenziare i blocchi irrilevanti (es. “ignora il colore”) per evitare sovraccarichi cognitivi e mantenere il focus sull’obiettivo.

Come può questa scoperta aiutare nella cura delle malattie mentali? Disturbi come la schizofrenia, il disturbo ossessivo-compulsivo o danni cerebrali traumatici comportano spesso una rigidità cognitiva, ovvero la difficoltà di adattare comportamenti appresi a nuove situazioni. Se comprendiamo che questa flessibilità dipende dalla capacità di ricombinare “blocchi” neurali, possiamo ipotizzare che queste patologie derivino da un guasto in questo meccanismo di assemblaggio. Le future terapie potrebbero concentrarsi non sul riapprendimento da zero, ma sul ripristinare la capacità del cervello di connettere e riutilizzare i moduli esistenti.

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