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Il “TACO” di Trump: i dazi al 100%? “Insostenibili”. Ma il caos della sua politica commerciale continua

Trump, l’incredibile ‘TACO’ sui dazi: “Sono insostenibili”. Ma mentre fa marcia indietro sulla Cina, ne impone di nuovi sui camion. Il FMI avverte sul caos.

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 Donald Trump, il presidente che ha fatto del protezionismo aggressivo la sua bandiera, ha definito “insostenibili i dazi punitivi al 100% imposti sui prodotti cinesi.

Una dichiarazione che ha il sapore dell’ennesima giravolta, quello che negli USA chiamerebbero “TACO” (Trump Alwais, Chickens Out, Trump si tira sempre indietro), e che getta un’ulteriore ombra di incertezza sulla stabilità (già precaria) del commercio globale.

In un’intervista a Fox Business Network, Trump ha ammesso la non sostenibilità della misura, affrettandosi però ad aggiungere che Pechino lo avrebbe “costretto” a imporla. Un classico scarico di responsabilità che mal cela la realtà: i dazi, che colpiscono consumatori e imprese americane, stanno presentando un conto politico ed economico troppo salato, persino per lui.

Lo strabismo politico: marcia indietro sulla Cina, avanti tutta su camion e bus

La parte più interessante, quasi ironica se non fosse preoccupante, è che questa ammissione di (parziale) fallimento arriva in contemporanea con un’escalation su un altro fronte.

Mentre definisce “insostenibili” i dazi esistenti, Trump dimostra uno strano strabismo politico firmando un ordine esecutivo che impone nuove tariffe, giustificate (come sempre) da “preoccupazioni di sicurezza nazionale”.

Nello specifico, le nuove misure prevedono:

  • Dazi del 25% su camion medi e pesanti importati e sui loro componenti, a partire dal 1° novembre.
  • Un’aliquota del 10% per gli autobus importati.

Ma non finisce qui. Nello stesso provvedimento, l’amministrazione concede un contentino, all’industria nazionale. Case automobilistiche come General Motors, Ford e Tesla riceveranno un credito d’imposta pari al 3,75% del prezzo di vendita dei veicoli assemblati negli Stati Uniti fino al 2030, formalmente per compensare i dazi sui componenti importati. Un colpo al cerchio e uno alla botte, che premia i produttori nazionali mentre punisce le importazioni.

Terre rare

Mentre la politica fa caos, i diplomatici trattano (e il FMI avverte)

Mentre Trump gioca con dazi e crediti d’imposta, la diplomazia lavora sottotraccia per evitare il collasso totale, che sarebbe pesante per entrambe le parti.

Pechino ha annunciato un incontro “il prima possibile” tra i negoziatori. Il vicepremier cinese He Lifeng ha già tenuto una videoconferenza con il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent e il Rappresentante per il Commercio Jamieson Greer. Si parla di discussioni “aperte e costruttive”, il tipico linguaggio felpato della diplomazia che cerca di riparare i danni fatti dalla politica.

Lo stesso Trump ha confermato che incontrerà il presidente cinese Xi Jinping in Corea del Sud, incontro che era in forse.

Nel frattempo, le istituzioni globaliste, come il Fondo Monetario Internazionale, lanciano i consueti allarmi. La direttrice Kristalina Georgieva ha messo in guardia sulle “implicazioni significative” per la crescita globale (già debole) se la disputa dovesse degenerare, soprattutto riguardo a un’interruzione della fornitura di terre rare dalla Cina.

Pechino, dal canto suo, non ci sta a passare per il cattivo e ha accusato gli Stati Uniti (in particolare Greer) di “allarmismo” ingiustificato proprio sui controlli alle esportazioni di terre rare, definite da Washington una “presa di potere sulla catena di approvvigionamento globale”. Il problema è che passare dai controlli al blocco è una questione di istanti e non c’è molta fiducia sul fatto che questo non avvenga. La mossa viene vista un po’ come caricare la pistola prima di usarla.

La situazione resta quindi estremamente fluida: da un lato, un presidente USA che ammette l’insostenibilità delle sue stesse politiche; dall’altro, lo stesso presidente che ne impone di nuove. Il tutto mentre i diplomatici cercano di negoziare e il FMI avverte sui rischi di una recessione globale. La politica del “TACO” non sembra una strategia vincente per la stabilità.

 

Domande e Risposte sul Testo

1. Perché Trump definisce “insostenibili” i dazi che lui stesso ha imposto?

Trump si trova di fronte alla realtà economica. Dazi punitivi così elevati (100%) non danneggiano solo la Cina, ma anche le imprese e i consumatori statunitensi, che vedono aumentare i prezzi e interrompersi le catene di approvvigionamento. Definirli “insostenibili” è un modo per preparare il terreno a una possibile marcia indietro o a un accordo con Pechino, pur mantenendo una facciata da “duro” e dando la colpa alla Cina per la situazione. È una mossa più politica che economica, tipica del suo stile negoziale basato sulla pressione e successivi, improvvisi, cambi di rotta.

2. Se i dazi sulla Cina sono insostenibili, perché Trump ne impone di nuovi su camion e autobus?

Questa è la contraddizione principale (“TACO”) della sua politica. La mossa sui camion e bus, giustificata con la “sicurezza nazionale”, risponde a logiche diverse. Probabilmente serve a proteggere l’industria automobilistica nazionale (il “Buy American”) e a lanciare un segnale ad altri partner commerciali (non solo la Cina). È una politica incoerente, che da un lato ammette i danni del protezionismo estremo e dall’altro lo applica selettivamente per ragioni di consenso interno. Il credito d’imposta a GM, Ford e Tesla conferma la volontà di sostenere i produttori USA.

3. Cosa sono le “terre rare” e perché sono così importanti in questa disputa?

Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici fondamentali per tutta l’industria ad alta tecnologia. Servono per produrre smartphone, veicoli elettrici, turbine eoliche e, soprattutto, sistemi militari avanzati (missili, radar, caccia). La Cina controlla la stragrande maggioranza dell’estrazione e della raffinazione globale di questi materiali. Il FMI e gli USA sono preoccupati perché Pechino potrebbe usarle come arma di ricatto, bloccandone le esportazioni e paralizzando l’industria tecnologica e della difesa occidentale. La Cina, infatti, accusa gli USA di “allarmismo” proprio su questo punto.

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