Economia
Il “Miracolo” marocchino: crescita record e piazze in fiamme. Cosa non torna?
Crescita record, export alle stelle e mega-infrastrutture. Ma dietro il “miracolo” del Marocco si nascondono disoccupazione record, fuga di cervelli e una bomba sociale pronta a esplodere. Ecco cosa non funziona nel modello economico di Rabat.

Mentre l’Europa arranca, c’è un Paese a due passi dalle nostre coste che sembra vivere un’età dell’oro economica. Parliamo del Marocco, la cui economia, dopo la pandemia, ha messo il turbo con una crescita annua stabilmente sopra il 3% e un’espansione cumulata del 22% dal 2019. Numeri che fanno impallidire molte economie sviluppate. Il Paese nordafricano è diventato una potenza esportatrice in settori chiave, arrivando a insidiare persino la produzione automobilistica italiana, e un gigante del turismo con 13,5 milioni di visitatori. Il PIL è cresciuto di una cifra stratosferica per l’Europa, il 5%:
Grandi opere come il porto di Tangeri Med, che da solo movimenta il 50% di container in più di Valencia, e immensi parchi solari completano il quadro di una nazione in rampa di lancio. Il tutto con un deficit sotto controllo (4% del PIL) e una moneta stabile. Una favola moderna, se non fosse per un piccolo, trascurabile dettaglio: le strade sono in fiamme. Le proteste sociali, più ampie di quelle viste durante la Primavera araba, stanno scoperchiando il vaso di Pandora di un modello economico che, dietro la facciata scintillante, nasconde una “bomba a orologeria”.
Il grande bluff della disoccupazione
Il primo dato che non torna è quello del lavoro. Ufficialmente, il tasso di disoccupazione si attesta al 13%, anzi al 12,8% secondo l’ultima rilevazione.
Una cifra già alta, ma la realtà è ben peggiore. L’ultimo censimento generale ha rivelato un tasso del 21,3%, il più alto dell’ultimo decennio. Come è possibile una tale discrepanza? La risposta sta nella cosiddetta “disoccupazione nascosta”.
Esiste un’enorme fetta della forza lavoro impiegata in condizioni di sottoccupazione o nell’economia sommersa. L’esempio più lampante è l’agricoltura, che assorbe il 45% dei lavoratori del Paese. La stragrande maggioranza di essi lavora in nero, senza contratti né tutele. Quando queste persone perdono il loro impiego precario, semplicemente spariscono dalle statistiche ufficiali, non risultando né occupati né disoccupati. L’OCSE stima che ben il 67% dei lavoratori marocchini operi senza un contratto regolare. Per i giovani, la situazione è drammatica: il tasso di disoccupazione reale sfiora il 40%.
Se il “miracolo” non crea lavoro, crea emigranti
Cosa fa un giovane a cui viene negato un futuro? Se lo va a cercare altrove. Il Marocco sta affrontando un esodo di massa della sua forza produttiva. Il Paese ha un tasso di migrazione negativo, con quasi 50.000 persone in più che sono partite rispetto a quelle entrate nel 2025.
Secondo l’OCSE, il Marocco è tra i primi sei Paesi al mondo per numero di lavoratori in partenza, circa 200.000 all’anno, con la Spagna come meta privilegiata. I numeri della previdenza sociale spagnola lo confermano: i marocchini sono il primo gruppo di affiliati stranieri con oltre 343.000 persone. Un dato impressionante se si considera che equivale a quasi il 3% di tutti gli occupati in Marocco. Una vera e propria fuga di cervelli e di braccia che il “miracolo” economico non solo non arresta, ma sembra addirittura incentivare.
L’analisi: i difetti strutturali di una crescita a due velocità
Ma perché una crescita così robusta in settori come l’automotive, il turismo e le infrastrutture non si traduce in benessere diffuso e posti di lavoro? Gli esperti indicano una serie di problemi strutturali che minano le fondamenta del modello marocchino.
- Crescita a intensità di capitale, non di lavoro: I settori trainanti dell’economia marocchina sono altamente redditizi, ma richiedono ingenti capitali e poca manodopera. Generano grandi profitti per pochi, ma non creano l’occupazione di massa necessaria ad assorbire la popolazione giovane.
- Scollegamento con l’economia locale: Gran parte dell’industria di successo, come quella automobilistica, è in mano a multinazionali straniere. Queste aziende si limitano spesso ad assemblare componenti prodotti altrove. I profitti vengono rimpatriati e i legami con le piccole e medie imprese locali sono deboli o inesistenti. Il valore aggiunto creato rimane concentrato in attività poco sofisticate, senza generare un vero sviluppo del tessuto produttivo interno.
- Un ambiente ostile per le imprese locali: A differenza delle grandi multinazionali, le PMI marocchine affrontano ostacoli enormi. L’IREF (Istituto per la Ricerca sugli Affari Economici e Fiscali) denuncia un mercato del lavoro rigido, con costi elevati e salari minimi tra i più alti della regione, che di fatto scoraggia le assunzioni. A questo si aggiunge la pervasiva presenza di imprese statali in 23 dei 29 settori economici, che godono di trattamenti preferenziali e soffocano la concorrenza privata. Il risultato? Un’impennata di fallimenti, con 16.100 casi solo nel 2024.
- Il fattore istruzione: In questo contesto, l’istruzione non riesce a funzionare come ascensore sociale. Con un tasso di alfabetizzazione del 77% (inferiore a quello di Algeria e Tunisia), manca il capitale umano per creare un ecosistema innovativo e a valore aggiunto.
La conclusione è amara. Il governo di Rabat sembra aver dato priorità a progetti di grande visibilità (stadi per i Mondiali, infrastrutture faraoniche) piuttosto che a investimenti strategici in istruzione e nella creazione di un ambiente favorevole a un’occupazione stabile e qualificata. Le proteste di oggi sono il sintomo di questo paradosso. Resta da vedere se il Re e il governo sapranno ascoltare la piazza e correggere la rotta, prima che il “miracolo” si trasformi definitivamente in un miraggio.
Domande e Risposte
1. Perché l’economia del Marocco cresce ma la gente protesta? La crescita economica del Marocco è trainata da settori come l’automotive e le grandi infrastrutture, che sono ad “alta intensità di capitale”. Questo significa che generano molti profitti con pochi lavoratori. Di conseguenza, la ricchezza si concentra nelle mani di pochi (spesso multinazionali che poi esportano i profitti) e non si traduce in un aumento significativo dei posti di lavoro per la popolazione. L’alta disoccupazione, soprattutto giovanile (40%), e la diffusa precarietà creano un malcontento sociale che la crescita del PIL, da sola, non può risolvere.
2. Cosa si intende per “disoccupazione nascosta” e perché è un problema? La “disoccupazione nascosta” si riferisce a tutte quelle persone che, pur non avendo un lavoro stabile e retribuito, non rientrano nelle statistiche ufficiali dei disoccupati. In Marocco, questo riguarda principalmente i lavoratori del settore agricolo e dell’edilizia, che operano “in nero”. Quando perdono il loro impiego informale, non vengono registrati come disoccupati. Questo fenomeno è un grave problema perché maschera la reale portata della crisi occupazionale, portando il tasso di disoccupazione reale (21,3%) a essere quasi il doppio di quello ufficiale (13,3%) e impedendo di attuare politiche del lavoro efficaci.
3. Il modello di sviluppo marocchino è destinato a fallire? Non necessariamente, ma richiede urgenti correzioni. Il modello attuale, basato su grandi investimenti esteri e statali in settori specifici, ha dimostrato di non essere in grado di generare benessere diffuso. Per diventare sostenibile, il Marocco dovrebbe concentrarsi sul rafforzamento delle imprese locali, sulla riduzione della burocrazia e del lavoro nero, e soprattutto su massicci investimenti in istruzione e formazione. Senza queste riforme strutturali, il rischio è che la “bomba a orologeria” della disoccupazione e della disuguaglianza possa minare la stabilità sociale e politica del Paese.

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