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Il grande flop della sinistra francese: le banlieue vogliono lavorare, i borghesi bloccano le strade

La sinistra francese chiama alla rivolta ma le periferie non rispondono: preferiscono il lavoro e l’impresa alle utopie della decrescita. Un’analisi del clamoroso errore di valutazione politica di Mélenchon.

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La sinistra massimalista francese, guidata da Jean-Luc Mélenchon, coltiva da anni un sogno, quasi un’ossessione strategica: trasformare i giovani delle banlieue, i figli di immigrati maghrebini e subsahariani, nel suo esercito di riserva per la rivoluzione. L’idea è semplice: etichettarli come “razzializzati”, giocare sul loro senso di esclusione per poi reclutarli in una battaglia contro la Repubblica e il “sistema”. Un serbatoio di voti e di rabbia da mobilitare per far tremare l’establishment.

In quest’ottica, le recenti manifestazioni del 10 settembre, con lo slogan “Bloquons tout” (Blocchiamo tutto), avrebbero dovuto essere il palcoscenico di questa grande unione “transrazziale”. Ahmed e Amandine, braccio nella mano, contro la “polizia che uccide”, per citare Mélenchon. Il quadro perfetto, sognato da figure come Mathilde Panot e Manon Aubry, che da tempo applicano un neopaternalismo condiscendente: dire ai giovani delle periferie ciò che, secondo loro, vogliono sentirsi dire, partendo dal presupposto che siano mossi solo da emozione e sdegno, non dalla ragione.

Ebbene, qualcosa è andato storto. Terribilmente storto. Osservando ore di immagini delle proteste a Rennes, Lione o Parigi, la “Nuova Francia” di Mélenchon non si è vista. Tra gli agitatori, i bloccatori e talvolta gli sfasciacarrozze, non c’erano i volti delle periferie. C’erano, invece, i profili di sempre:

  • Giovani borghesi dei quartieri bene, spesso universitari.
  • Attivisti “antifa” dei centri storici.
  • Laureati precari, ma ultra-politicizzati.

In sintesi, i soliti noti delle manifestazioni del Primo Maggio. Mentre questi bloccavano le autostrade indossando maschere da sci e felpe nere, le periferie rimanevano stranamente tranquille. Anzi, in molti video si sono visti proprio lavoratori, molti dei quali di origine immigrata, scendere inferociti dalle loro auto per smantellare i blocchi e discutere animatamente con i “rivoluzionari” che impedivano loro di andare a lavorare.

Qui emerge il colossale malinteso su cui si fonda la strategia della sinistra radicale. Crede che i giovani delle periferie siano intrinsecamente “anticapitalisti”. La realtà è spesso l’esatto opposto. Per chi parte da zero, il lavoro non è un’oppressione, ma l’unica, vera leva di riscatto sociale. L’aspirazione non è la decrescita felice, ma la prosperità.

Il divario è insanabile e non compreso dalla sinistra:

  • La sinistra radicale offre: Settimana lavorativa di quattro giorni, pensione a 60 anni, decrescita finanziaria, una povertà diffusa fra tutti.
  • Molti giovani delle periferie desiderano: Lavorare, investire, comprare, vendere, consumare, avviare un’attività. Hanno un approccio alla vita economica profondamente liberale, non socialista.

Resta solo l’ideologia antirazzista. Quando il fragile legame “antirazzista” si spezzerà, quando la presunzione di razzismo verso chiunque non sia di sinistra verrà meno, non resterà nulla a unire questi due mondi. La verità, che la gauche ecologista e radicale ignora, è che su molti temi etici e sociali – dalla famiglia ai ruoli di genere – i valori di tanti figli di immigrati sono decisamente più conservatori e strutturati di quanto si pensi. Sono, paradossalmente, molto più vicini a un conservatore liberale che a un’attivista come Sandrine Rousseau, un’ecologista che viene da una benestante famiglia di sinistra e che vuole eliminare le auto.

La sinistra gioca a fare l’apprendista stregone con la sociologia, ma continua a parlare a un popolo che esiste solo nella sua immaginazione. Il popolo reale, nel frattempo, era bloccato in tangenziale e voleva solo andare a lavorare. In Francia c’è un gran desiderio di normalità, benessere e reflusso, e non solo li.

L’ecologista Sandrine Rousseau

Domande e Risposte

1) Perché questa notizia è importante per capire la politica europea attuale?

È importante perché svela una profonda frattura tra la narrazione di una certa sinistra radicale e la realtà sociale dei gruppi che pretende di rappresentare. Dimostra che le strategie basate esclusivamente sull’identità e sulla “vittimizzazione” falliscono quando si scontrano con le aspirazioni concrete delle persone, come il lavoro e la stabilità economica. Questo fallimento strategico non riguarda solo la Francia, ma interroga tutte le forze politiche europee che tentano di costruire un consenso su basi puramente ideologiche, ignorando i bisogni primari e i valori di intere fasce della popolazione. Alla fine estremismo e odio per Macron non sono più sufficienti per mobilitare chi vuole solo stare meglio.

2) Quali potrebbero essere le conseguenze politiche di questo scollamento tra la sinistra radicale e le periferie?

Le conseguenze possono essere significative. In primo luogo, la sinistra radicale rischia di perdere definitivamente la sua presunta base elettorale nelle periferie, diventando un movimento elitario di attivisti urbani e intellettuali. In secondo luogo, questo vuoto politico potrebbe essere colmato da altre forze. Da un lato, partiti più pragmatici che offrono risposte concrete sul lavoro e l’impresa; dall’altro, partiti di destra o conservatori che riescono a intercettare i valori tradizionali e l’aspirazione all’ordine presenti in queste comunità, creando alleanze politiche oggi inimmaginabili.

3) Cosa rivela questo episodio riguardo le aspirazioni dei giovani di origine immigrata in Francia?

Rivela che le loro aspirazioni sono molto più complesse e integrate nel tessuto economico e sociale di quanto la sinistra radicale voglia ammettere. Lungi dall’essere un blocco monolitico “anti-sistema”, molti di loro sono spinti da un forte desiderio di mobilità sociale ascendente attraverso il lavoro, l’imprenditorialità e il consumo. Dimostra che il modello di integrazione, seppur con difficoltà, passa più attraverso l’economia che attraverso la politica della protesta. Le loro priorità sono la prosperità individuale e familiare, spesso unite a un quadro di valori conservatore, in netta contrapposizione all’agenda “woke” e anticapitalista.

E tu cosa ne pensi?

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