Analisi e studi
Il governo Pd-5Stelle non è illegittimo. È “semplicemente” contrario al principio democratico. È la prima volta che accade una cosa del genere: ecco tutti gli esempi in 73 anni di esperienza repubblicana (di Giuseppe PALMA)
Sulla legittimità costituzionale dell’eventuale “governo giallo-rosso” non ho dubbi. Il governo che sta per nascere, da un punto di vista costituzionale, è legittimo.
Tuttavia, considerato che la legge elettorale prevede le coalizioni pre-voto, il fatto che nemmeno uno dei partiti che componevano la coalizione più votata farà parte del nascituro governo lede ampiamente il principio democratico. La vicenda riguarda proprio il concetto di democrazia, uno dei principi cardine del nostro ordinamento costituzionale.
Prendiamo ad esempio alcuni validi precedenti comparativi:
1) nel corso della Prima Repubblica (1946-1993) le leggi elettorali (tutte proporzionali) NON prevedevano le coalizioni tra liste pre-voto. Le alleanze avvenivano in Parlamento. Ciascuna lista si presentava agli elettori da sola. In ben 47 anni NON è mai accaduto che il partito di maggioranza RELATIVA (la DC) restasse fuori dalla formazione e dalla composizione del governo;
2) nel corso della Seconda Repubblica si sono avute due leggi elettorali maggioritarie. Il Mattarellum (1993-2005) e il Porcellum (2005, dichiarato incostituzionale nel 2014). Il Mattarellum prevedeva le coalizioni tra liste pre-voto nei collegi uninominali (coi quali si eleggevano 3/4 dei parlamentari). Il Porcellum era invece un proporzionale senza preferenze e con un ampio premio di maggioranza alla lista o coalizione tra liste più votata. Non è mai accaduto che almeno uno dei partiti facenti parte della coalizione più votata, anche in caso di ribaltoni o crisi di governo, sia rimasta fuori dalla formazione dell’esecutivo.
Ecco tutti gli esempi:
A) crisi di governo dicembre 1994: dal gennaio 1995 alla primavera 1996 Forza Italia (partito della coalizione che vinse le elezioni – centrodestra) passò all’opposizione, ma della nuova maggioranza fece parte comunque la Lega Nord, componente fondamentale della coalizione che aveva vinto le elezioni;
B) crisi di governo ottobre 1998 e aprile 2000: in entrambi i casi i due partiti (PDS e PPI) facenti parte della coalizione che aveva vinto le elezioni (centrosinistra) fecero comunque parte della nuova maggioranza. Ne uscì Rifondazione Comunista (che aveva fatto col centrosinistra un patto di desistenza elettorale) e vi entrò l’Udr di Mastella (i cui membri furono eletti col centrodestra). Ma PDS e PPI restarono comunque al governo;
C) crisi di governo novembre 2011: la coalizione che aveva vinto le elezioni (centrodestra) fece parte della maggioranza parlamentare che votò la fiducia al governo tecnico di Mario Monti, con la sola eccezione della Lega, che passò all’opposizione;
D) crisi di governo febbraio 2014 e dicembre 2016: in tutti e due i casi il PD, facente parte della coalizione di centrosinistra assegnataria del premio di maggioranza (ma al Senato aveva soltanto la maggioranza relativa dei seggi), fece parte di tutti e tre i governi che si sono succeduti nel corso di quella Legislatura, esprimendo ben tre Presidenti del Consiglio: Letta, Renzi e Gentiloni.
Le elezioni del 4 marzo 2018 si sono svolte attraverso una nuova legge elettorale, il Rosatellum, che prevede anche le coalizioni tra liste pre-voto, con una sostanziale (non formale) correzione maggioritaria rappresentata dall’assenza del voto disgiunto.
Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni – con la crisi di governo dell’agosto 2019 e col nascituro governo Pd/5Stelle – è il primo caso nella storia repubblicana in cui NEMMENO UNO dei partiti facenti parte della coalizione (centrodestra) che ha ottenuto più voti (maggioranza RELATIVA dei voti e dei seggi) farà parte del governo della Repubblica.
Ciò rappresenta senza dubbio una palese lesione del PRINCIPIO DEMOCRATICO.
Il governo Lega-M5S rispettava invece questo principio in quanto il M5S era la lista (non coalizzata) che aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti (come lista singola), mentre la Lega era il partito più votato della coalizione (centrodestra) che aveva ottenuto il maggior numero di voti (maggioranza relativa dei seggi e dei voti).
C’è chi mi contesta il fatto che le coalizioni, anche quando previste dalla legge elettorale, non valgono al cospetto del Capo dello Stato che – nel conferire l’incarico – dovrebbe tener conto solo dei risultati elettorali delle singole liste e della consistenza numerica dei gruppi parlamentari che si presentano da lui nel corso della prassi costituzionale delle consultazioni. Se ciò fosse vero, per quale motivo Giorgio Napolitano non conferì l’incarico ad un esponente dei 5Stelle dopo le elezioni politiche 2013, visto che anche in quella occasione – con legge elettorale che prevedeva le coalizioni come quella vigente – il M5S risultò la lista più votata e la coalizione di centrosinistra non aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi al Senato? L’incarico fu conferito a Pierluigi Bersani, leader della coalizione di centrosinistra che aveva ottenuto il premio di maggioranza (ma al Senato, lo ripeto, non aveva raggiunto la maggioranza assoluta per via del premio regionale), e non ad un esponente indicato invece dal primo partito. All’epoca nessuno obiettò nulla, o quasi. Oggi, a differenza di 6 anni fa, pur essendo ugualmente in vigore una legge elettorale che prevede le coalizioni pre-voto, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha minimamente preso in considerazione la coalizione di centrodestra che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti (37%) e dei seggi (42%), ma ha fatto girare la formazione del governo, tanto lo scorso anno dopo le elezioni politiche del 4 marzo che nel corso di questa crisi di governo, attorno al primo partito (M5S), ignorando le coalizioni, in palese discontinuità col suo predecessore Napolitano. Non vorrei che il concetto di coalizione pre-elettorale valga solo se arriva prima il centrosinistra.
Stiamo dunque assistendo ad un vile tentativo di conservazione del potere da parte di un establishment partitico (e non solo) che il popolo non perde occasione di bocciare nelle urne ad ogni elezione.
Questa non è democrazia parlamentare. È semplicemente tradimento della sovranità popolare.
Giuseppe PALMA
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