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Il Giappone investe pesantemente nella fusione nucleare. Vuole essere leader

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Il governo giapponese ha deciso di costruire una grande industria nazionale della fusione per assicurarsi un ruolo di primo piano nel futuro utilizzo commerciale dell’energia da fusione.

Questa politica è chiaramente esposta in un documento pubblicato il 14 aprile dal Gabinetto giapponese, intitolato “Fusion Energy Innovation Strategy”. La nuova politica va ben oltre il semplice incremento della partecipazione dell’industria e degli istituti scientifici giapponesi ai progetti internazionali.

L’intenzione esplicita è quella di creare la base industriale e di manodopera affinché il Giappone possa costruire – e senza dubbio esportare – i propri impianti di fusione commerciale, se possibile in anticipo rispetto ad altri Paesi industrializzati.

Non si può fare a meno di ricordare il modo in cui il Ministero del Commercio Internazionale e dell’Industria (MITI) ha notoriamente costruito l’industria giapponese, sistematicamente, settore per settore, a partire dal 1949. La nuova “Fusion Innovation Strategy” è solidamente radicata nella tradizione della politica industriale giapponese.

A prima vista, la nuova politica sembra ancora orientata allo scenario “ultra-conservatore”, secondo cui l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), un gigantesco reattore tokamak attualmente in costruzione, fornirà le basi scientifiche e ingegneristiche essenziali, entro il 2035 circa, per progettare e costruire un primo prototipo di centrale a fusione, il DEMO, anch’esso come progetto internazionale.

Le prime centrali a fusione commerciali potrebbero poi essere costruite a partire dal 2050 circa. Come ho sottolineato in un precedente articolo di Asia Times, questo scenario è intollerabilmente lungo, quando si parlaa della prima centrale a fusione innovativa costruita intorno al 2030.

È significativo che la “Strategia per l’innovazione della fusione” del Giappone si discosti da essa in diversi modi decisivi. In primo luogo, il Giappone intende costruire un proprio prototipo di centrale a fusione con almeno cinque anni di anticipo rispetto allo scenario standard.

In secondo luogo, questo “JA-DEMO” sarà un progetto nazionale, basato il più possibile su tecnologia e industria giapponesi. In terzo luogo, il documento citato accenna alla possibilità che le scoperte scientifiche e tecnologiche possano accelerare ulteriormente il processo.

Il documento osserva che gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno già limitando l’accesso ad alcune delle tecnologie che intendono utilizzare nelle future centrali a fusione. Il documento sottolinea l’urgenza di iniziare immediatamente a costruire il settore industriale della fusione. Altrimenti, il Giappone potrebbe arrivare troppo tardi.

Da dove parte il Giappone

 

Oltre alla fusione a confinamento magnetico, il Giappone possiede uno degli impianti di fusione laser più avanzati al mondo, il Gekko-XII, con sede a Osaka. Curiosamente, pur facendo vagamente riferimento a “vari tipi di reattori”, la strategia non menziona esplicitamente la fusione laser (o “a confinamento inerziale”).

Gekko XII

Nel 2021 il Giappone ha avuto la sua prima startup per la fusione nucleare laser, EX-Fusion Inc, con l’obiettivo finale di costruire un reattore a fusione laser commerciale. EX-Fusion è stata co-fondata da Shinsuke Fujioka dell’Istituto di Ingegneria Laser dell’Università di Osaka, che ha costruito e gestisce il sistema Gekko XII.

EX-Fusion ha già raccolto fondi di avviamento da società di venture capital di Osaka e Tokyo per iniziare a lavorare su due dei sistemi più essenziali in una centrale a fusione laser: un sistema per alimentare continuamente le particelle di combustibile per la fusione in rapida successione nella camera di combustione e un sistema di tracciamento del fascio laser bersaglio che assicura che l’impulso laser colpisca la particella bersaglio in movimento esattamente al momento giusto.

Però il Giappone non ha solo laser: l’attuale reattore a fusione tokamak più grande del mondo, il JT-60SA, si trova presso il Naka Fusion Institute della Japan Atomic Energy Agency. Progetto di cooperazione con l’UE, JT-60SA è il seguito del reattore tokamak giapponese di punta, il JT-60U, che detiene il record mondiale per la temperatura degli ioni più calda mai raggiunta (522 milioni di °C) e il valore più alto tra i dispositivi di confinamento magnetico del cosiddetto “prodotto triplo della fusione”.

Da questo punto di vista la previsione di centrali a fusione realizzate nel 2050 o pure nel 2045 appare incredibilmente prudente e conservatrice : Però sappiamo che il Giappone è l’esatto opposto della UE, dove si parla sempre di “Ambizione” senza nessuna realizzazione concreta utile. Quasi sicuramente vedremo un impianto giapponese funzionante con dieci o quindi anni di anticipo rispetto ai limiti predisposto.

Soprattutto vedremo la nascita di un complesso industriale e di know how omogeneo adatto a supportare la nuova tecnologia.

 


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