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Il futuro della produzione industriale: una crescita delle politiche di protezione degli impiegati?

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Per effetto delle misure restrittive adottate per il contenimento del SARS-CoV-2, la caduta dell’attività industriale relativa ai mesi di marzo e aprile ha superato il 50%. Una perdita mai registrata nelle serie storiche, ovvero dal 1990. È quanto emerge da un’indagine rapida del Centro Studi Confindustria (CSC) sulla produzione italiana. C’era da aspettarselo, verrebbe da dire, essendo rimaste aperte solo le attività essenziali e quelle ad esse correlate – come stabilito dai DPCM del 22 e 25 marzo scorsi. Eppure, non si tratta di una situazione da sottovalutare, in quanto l’industria italiana non sembra destinata a ripartire a gonfie vele nel corso dell’attesa Fase 2, periodo in cui si dovrà affrontare la temuta convivenza col virus. Il motivo per cui le attività del Bel Paese non torneranno improvvisamente al valore pre-coronavirus – che nel 2019 si era già contratto dello 0,5% a causa di fattori di rischio esogeni, quali Brexit e dazi statunitensi, ed endogeni, come la diminuzione dell’export, il calo del valore aggiunto e del fatturato – lo annuncia il CSC nel medesimo documento. La ripartenza dal 4 maggio “non genererà un veloce recupero perché le famiglie continueranno a essere prudenti e a risparmiare anche a scopo precauzionale, le imprese dovranno smaltire le scorte che si sono accumulate negli ultimi mesi mentre la domanda estera risentirà della contrazione corale dell’attività in Europa. Il secondo trimestre, per queste ragioni, mostrerà una dinamica di PIL e produzione molto più negativa rispetto a quella osservata nel primo”. Nello specifico, nel secondo trimestre c’è da attendersi “una caduta del PIL italiano di almeno 8 punti percentuali” e per scongiurare un impoverimento generalizzato – che farebbe arretrare di circa quarant’anni i livelli di benessere – sarebbe necessario sostenere in maniera adeguata sia le imprese che le famiglie.

Le misure anti-contagio nei luoghi di lavoro

Il calo della domanda nel mercato interno, dovuto alle limitazioni agli spostamenti delle persone, al distanziamento sociale ed alla chiusura di svariate attività del settore terziario durante il lockdown, non si arresterà immediatamente. Stessa cosa dicasi per la contrazione della domanda estera, dato che la riduzione della mobilità internazionale ha segnato una temporanea sospensione dei rapporti commerciali. Gran parte delle aziende italiane intervistate da Confindustria – un campione di 4420 imprese – ad aprile aveva segnalato non solo la criticità nella vendita dei prodotti e una parziale perdita o insolvenza dei clienti, ma anche la condizione di difficile gestione dei propri dipendenti per carenza di materiali sanitari di protezione, indispensabili allo svolgimento del lavoro in sicurezza. Pertanto, nonostante la problematica più evidente nell’attuale gestione delle imprese sia la mancanza di liquidità, non si potrà trascurare nel presente e nel prossimo futuro l’applicazione delle norme di sicurezza igienico-sanitaria negli ambienti di lavoro.

Condividere spazi comuni non sarà più possibile senza il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI). A quanto pare, le mascherine filtranti sono destinate ad essere parte integrante della nostra quotidianità per un lasso di tempo ancora indeterminato. La società tecnologica del Terzo millennio si è scoperta vulnerabile: tanto quanto i nostri antenati sprovvisti di computer, sofisticate periferiche e connessione internet, senza un “banale” sapone ed una mascherina chirurgica saremmo stati inermi di fronte ad un nuovo virus dall’elevata contagiosità. Perfino nelle fabbriche più avanzate, informatizzate e in gran parte automatizzate, i dipendenti dovranno essere dotati di basilari DPI. Il distanziamento sociale nei luoghi di lavoro dovrà essere scrupolosamente attuato per prevenire il rischio di focolai epidemici e, laddove non sia possibile svolgere le proprie mansioni rispettando la distanza di sicurezza interpersonale, gli impiegati dovranno essere ulteriormente protetti con guanti, occhiali o visiere, camici monouso – conformi alle disposizioni delle autorità sanitarie. Come stabilito dal Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento del SARS-CoV-2 negli ambienti lavorativi, le attività produttive che non forniranno adeguati livelli di protezione ai dipendenti saranno sospese. Ergo, garantire le misure anti-contagio è una condizione ineludibile per le imprese, le quali avranno diritto ad un credito d’imposta per l’acquisto di dispositivi di protezione medicale e sicurezza – come stabilito dal decreto Liquidità Dl 23/2020.

Adeguamento alle norme di prevenzione e incognite future

Anche alla luce delle misure previste per limitare il contagio, si può comprendere che la ripartenza industriale sarà una ripresa al rallentatore, anziché lo scatto di una competizione agonistica in stile capitalista. Fin dall’ingresso al luogo di lavoro, il personale potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea, accertandosi che non sia superiore ai 37,5°. Nelle zone maggiormente interessate dal coronavirus, potranno essere disposte dall’autorità sanitaria misure aggiuntive, come effettuare i tamponi. Pulizia giornaliera e sanificazione periodica dei locali rientrano fra le rigorose norme da applicare nelle aziende, assieme alla disinfezione negli uffici e nei reparti produttivi degli schermi touch, di mouse e tastiere con adeguati detergenti. Non saranno consentite riunioni in presenza: collegamenti video e formazione a distanza – oltre allo smart work, ove possibile – proseguiranno ad essere metodi preferenziali per evitare gli assembramenti. Nel caso di un lavoratore sintomatico, secondo le linee guida “si dovrà procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria e a quello degli altri presenti dai locali, l’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza per il COVID-19 forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute”.

Lo scenario futuro si prospetta denso di incognite. Secondo le previsioni del Centro Studi Confindustria, per impedire che la recessione attuale si possa tradurre in una depressione economica di lunga durata, in primis occorre mettere in sicurezza le imprese e i cittadini. Bisogna “tutelare il tessuto produttivo e sociale della Nazione, lavoratori, imprese, famiglie, con strategie e strumenti inediti e senza lesinare risorse in questo momento per garantire il benessere futuro. Occorre agire subito, senza tentennamenti o resistenze: altri paesi si stanno già muovendo in questa direzione.

Nessuno conosce, ad oggi, la dimensione complessiva degli interventi necessari, che saranno comunque massivi e che saranno condizionali agli sviluppi sanitari ed economici”. Abbiamo appurato che le politiche aziendali di protezione sanitaria saranno necessariamente implementate. Una domanda resta aperta: l’Italia saprà affrontare le forti turbolenze economiche che si profilano all’orizzonte?

Flora Liliana Menicocci


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