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Il FMI parla all’Asia, ma pare che non interessi a nessuno

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Nella Marrakesh post terremoto si è tenumto il meeting annuale del FMI, pieno di prediche, che probabilmente nussuno ascolta e vuole ascoltare

Il mondo prende uno schiaffo un giorno si, e quello dopo pure, per cui diventa sempre più difficile ascoltare chi si concentra sulla tutela dei ricchi, sulla lotta all’inflazione, e predica l’unità finanziaria di un un mondo sempre più frazionato. Perché è proprio il frazionamento il problema che assilla il FMI: con paesi divisi profondamente dal punto di vista politico, se non in guerra guerreggiata, chi se ne importa del FMI e delle sue raccomandazioni.

Cattive e buone notizie

Il FMI ha portato le sue solite previsioni, molte delle quali non si confermano. Per l’Europa le notizie sono state, francamente, pessime. Nelle economie europee avanzate, si prevede che la crescita economica scenderà dal 3,6% nel 2022 allo 0,7% quest’anno, prima di una ripresa all’1,2% l’anno prossimo. Una lenta morte economica, la dimostrazione di quanto inutili siano le politiche del Nex Generation EU, di quanto poco possano portare gli investimenti mirati in termini di crescita, sempre che questa fosse l’obiettivo di questi programmi.

La buona notizia è per gli asiatici è che si prevede che la crescita regionale rimarrà relativamente forte, al 4,6% quest’anno, il che significa che le economie asiatiche dovrebbero rappresentare circa i due terzi della crescita globale. Quella è la nuova frontiera della crescita.
La cattiva notizia è che la Cina si è indebolita come motore della crescita, e se “si verificasse uno scenario al ribasso in cui prendessero piede le strategie di “de-risking” e “reshoring”, allora la produzione delle economie asiatiche più strettamente legate alla Cina potrebbe diminuire del 10%. per cento nei prossimi cinque anni.

Quindi “rafforzare la cooperazione multilaterale e regionale e mitigare gli effetti della frammentazione geoeconomica sono sempre più vitali per le prospettive economiche dell’Asia”, ha affermato il FMI in un blog pubblicato venerdì.

La sua preoccupazione per i pericoli della frammentazione è tale che il World Economic Outlook del FMI cita la parola non meno di 172 volte. Come ha osservato Gillian Tett del Financial Times: “Gli economisti del FMI (come gli investitori globali) temono che l’aumento dei conflitti possa compromettere la crescita, anche mandando in frantumi le catene di approvvigionamento globali”.

Paura del debito, soprattutto privato

Il FMI ha messo in guardia dalla “diminuita capacità dei mutuatari individuali e aziendali di onorare il proprio debito”, con una percentuale crescente di piccole e medie imprese che detengono “contanti appena sufficienti per pagare le spese per interessi”. Ovviamente si è dimenticato di dire che questo problema è volutamente creato dalle politiche delle Banche Centrali, in primis quelle occidentali, che hanno incrementato i tassi di interesse.

Il denaro speso per il servizio del debito assorbe più del 40% delle entrate in alcuni paesi altamente indebitati, con problemi di debito societario che probabilmente peggioreranno l’anno prossimo poiché devono essere ripagati più di 5,5 trilioni di dollari.

Secondo l’Institute of International Finance, a giugno il debito mondiale, compreso quello dei governi, delle aziende e delle famiglie, ha raggiunto i 307mila miliardi di dollari. Si è trattato di un aumento di 10mila miliardi di dollari solo nei primi sei mesi dell’anno, il che significa che il debito globale ha rappresentato il 336% del prodotto interno lordo mondiale. “La nostra preoccupazione è che i paesi dovranno stanziare sempre di più per le spese per interessi”, ha affermato l’autore principale del rapporto Emre Tiftik.

Secondo un rapporto dell’Unctad, alla fine dello scorso anno, 59 paesi avevano debiti pubblici pari ad almeno il 60% del loro Pil, con 64 paesi che spendevano di più per ripagare gli interessi sul debito che per sanità o istruzione.

La gravità di questa deviazione dei fondi pubblici dalla spesa critica per l’istruzione, la sanità e il welfare è stata resa chiara da un rapporto del Debt Service Watch della scorsa settimana. Citando “la peggiore crisi del debito mai vista dall’inizio dei dati globali”, ha calcolato che il costo del debito pubblico nel Sud del mondo era in media pari al 38% delle entrate di bilancio e al 30% della spesa; in Africa, questi erano più alti, rispettivamente al 54% e al 40%. per cento rispettivamente.

Cambiare paradigma se si vuole crescita e stabilità sociale

Dopo l’attuale aumento dei tassi in dollari, 35 paesi hanno speso più della metà delle loro entrate per il servizio del debito, mentre altri 19 hanno speso più di un terzo. I più colpiti sono stati l’Egitto, dove il servizio del debito rappresentava il 196% delle sue entrate, e lo Sri Lanka, al 120%. Ma la Cina (82%), la Turchia (70%) e l’Argentina (73%) non erano molto indietro. Paesi popolosi, che si trovano vicini ad una drammatica crisi, la cui causa non è solo interna.

Oltre alla minaccia che i costi del debito possano spiazzare i bilanci dell’istruzione, della sanità e del welfare e togleire fondi a quei settori molto amati dall’Occidente ricco e annoiato, come il controllo del”Cambiamento climatico”, che passa in secondo piano quando non ci sono ospedali per i malati.

“Gli oneri del debito stanno impedendo sforzi significativi per attuare misure di mitigazione e adattamento [del clima]”, ha affermato il gruppo di difesa Debt Justice in un documento incentrato sul debito e sulla finanza climatica. Si chiede un meccanismo automatico di sospensione del servizio del debito per i paesi in gravi difficoltà e una cancellazione incondizionata del debito ove necessario, insieme a processi multilaterali di risanamento del debito.

“Gli effetti devastanti delle crisi successive sono sempre più evidenti”, ha affermato il FMI, “proprio mentre molti paesi stanno lottando per superare l’inflazione elevata, l’elevato debito e le significative carenze finanziarie per fornire servizi di base, sostenere le infrastrutture e l’azione per il clima e affrontare la crisi”.

Ovviamente in cambio di queste cancellazioni saranno imposte le politiche di austerità amate dal FMI, per cui si dà qualcosa con una mano e si toglie tutto il resto con l’altra. Eppure, alla fine, l’unica soluzione è evidente e, per quanto poco amata, si chiama inflazione. Uno strumento che fa cadere il valore reale del debito e ne permette il ripagamento nel tempo. Però non si potrebbe ricattare, con l’inflazione…


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