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Attualità

Il delirio digitale in Italia

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di Davide Gionco
Molti italiani nati non-digitali hanno sperimentato negli anni le semplificazioni portata dalla diffusione degli strumenti informatici nel lavoro e nella vita di tutti i giorni.
Nello stesso tempi tutti gli italiani, nell’epoca pre-digitale, avevano sperimentato i disagi derivanti dalle proverbiali complicazioni burocratiche degli enti pubblici.
Uno dei sogni degli italiani che hanno visto diffondersi gli strumenti informatici nel settore privato è che, finalmente, anche gli enti pubblici avrebbero potuto semplificare la vita ai cittadini.
Certamente questo pensava l’onorevole Stefano Quintarelli, quando nel lontano marzo 2013 propose l’istituzione in Italia del servizio SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), per dare prontamente attuazione al regolamento dell’Unione Europea eIDAS per l’identificazione elettronica dei cittadini, che sarebbe poi stato approvato nel luglio del 2014.

Purtroppo non è andata a finire così.

L’attuazione priva di buon senso di questi buoni principi ha portato alla creazione di pratiche digitali deliranti, che, lungi dal semplificare la vita ai cittadini, l’hanno ulteriormente complicata, portando ad inutili perdite di tempo ed a costi aggiuntivi da sostenere.

Partendo dal principio che “ora è facile identificarsi digitalmente”, i vari enti pubblici hanno pensato bene di richiedere la verifica dell’identità digitale per ogni tipo di operazione, anche la più banale, compresi molti adempimenti per i quali nessuno avrebbe la convenienza a rubare l’identità digitale di un’altra persona.

Il percorso di tortura per un genitore di un figlio che frequenta una scuola pubblica può iniziare quando si riceve l’avviso della scuola che è necessario pagare la modica cifra di 2,50 € per la foto di classe.

Anzi, precisamente, l’avviso non arriva dalla scuola, ma direttamente dal Ministero dell’Istruzione, il quale, per garantire l’efficienza del sistema, deve anche occuparsi del pagamento della foto di classe.
L’avviso di pagamento è codificato con ben 29 cifre. Si suppone che la codificazione identifichi chi la causale del pagamento (la foto), l’intestatario dell’avviso, il beneficiario del pagamento, la scadenza del pagamento.
Una volta sarebbe bastato far scrivere ai ragazzi sul diario di classe che c’erano da portare 2,50 € a scuola per pagare la foto di classe. Ma oggi siamo evoluti, non può essere così semplice.
Quindi dobbiamo attivare un software che emette l’avviso di pagamento e mandare una email automatica al destinatario dell’avviso.
A parte l’energia consumata per questa email inutile, essendoci nella comunicazione tutti gli estremi per finalizzare il pagamento (ovvero la richiesta di dare 2,50 € alla scuola per pagare la foto), la questione si potrebbe risolvere qui.

Invece no. Qualche genio al governo diretto da Paolo Gentiloni (che ora fa danni nella Commissione Europea) ha deciso nel Decreto Legislativo n. 217/2017, successivamente modificato dal Decreto Legge 162/2019, che tutti i pagamenti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, scuole comprese, debbano avvenire in modo tracciabile, quindi tramite pagamento elettronico.
Anche se si tratta dell’importo di 2,50 € per una foto scolastica.

A poco vale ricordare l’art. 693 del Codice Penale, che prevede “Chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a 30 euro”. Lo stesso Stato rifiuta che il pagamento avvenga in contanti, imponendo che avvenga con moneta elettronica, che, formalmente parlando, è una moneta scritturale fiduciaria, non avente corso legale.

Personalmente non riesco a cogliere la ragione di utilità pubblica di tracciare un pagamento di 2,50 €. Forse il timore che il fotografo possa non emettere fattura e pagare l’IVA? Va bene. Ma a noi cittadini quanto costa questa tracciabilità?

Dando per acquisito che lo Stato ha l’assoluta priorità di tracciare questo tipo di pagamenti, avendomi inviato un avviso di pagamento personale, con codice identificativo di 19 cifre, ci sarebbero già tutte le informazioni per emettere un bollettino di pagamento, generato da un software, che potrebbe essere banalmente allegato alla email.
Ma sarebbe troppo semplice.
E’ preciso intento dello Stato l’infliggere un certo livello di tortura psicologica ai propri cittadini.
Quindi il bollettino di pagamento non viene emesso in automatico, ma deve essere il cittadino stesso, reo di avere un figlio che frequenta una scuola pubblica, ad investire una parte del suo (inutile) tempo per produrre da solo il bollettino di pagamento.

E qui parte l’avventura digitale.
Prima di tutto è necessario accedere all’area riservata del “registro elettronico” della scuola.

Infatti, dopo avere ricevuto l’avviso di pagamento con codice identificativo a 29 cifre è ancora necessario confermare la propria identità di genitore del figlio che deve fare la foto di classe.
Non sia mai che si tratti di un’altra persona…
Se uno non volesse usufruire del registro elettronico, potrà sempre identificarsi tramite lo SPID o tramite carta di identità elettronica (CIE), sempre che uno non si trovi nei mesi di attesa per ottenere un appuntamento dal proprio ufficio anagrafe. Nel 2022 siamo arrivati fino a 112 giorni attesa per ottenere il documento di identità. Ovviamente a pagamento.

Dopo essersi identificati si può finalmente accedere all’area del pagamento.

In modo del tutto logico, nel senso della tortura da infliggere al cittadino, dopo essere già stati identificati una volta ricevendo un avviso di pagamento con codice a 29 cifre e dopo essersi identificati per poter cliccare il tasto verde del pagamento, si accede alla pagina del Ministero dell’Istruzione (e del Merito, non dimentichiamolo, perché i meriti si devono riconoscere), in cui viene richiesto una nuova identificazione.

Non sia mai che il pagamento venga effettuato da una persona diversa.
Lo Stato vuole essere certo che nessuno si sbagli, pagando per un altro. E’ fondamentale.

Non disponendo ancora di carta di identità elettronica (quella cartacea scade nel 2024), decidiamo di identificarci tramite SPID. Servizio acquistato pagandolo ad enti privati, abilitati dallo Stato.
Il fortunato ente privato, a cui ho versato il mio obolo, è Poste Italiane.
Purtroppo, prima di fare l’acquisto, mi ero fidato dei controlli di qualità dello Stato su questi enti, senza andarmi a leggere le non proprio ottime recensioni sul servizio di Poste ID.
Si entra quindi nella pagina di identificazione tramite SPID.

Da notare che a richiedere il pagamento per la foto da 2,50 € non è il fotografo, né la scuola, ma addirittura il Ministero dell’Istruzione.
In teoria la procedura di accesso dovrebbe essere semplice. Ma l’identificazione per il pagamento di ben 2,50 € chiede un livello di identificazione superiore, il Livello 2.
Quindi l’avventura continua.
La pagine internet chiede una ulteriore verifica di identità, tramite App su Poste ID (che mi obbliga ad acquistare uno smartphone e ad installare la loro applicazione privata sul mio telefono).

Nonostante i dubbi sui miei diritti di non avere sul mio telefono un’applicazione privata che qualcuno potrebbe utilizzare per spiarmi, il desiderio di semplificazione digitale prevale, per cui ho ceduto alla tentazione, ho acquistato lo smartphone e ho installato la famigerata applicazione.

Che però, oggi, non funziona.

A questo punto, dato che l’App non funziona, cerco di identificarmi utilizzando la sola modalità alternativa consentita, tramite l’invio di un codice via SMS.

A questo punto noto che l’uso della credenziale basata su SMS prevede un limite massimo di accessi per trimestre. Quindi se il numero di pagamenti scolastici è eccessivo e l’applicazione di Poste ID funziona male un numero eccessivo di volte, non mi sarà più possibile identificarmi. E rischierò di non poter pagare i 2,50 €, lasciando mio figlio triste e senza foto di classe.
Ma è un rischio che dobbiamo correre in nome della semplificazione digitale.
E per fortuna non devo fare molti altri pagamenti ad enti pubblici.

La buona sorte vuole che mi restino ancora 2 SMS residui a disposizione per identificarmi.
Finalmente riesco a dimostrare al Ministero dell’Istruzione (con i suoi meriti) di essere proprio io che intendo pagare 2,50 € per la foto di classe di mio figlio.

Per poterlo fare, nel rispetto della mia privacy, mi viene chiesta l’autorizzazione di inviare al fornitore dei servizi tutti i dati che il fornitore dei servizi già disponeva quando mi ha mandato l’avviso di pagamento via email.
Certo, la privacy è importante. Anche se lo scorso anno tutti hanno dovuto sapere pubblicamente, se ero vaccinato o meno contro il covid-19, ora lo Stato mi vuole tutelare nella trasmissione dei miei dati personali alla scuola di mio figlio. Effettivamente c’è il rischio che vengano usati in modo improprio. Ad esempio per mandarmi il prossimo avviso di pagamento.
Va bene. Autorizziamo la trasmissione dei dati. Anche perché non ho alternative.
Ma la trasmissione non va a buon fine.

Purtroppo il tempo trascorso battagliando con l’applicazione malfunzionante di Poste ID ha fatto perdere la pazienza al sito del Ministero dell’Istruzione (senza il merito della pazienza). E per fortuna mastico un po’ di inglese, per capire il senso di “Timeout”.

Quindi dobbiamo ricominciare da capo!

Dopo avere completato la procedura e consumato il penultimo degli SMS residui di Poste ID, riesco finalmente ad accedere alla pagina di Pago In Rete.

Mi viene da pensare che sarebbe potuto pagare partendo direttamente da qui, inserendo direttamente il codice identificativo a 29 cifre che avevo ricevuto per email.
Ma ora ricordo che i metodi di tortura devono sempre essere sofisticati e questo spiega l’arduo percorso informatico per arrivare alla pagina dei pagamenti.

Un’altra pagina di passaggio, perché il Ministero dell’Istruzione (e del Merito) vuole sapere se io, per caso, non sia arrivato fino a qui per fare un “versamento volontario” o per “gestire consensi”.
Quindi clicco su “Visualizza pagamenti” e accedo alla pagina in cui vedo lo stesso avviso di pagamento, con esattamente gli stessi dati che avevo ricevuto nella email iniziale.

Dopo di che l’avventura continua.
Ora posso decidere come effettuare il pagamento.
Posso decidere se scaricare il file PDF del bollettino, come me lo avrebbero già potuto spedire via email e poi andare in posta o dal più vicino tabaccaio per fare il pagamento.

L’altra volta il tabaccaio sotto casa mi ha chiesto ben 2,50 € di commissioni per questo tipo di pagamento. Per evitare di pagare il 100% di commissioni sull’importo del pagamento (importo dovuto ai sacri principi della tracciabilità e della semplificazione digitale), tento la sorte e provo con il “pagamento immediato”.
E… sorpresa! Se fossi andato a pagare dal tabaccaio, l’avrei potuto fare in modo anonimo. Invece la piattaforma PagoPa, che è un ente pubblico diverso del Ministero dell’Istruzione (e del Merito) mi chiede nuovamente di identificarmi tramite SPID. O in alternativa tramite email, andando a creare un ulteriore profilo utente in PagoPa.

Per evitare le “forche caudine” dello SPID scelgo di entrare con la mai email.
Ancora una volta lo Stato si premura di ricordarmi i miei diritti sul trattamento dei dati personali, dopo avermi imposto il pagamento digitale tracciabile per la foto da 2,50 euro.

Si arriva quindi, finalmente, alla pagina dei pagamenti.
A questo punto dovrebbe essere semplice.

Scelgo di pagare tramite bonifico bancario.

Ma, per mia sfortuna, la mia banca non è fra quelle che ha fatto accordi con PagoPa.
Il bonifico non è per tutti, constato. Quindi torno indietro, per scegliere un’altra modalità di pagamento.

Ma la pagina internet, anziché lasciarmi ritentare, mi comunica che il pagamento non è andato a buon fine. Colpa mia, che non avevo il conto corrente presso la banca giusta.

A questo punto, come logico, torno su “visualizza pagamenti”, per rifare il pagamento in altro modo.
“Pago in rete” mi informa che al momento non risultano dei pagamenti da effettuare.

Dopo ben 30 minuti passati ad identificarmi per 3 volte, a battagliare con le applicazioni non funzionanti di Poste ID per avere il bollettino di pagamento, che la scuola avrebbe potuto trasmettermi per email, ora scopro che il bollettino “online” è scomparso. Senza ulteriori istruzioni sul da farsi.
Non mi resta che uscire dal sito internet e chiamare la scuola, domani mattina, per chiedere spiegazioni. Sempre che siano in grado di darmele.

Dopo circa 30 minuti ricevo un messaggio email che chiarisce la situazione.
Il pagamento non è andato a buon fine.

Effettivamente me n’ero accorto anche io. Sarebbe bastato lasciarmi usare un altro mezzo di pagamento. E, invece, mi tocca ricominciare tutto da capo: identificazione per entrare nel portale della scuola, identificazione SPID con Poste ID (e m i resta sono un SMS disponibile, speriamo vada tutto bene), identificazione per entrare in PagoPa

Ripeto pazientemente tutte le operazioni. Per fortuna Poste ID riconosce il mio nome utente e password (perché in casi precedenti non lo aveva fatto, obbligandomi a cambiare password, rigorosamente di almeno 8 caratteri, con numeri, lettere maiuscole e minuscole e un carattere speciale e diversa da quelle precedentemente utilizzate).
Riesco ad arrivare, dopo altri 10 minuti, all’area dei pagamenti.
Questa volta scelgo la modalità “carta di credito”

Ovviamente mi devo identificare, per una quarta volta, per la carta di credito.
Il sistema mi informa che l’operazione è stata presa in carico. Siamo speranzosi…

Ci siamo riusciti! Anche per quest’anno ho potuto, con grande sforzo, garantire la mio figlio il diritto di avere una copia della foto di classe. Non era scontato.

Dopo un po’, per un totale di circa 45 minuti complessivamente investiti, ricevo l’agognato messaggio che il pagamento è andato a buon fine. Costo: solo 2 € di commissioni, per un totale di 4,50 € pagati per la foto di classe. Moltiplicato per 25 alunni della classe fanno 50 € di commissioni al sistema bancario, spesi nel nome della semplificazione digitale e della fondamentale esigenza di tracciare ogni singolo pagamento di 2,50 €.
E per fortuna ho una laurea in ingegneria. Non oso immaginare i problemi che potrebbe avere un cittadino con basso livello di istruzione e di poca consuetudine all’uso degli strumenti informatici.
Comincio a sospettare chi sia stato a imporre questo tipo di pagamenti tracciabili. Come diceva il compianto giudice Giovanni Falcone “segui i soldi”.

Facciamo un po’ di conti…
In Italia ci sono circa 8,5 milioni di studenti. Per ogni studente una media di 6 versamenti l’anno per studente (iscrizione, contributo volontario, 2 gite di istruzione, spettacolo della giornata della memoria, foto di fine anno), fanno 12 € per 8,5 milioni, per un totale di circa 100 milioni di euro l’anno di commissioni.
Se a questo aggiungiamo il prezzo di mercato di 45 minuti persi dal genitore, al modico costo di 15 € l’ora lordi, si aggiungono altri 574 milioni di euro di costi a carico del cittadino.
Un totale di 674 milioni di euro (lo 0,04% del PIL) per i quali dobbiamo ringraziare il Merito del Ministero dell’Istruzione, incapace di inviare alle famiglie direttamente i bollettini di pagamento e di pretendere dal sistema bancario che non vi siano commissioni da pagare al di sotto di una certa cifra.

E ci siamo occupati solamente dei pagamenti verso il Ministero dell’Istruzione. Ovviamente lo Stato fa pressioni verso tutti gli altri enti pubblici perché si adeguino alla “modernizzazione digitale”.

Non essendo l’acquisto della foto di classe un pagamento obbligatorio, avrei potuto, per principio, rifiutarmi di farlo. Ma sarebbe stato difficile spiegare a mio figlio che avrebbe dovuto rinunciare alla foto con i compagni di scuola perché il padre intende mandare un segnale di dissenso allo Stato. Anche perché lo Stato, ovviamente, non se ne accorgerà. A meno che tutti i cittadini non si rifiutino di usare questi assurdi e disumani metodi di pagamento.

Qualcuno mi dirà che una volta i pagamenti si facevano alle Poste, facendo lunghe code e pagando anche lì la commissione per il bollettino postale.
Questo è vero, ma nessuno andava in posta per il pagamento di 2,50 € per una foto di classe. E neppure per la gita scolastica.
I soldi li si davano al figlio, che li portava a scuola, dove un insegnante li raccoglieva e segnava chi aveva pagato e chi no.
Era un sistema che funzionava bene da decenni. Ma oggi siamo digitali, dobbiamo progredire e fare perdere 45 minuti, più 2 € di commissioni, per tracciare dei pagamenti di 2,50 €. E’ una questione di principio, per chi ci governa.

O di folle ideologia, unita alla nota incompetenza di chi viene incaricato di organizzare questi servizi.

Qualcun altro ha proposto che un genitore, il rappresentante di classe, dovrebbe proporsi di raccogliere i pagamenti in contanti e di tenere segnati i pagamenti, per poi fare un unico pagamento, tracciabile, per le foto di tutti i 25 alunni della classe.
Purtroppo i genitori eletti come rappresentanti di classe lavorano, non hanno il tempo di farsi carico di questo servizio. Gli insegnanti non sono più tenuti a farlo. Nessuno lo fa. Quindi resta l’unica via possibile di passare per le procedure SPID + PagoPa + Pago In Rete, ecc.

Le tecnologie digitali possono certamente semplificarci la vita, ma solo se usate con buon senso. In caso contrario diventano una tortura. In alcuni casi un incubo, quando quel pagamento è indispensabile per partecipare ad un concorso o per usufruire di un diritto fondamentale di cittadino.
E’ sufficiente che vi sia un problema in uno dei troppi “passaggi digitali” perché il pagamento non vada a buon fine ed il diritto fondamentale non venga garantito.
Se le procedure oggi imposte dallo Stato venissero sottoposte ad uno studio di “analisi dei rischi”, come si fa nei processi industriali, esse verrebbero totalmente bocciate. I rischi di problemi sono molteplici: l’errore di un software o di una applicazione dei vari soggetti coinvolti, la mancanza anche solo temporanea di segnale internet, il malfunzionamento del telefonino che deve ricevere l’SMS, il mancato aggiornamento di una applicazione, un errore da parte dell’ente pubblico…

Ho provato a raccontare a degli amici che vivono all’estero come funzionano da noi i pagamenti verso gli enti pubblici. Si sono messi a ridere e sono stupiti dal fatto che la gente non protesti.
Nei paesi normali è lo Stato ad inviare al cittadino il bollettino di pagamento con i dati necessari e il cittadino lo paga allo stesso modo di tutti gli altri pagamenti del settore privato. Che senso ha prevedere delle piattaforme differenti e delle modalità differenti?
Allo Stato interessa che quel pagamento, inviato al destinatario, venga effettuato da qualcuno. Non è necessario che il cittadino si identifichi elettronicamente prima di pagare.

Questo è l’esempio di un bollettino di pagamento svizzero.

Ci sono tutti i dati essenziali. Un codice identificativo. Le coordinate per il bonifico.
Per chi vuole un codice QR, che evita di copiarsi a mano tutti i dati.
Semplice e funzionale.

Perché le procedure digitali funzionino correttamente è necessario che siano realmente semplici, razionali, con un numero minimo di passaggi, tenendo conto nel diagramma di flusso degli errori che potrebbero sopravvenire, con verifiche di effettiva funzionalità fatte da parte di enti certificatori terzi. Ma soprattutto serve il buon senso di non digitalizzare ciò che non ha senso che sia digitalizzato.
Non ha senso imporre farraginose procedure di pagamento digitale per un importo banale di 2.50 €.
E occorre l’onestà di mettere al centro l’attenzione ai diritti del cittadino e non gli interessi dei troppi soggetti che lucrano sui vari passaggi imposti dall’iter digitale.

Se qualcuno conosce dei parlamentari o dei ministri, faccia loro pervenire questo articolo.

Di fronte ad uno Stato che non solo ci fa pagare, ma che ci infligge in modo delirante continue torture digitali, viene davvero voglia di chiamare a raccolta amici e parenti per costruire una nuova società civile, con istituzioni che funzionino e che rispettano i cittadini.

Per favore, ponete fine a queste torture.


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