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Il caso belga dei beni russi: diritto, precedenti e fiducia a rischio di Antonio Maria Rinaldi
Beni russi e Euroclear: ecco perché il Belgio blocca la confisca. I rischi legali e il pericolo di una fuga di capitali dall’Europa spiegate senza filtri.

Il Belgio si trova oggi al centro di una delle questioni più delicate emerse dal conflitto russo-ucraino, una questione che travalica ampiamente il piano politico per investire direttamente il diritto internazionale e la stabilità del sistema finanziario globale. Il tema è quello della gestione dei beni russi congelati nell’Unione europea e, in particolare, delle riserve detenute presso Euroclear, nonché dell’ipotesi di un loro utilizzo a favore dell’Ucraina. La scelta belga di bloccare di fatto qualsiasi passo verso la confisca non rappresenta una ritirata politica, ma la presa d’atto di criticità giuridiche profonde, destinate a produrre conseguenze sistemiche.
Il nodo centrale risiede nella distinzione, tutt’altro che meramente terminologica, tra congelamento e confisca. Il congelamento è uno strumento previsto dal quadro delle sanzioni internazionali e comporta una sospensione temporanea della disponibilità dei beni. La confisca, al contrario, implica una privazione definitiva del diritto di proprietà e richiede basi giuridiche robuste, chiare e universalmente riconosciute. Al momento, tali basi non esistono. Procedere in assenza di un fondamento giuridico solido significherebbe creare un precedente di enorme portata: l’idea che beni sovrani o privati possano essere espropriati per finalità politiche, senza una sentenza definitiva o un accordo multilaterale.
È fondamentale chiarire che la questione non riguarda esclusivamente i beni russi detenuti presso Euroclear. Il problema giuridico investe l’insieme degli asset russi congelati in Europa, indipendentemente dal luogo di custodia. Euroclear assume un ruolo centrale non per una specificità dei beni che ospita, ma perché vi è concentrata la quota largamente maggioritaria delle riserve della Banca centrale russa congelate nell’Unione e perché la giurisdizione competente è quella belga. Qualsiasi utilizzo o confisca di tali asset, ovunque detenuti, solleverebbe però le medesime questioni di principio: immunità sovrana, tutela del diritto di proprietà e rispetto delle regole fondamentali dell’ordinamento internazionale. Ridurre la questione a un “caso Euroclear” significherebbe dunque fraintendere la reale portata sistemica del problema.
La posizione del Belgio è resa ancor più sensibile dal ruolo che il Paese ricopre nel sistema finanziario globale. Euroclear non è un attore marginale, ma uno dei principali depositari centrali di titoli al mondo, custode di migliaia di miliardi di euro di asset appartenenti a Stati, istituzioni finanziarie e investitori internazionali. Qualsiasi iniziativa giuridicamente fragile ricadrebbe direttamente sulla responsabilità dello Stato belga, esponendolo a un contenzioso potenzialmente vastissimo. Le azioni legali non riguarderebbero solo la Russia, ma anche soggetti terzi che potrebbero rivendicare danni indiretti o violazioni delle garanzie patrimoniali.
Accanto al profilo giuridico emerge un elemento forse ancora più critico: la fiducia. I grandi investitori istituzionali, le banche centrali e i fondi sovrani scelgono dove depositare i propri asset sulla base di criteri precisi: stabilità, neutralità e rigoroso rispetto del diritto di proprietà. Se si diffonde la percezione che in Belgio, e più in generale nell’Unione europea, tali principi possano essere sospesi in funzione delle contingenze politiche, il danno reputazionale rischia di essere profondo e duraturo. La conseguenza più immediata sarebbe una progressiva riallocazione degli asset verso altre giurisdizioni percepite come più affidabili, con una perdita strutturale di centralità per Bruxelles e per Euroclear.
Il paradosso è evidente. Nel tentativo di sostenere l’Ucraina, si rischia di indebolire uno dei pilastri su cui si fonda la credibilità finanziaria europea. Non si tratta solo di una questione di legalità formale, ma di coerenza sistemica. Il diritto internazionale si costruisce attraverso i precedenti, e una forzatura oggi potrebbe legittimare domani azioni analoghe, magari in contesti molto diversi e contro soggetti attualmente considerati alleati.
La cautela del Belgio va dunque letta come il riconoscimento di un limite strutturale. In assenza di un quadro giuridico chiaro, condiviso e multilaterale, l’utilizzo dei beni russi congelati resta una strada ad altissimo rischio. In gioco non vi è soltanto il finanziamento della ricostruzione ucraina, ma la tenuta delle regole che governano la finanza internazionale e la fiducia su cui esse si basano.
Domande e risposte
Perché il Belgio si oppone alla confisca diretta dei beni russi nonostante il sostegno all’Ucraina?
Il Belgio non si oppone per motivi politici, ma giuridici e finanziari. La confisca, a differenza del congelamento, richiede basi legali che attualmente mancano nel diritto internazionale. Procedere senza queste basi esporrebbe lo Stato belga e la società Euroclear a cause legali miliardarie e creerebbe un precedente pericoloso che minerebbe la certezza del diritto di proprietà, fondamentale per un sistema finanziario credibile.
Qual è la differenza sostanziale tra congelamento e confisca degli asset?
La distinzione è cruciale. Il congelamento è una misura temporanea che blocca l’uso dei beni come sanzione, ma non ne trasferisce la proprietà. La confisca è l’espropriazione definitiva del bene. Mentre il congelamento è previsto dagli attuali regimi sanzionatori, la confisca di beni sovrani (come quelli di una Banca Centrale) senza una sentenza o un trattato di pace violerebbe l’immunità sovrana e le norme basilari del diritto internazionale.
Quali sarebbero le conseguenze economiche per l’Europa se si procedesse comunque alla confisca?
Il rischio principale è la perdita di fiducia degli investitori internazionali (Cina, Arabia Saudita, fondi sovrani). Se l’UE dimostrasse che la proprietà privata può essere violata per scopi politici, i capitali fuggirebbero verso giurisdizioni ritenute più sicure e neutrali. Questo indebolirebbe il ruolo dell’Euro come valuta di riserva e danneggerebbe strutturalmente piazze finanziarie chiave come quella belga, dove opera Euroclear.








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