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Idrogeno, la svolta che non ti aspetti? Una nuova batteria giapponese che funziona a bassa temperatura
Svolta sull’idrogeno: la nuova batteria giapponese funziona a bassa temperatura e potrebbe rivoluzionare l’energia pulita, superando i limiti di sicurezza e stoccaggio.

L’idrogeno è da decenni il Sacro Graal dell’energia pulita: potenziale immenso, ma con un “piccolo” problema pratico che ne ha sempre frenato la diffusione su larga scala. Come immagazzinarlo in modo sicuro ed efficiente? Le soluzioni attuali, che richiedono pressioni elevatissime (parliamo di 350-700 bar, come avere decine di atmosfere concentrate in una bombola) o temperature criogeniche da film di fantascienza (-253 °C), sono complesse, costose e non esattamente comode per l’auto di famiglia.
Dal Giappone, precisamente dall’Istituto di Scienza di Tokyo, arriva una notizia che potrebbe, e il condizionale è d’obbligo, cambiare le carte in tavola. Un team di ricercatori ha sviluppato una “batteria a idrogeno” in grado di funzionare a soli 90 °C, una temperatura quasi banale rispetto ai 300-400 °C richiesti dalle tecnologie simili finora sperimentate.
Il problema e la soluzione (in teoria)
La sfida è sempre stata quella di trovare un materiale capace di “assorbire” idrogeno come una spugna e di rilasciarlo su richiesta, senza dover ricorrere a condizioni estreme. Una delle soluzioni più promettenti sulla carta è l’idruro di magnesio (), che vanta un’elevata capacità teorica di stoccaggio. Peccato che, fino ad oggi, per convincere l’idruro di magnesio a fare il suo lavoro servisse un gran calore, rendendolo poco pratico e inefficiente per un uso quotidiano.
I ricercatori giapponesi, guidati dal professor Ryoji Kanno, sembrano aver trovato la chiave di volta. Il segreto risiede in un nuovo elettrolita solido, un materiale innovativo che permette agli ioni idruro () di muoversi rapidamente e con stabilità anche a temperature più umane.
Il funzionamento del sistema è, concettualmente, piuttosto elegante:
- Fase di carica: L’idruro di magnesio (), che funge da anodo (il polo negativo), rilascia ioni idruro (). Questi viaggiano attraverso il nuovo elettrolita solido fino al catodo (il polo positivo), dove vengono ossidati per rilasciare gas idrogeno () che viene così “stoccato”. Il processo di stoccaggio richiede però energia.
- Fase di scarica: Il processo si inverte. Il gas idrogeno viene ridotto a ioni idruro () al catodo, i quali migrano nuovamente verso l’anodo per riformare l’idruro di magnesio, rilasciando energia nel processo.
Questo ciclo, completamente reversibile e a bassa temperatura, supera di slancio i limiti che avevano finora ingabbiato questa tecnologia.
Ecco un’immagine in cui vengono mostrati i cicli di carico e scarico:
Numeri e prospettive: è la volta buona?
I risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista Science sono notevoli. La batteria ha raggiunto la piena capacità teorica di stoccaggio dell’idruro di magnesio, pari a circa 2.030 mAh/g, che corrisponde a un rispettabile 7,6% di idrogeno in peso. Si tratta di un traguardo mai raggiunto prima in condizioni operative così blande.
Come ha spiegato il dott. Takashi Hirose, uno degli autori dello studio, “le proprietà di questa batteria non erano finora ottenibili con i metodi convenzionali, offrendo una base per sistemi di stoccaggio dell’idrogeno adatti a essere usati come vettori energetici”.
Le implicazioni, se la tecnologia si dimostrasse scalabile industrialmente, sarebbero enormi. Potrebbe accelerare la diffusione di veicoli a idrogeno, fornire soluzioni per l’accumulo di energia da fonti rinnovabili e decarbonizzare interi settori industriali. Il Giappone ha continuato a investire in mezzi ad idrogeno, e questa tecnologia fornirebbe un vantaggio nella sua implementazione.
Certo, come sempre accade in questi casi, la strada dal prototipo di laboratorio alla produzione di massa è lunga, costosa e piena di ostacoli. Prima di cantare vittoria e immaginare di fare il pieno di idrogeno alla nostra utilitaria, bisognerà superare le sfide legate all’ingegnerizzazione e ai costi di produzione. Tuttavia, il passo avanti scientifico è innegabile e apre uno spiraglio concreto dove prima c’erano solo barriere apparentemente invalicabili.
Domande & Risposte
- In parole semplici, perché questa nuova batteria è così importante? R: È importante perché risolve il problema più grande dell’idrogeno: come immagazzinarlo in modo sicuro e pratico. Invece di usare bombole ad altissima pressione o temperature glaciali, questa tecnologia usa un materiale solido (idruro di magnesio) che “assorbe” e rilascia idrogeno a soli 90 °C. Questa temperatura relativamente bassa rende la tecnologia molto più sicura, efficiente e potenzialmente utilizzabile in applicazioni comuni, come le automobili o lo stoccaggio di energia per le case, aprendo la porta a un uso diffuso dell’idrogeno come fonte di energia pulita.
- Qual è la differenza principale rispetto alle batterie al litio che usiamo oggi? R: La differenza fondamentale sta in cosa immagazzinano. Le batterie al litio immagazzinano energia elettrica direttamente tramite il movimento di ioni litio. Questa batteria a idrogeno, invece, è un dispositivo di stoccaggio chimico: non immagazzina elettricità, ma gas idrogeno in una forma solida e sicura. L’idrogeno può poi essere estratto e utilizzato in una cella a combustibile per produrre elettricità quando serve. È più simile a un serbatoio di carburante ricaricabile che a una batteria tradizionale.
- Quali sono i prossimi ostacoli prima di vedere questa tecnologia sul mercato? R: Il primo ostacolo è la scalabilità. Un conto è creare un prototipo funzionante in laboratorio, un altro è produrlo su larga scala a costi competitivi. Bisognerà ottimizzare i materiali, in particolare il nuovo elettrolita solido, per garantirne la durata nel tempo e la stabilità dopo migliaia di cicli di carica e scarica. Infine, sarà necessario integrare questa tecnologia in sistemi completi (ad esempio, in un veicolo), un processo di ingegnerizzazione complesso e costoso. Potrebbero volerci ancora diversi anni.

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