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I TRATTATI DELL’UE COME NON VE LI HANNO MAI SPIEGATI. PARTE PRIMA (di Giuseppe PALMA)

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tavole della legge

PARTE PRIMA

 Presento per Scenari Economici – in quattro speciali – i TRATTATI DELL’UNIONE EUROPEA e i loro gravi aspetti di criticità, da Maastricht a Lisbona!

Il mio obiettivo è quello di rendere l’argomento, di per sé molto complesso, comprensibile a chiunque.

Il contenuto di tutti e quattro i lavori è ripreso dal mio ultimo libro intitolato “IL MALE ASSOLUTO. Dallo Stato di Diritto alla modernità Restauratrice. L’incompatibilità tra Costituzione e Trattati dell’UE. Aspetti di criticità dell’Euro”, Editrice GDS (prima edizione ottobre 2014; seconda edizione febbraio 2015).

I quattro speciali sono scritti con metodo scientifico, seppur con un linguaggio semplicissimo.

Buono studio.

PARTE PRIMA

“LA STORIA DEL PROGETTO EUROPEO:

DA PARIGI A LISBONA”

 

  1. Brevi cenni sulla nascita del progetto europeo e sul suo sviluppo: i principali Trattati dell’UE e i più importanti aspetti di criticità del Trattato di Maastricht

Una prima “unione”, seppur di carattere prettamente economico, si ebbe già agli inizi degli anni Cinquanta tra sei Stati del Vecchio Continente, infatti Italia, Germania ovest, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo diedero vita alla CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), un Trattato sottoscritto a Parigi il 18 aprile 1951 con l’obiettivo di creare un “mercato comune” per il carbone e per l’acciaio. Successivamente, nel 1957, con i Trattati di Roma[1] venne istituita sia la CEE (Comunità Economica Europea), che aveva come obiettivo principale quello della libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone al di fuori dei confini nazionali (in pratica una prima integrazione di carattere economico-commerciale), sia l’EURATOM (Comunità Europea dell’Energia Atomica), che aveva invece lo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli Stati membri relativi all’energia nucleare. Nel 1973 gli Stati membri divennero nove con l’adesione del Regno Unito, della Danimarca e dell’Irlanda e, nel 1979, il Parlamento europeo venne eletto per la prima volta a suffragio universale e diretto. Il 1979 fu un anno importante anche per un altro motivo: il 13 marzo entrò in vigore lo SME (Sistema Monetario Europeo), ossia l’accordo per il mantenimento di una parità di cambio prefissata che poteva oscillare entro una fluttuazione del ±2,25% (del ±6% per Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo), avendo a riferimento una unità di conto comune (l’ECU, cioè unità di conto europea), determinata in rapporto al valore medio dei cambi del paniere delle divise dei Paesi aderenti. Fu un primo passo verso il progetto futuro di moneta unica europea. Nel 1986 venne sottoscritto l’AUE (Atto Unico Europeo) con lo scopo di completare la costruzione del “mercato interno” (che aveva avuto una battuta d’arresto dopo le crisi economiche degli anni Settanta) ed avviare un primo embrione di Unione politica. Tuttavia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e fino a tutto il 1991, il mondo era rigidamente diviso in due a causa della guerra fredda tra i due grandi blocchi USA – URSS, quindi gli equilibri internazionali non avrebbero potuto discostarsi da questa netta divisione. E’ alla fine degli anni Ottanta che si verifica il vero spartiacque: il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino, quella barriera in pietra e cemento che divideva la Germania ovest dalla Germania est (che vengono unificate), e quindi il mondo occidentale che faceva capo agli Stati Uniti d’America e il mondo dell’est europeo che faceva riferimento all’Unione Sovietica. Da un lato è la fine della guerra fredda, dall’altro è l’inizio di un nuovo Ordine che nasconde quello che diverrà il Neo-Feudalesimo globale. Dal 1991 in poi, con fin troppa consapevole coscienza, inizia un percorso irreversibile che condurrà l’intero Vecchio Continente a disegnare un progetto grandioso solo nell’apparenza ma che, nella sostanza, è marcatamente criminale ed anti-democratico.

Ed eccoci giunti al 1992: è l’anno del TRATTATO DI MAASTRICHT (o TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA – TUE), sottoscritto il 7 febbraio 1992 a Maastricht, nei Paesi Bassi (nostro Presidente del Consiglio dei Ministri è il democristiano Giulio Andreotti mentre Ministro degli Esteri è il socialista Gianni De Michelis), tra i dodici Stati membri dell’allora Comunità Europea (Italia, Paesi Bassi, Danimarca, Spagna, Grecia, Lussemburgo, Belgio, Regno Unito, Francia, Germania, Irlanda e Portogallo). Il Trattato entra in vigore il 1° novembre 1993 ed ha come obiettivo quello di preparare la creazione dell’unione monetaria europea e gettare le basi per un’unione politica (cittadinanza, politica estera comune e affari interni). Oltre ad istituire l’Unione Europea (che sostituisce la Comunità Europea), il Trattato introduce un’apparente quanto inefficace procedura di codecisione tra il Parlamento e il Consiglio nell’adozione degli atti giuridici dell’Unione. Il suo contenuto pone altresì le basi della futura moneta unica, infatti viene sancita la nascita dell’UEM (Unione Economica e Monetaria dell’Unione Europea) che, attraverso tre successive fasi, deve concludere un percorso che porti al conio di una moneta unica europea in sostituzione di ciascuna valuta nazionale dei Paesi membri. Con la creazione dell’IME (Istituto Monetario Europeo) nel 1994, viene prevista la nascita – entro il 1° gennaio 1999 – della BCE (Banca Centrale Europea) e del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) che avrebbe coordinato la politica monetaria unica. Al fine di poter giungere alla fase finale, ciascuno Stato firmatario del Trattato deve rispettare cinque criteri di convergenza (più comunemente conosciuti come “parametri di Maastricht”):

  • Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%;
  • Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60% (Italia e Belgio vengono esentati dal rispettare questo parametro);
  • Tasso d’inflazione non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi;
  • Tasso d’interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi più virtuosi;
  • Permanenza negli ultimi due anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale.

Ciò detto, il parametro maggiormente discusso è quello del rapporto tra deficit pubblico e PIL che non deve sforare il tetto rigido del 3%. Il numero 3 fu deciso inizialmente dall’ex Presidente della Repubblica francese François Mitterrand che voleva un numero qualsiasi da opporre alle continue richieste di denaro da parte dei suoi ministri. Il 3 rievocava la “Trinità”, quindi poteva andar bene. Sembra una favola, ma è andata proprio così! E’ il 1981 quando i socialisti francesi guidati da Mitterrand vincono le elezioni, e, per far fronte alle promesse elettorali, portano il deficit da 50 a 95 miliardi di franchi. Al fine di “rientrare”, Mitterrand incaricò l’allora vice-direttore del dipartimento del Bilancio al ministero delle Finanze Pierre Bilger di individuare una regola che evitasse spese pubbliche “pazze”. Bilger contattò due giovani esperti economici, Roland de Villepin e Guy Abeille, e sarà proprio quest’ultimo (all’epoca non ancora trentenne) ad elaborare – su sua stessa ammissione senza alcuna base scientifica – il tetto del 3%[2]. Dirà più avanti Guy Abeille: «Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2,6 % del Pil. Ci siamo detti: un 1% di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. Il 2% metterebbe il governo sotto troppa pressione. Siamo così arrivati al 3%. Nasceva dalle circostanze, senza un’analisi teorica»[3]. Lo stesso parametro fu poi utilizzato quale “regola europea” (anche perché Mitterrand intendeva tenere sotto controllo la forza economica di una Germania unita) ed entrò a far parte del Trattato di Maastricht. Questa regola del 3%, a distanza di circa vent’anni, è diventata una vera e propria disgrazia che impedisce agli Stati membri di far leva sulla spesa pubblica al fine di risolvere le problematiche economico-sociali. Lo stesso dicasi in merito al tetto previsto per il tasso d’inflazione (cioè non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi): un altro limite capestro che impedisce l’adozione di qualsiasi soluzione ragionevole per far fronte a periodi di recessione.

Il 2 ottobre 1997 viene sottoscritto il TRATTATO DI AMSTERDAM (nostro Presidente del Consiglio dei Ministri è Romano Prodi, capo della coalizione di centro-sinistra che aveva vinto le elezioni politiche del 1996, mentre Ministro degli Esteri è Lamberto Dini), entrato in vigore il 1° maggio 1999. Esso riforma le Istituzioni europee in vista dell’adesione di nuovi Stati, quindi modifica, rinumera e consolida il Trattato di Maastricht e il Trattato di Roma. Prevede inoltre un processo decisionale apparentemente più trasparente attraverso un più ampio ricorso alla c.d. procedura di codecisione tra Consiglio dell’UE e Parlamento europeo nell’adozione degli atti giuridici dell’Unione. In realtà si tratta di una vera e propria “truffa procedurale” che, riformata (anche nel nome) dal Trattato di Lisbona, altro non è che uno specchietto per le allodole di cui mi occuperò approfonditamente nel secondo speciale.

Il 26 febbraio 2001 viene firmato il TRATTATO DI NIZZA (nostro Presidente del Consiglio dei Ministri è l ex socialista Giuliano Amato che presiede un esecutivo sostenuto da una maggioranza di centro-sinistra, mentre Ministro degli Esteri è sempre Lamberto Dini), che entra in vigore il 1° febbraio 2003. Il Trattato, oltre a riformare le Istituzioni europee per consentire all’UE di funzionare in maniera più efficiente dopo l’allargamento a 25 Stati membri, adotta nuovi metodi per modificare la composizione della Commissione europea e ridefinire il sistema di voto in seno al Consiglio.

Dal Trattato di Maastricht al Trattato di Lisbona (di cui mi occuperò in breve nel prossimo paragrafo) gli euro-burocrati hanno introdotto una serie di norme incomprensibili e scoordinate tra loro (sconosciute anche ai parlamentari europei) che mirano nella sostanza a svuotare le competenze dei Parlamenti nazionali e rendere inefficaci le Costituzioni di ciascuno degli Stati membri.

 

  1. Il Trattato di Lisbona. Cenni

Prima di entrare nel vivo del c.d. Trattato di Lisbona, è necessario fare una breve premessa.

Il 29 ottobre 2004 viene firmato a Roma il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (la c.d. Costituzione europea), ma in realtà – sotto l’aspetto meramente formale – non si tratta di una vera e propria Costituzione come quelle di cui sono dotati ciascuno degli Stati membri, bensì di un Testo Unico (o Trattato di base) in cui vengono riordinati e recepiti i Trattati preesistenti, con poche innovazioni e senza formali trasferimenti di sovranità. Il vero obiettivo di questo Trattato di base è quindi quello di sostituire tutti i Trattati che fino a quel momento avevano costituito le fondamenta giuridiche primarie dell’Unione Europea, stabilendo un chiaro assetto politico riguardo alle sue Istituzioni, alle sue competenze, alla politica estera e alle modalità decisionali.  Gli “architetti” di questo progetto sono l ex Presidente della Repubblica francese Valéry Marie René Georges Giscard d’Estaing (che presiederà un’apposita Convenzione sul futuro dell’Europa), il nostro ex Presidente del Consiglio dei Ministri Giuliano Amato ed il belga Jean-Luc Joseph Marie Dehaene (entrambi vice-presidenti della Convenzione medesima). Un lavoro importantissimo lo svolge anche la Commissione Europea (all’epoca presieduta da Romano Prodi), la quale elabora un progetto (il c.d. Progetto Penelope) quale punto di riferimento per la Convenzione. Questa lavora per diciassette mesi, fino al 10 luglio 2003. La cerimonia ufficiale per la firma della c.d. Costituzione europea avviene a Roma il 29 ottobre 2004 e trasmessa in eurovisione. Il Parlamento italiano, a stragrande maggioranza (sia alla Camera che al Senato), autorizza la ratifica del Trattato tra il gennaio e l’aprile del 2005.

Il vero obiettivo della c.d. Costituzione europea, in realtà, non è quello di armonizzare le norme contenute nei Trattati sottoscritti e ratificati fino a quel momento, né quello di riordinare le Istituzioni europee e le loro competenze, ma è soprattutto quello di creare un unico testo rafforzato che – sostanzialmente – esautori sia l’efficacia delle Costituzioni nazionali che gli effetti della produzione legislativa di rango ordinario degli Stati membri. L’intenzione degli euro-burocrati è quella di inglobare in un unico testo tutte le norme dei Trattati preesistenti (riordinandole, armonizzandole e innovandole se necessario) in modo tale che l’intera struttura politica e di produzione giuridica dell’Unione abbia un’autorità tale che, nel tempo, possa sostanzialmente sostituire i principi costituzionali e le garanzie procedurali sancite nelle Carte fondamentali di ciascuno Stato membro. Gli euro-burocrati, tuttavia, commettono un “grave errore”: avallano la possibilità di sottoporre la Costituzione europea a referendum popolari. Gli elettori francesi ed olandesi esprimono un netto voto contrario[4], determinando uno stop fondamentale all’iter di ratifica. A quel punto, di fronte al no franco-olandese, il Consiglio europeo (composto dai capi di Stato e di Governo dei Paesi membri) decide di risolvere il problema entro il 2008 (e comunque prima delle elezioni per il Parlamento europeo del 2009). Alla fine prevale la soluzione di elaborare un Trattato di riforma (il c.d. Trattato di Lisbona) da non sottoporre a referendum popolare! In altre parole, la Costituzione europea è uscita dalla porta (per volere democratico del popolo francese e di quello olandese) ed è rientrata dalla finestra.

Ed ecco che l’apparato eurocratico, sconfitto da un inaspettato sussulto di indipendenza nazionale, individua una strada più “sicura” che sfocia nel c.d. TRATTATO DI LISBONA (ufficialmente “Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea” o Trattato di riforma), sottoscritto il 13 dicembre 2007 (nostro Presidente del Consiglio dei Ministri è Romano Prodi, leader della coalizione di centro-sinistra che ha vinto di appena lo 0,01% le elezioni politiche del 2006, mentre Ministro degli Esteri è l’ex comunista Massimo D’Alema) ed entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009. Il nostro Parlamento ne autorizza la ratifica all’unanimità: al Senato il 23 luglio 2008, alla Camera dopo appena otto giorni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano vi appone la propria firma per la ratifica il 2 agosto e il deposito avviene sei giorni dopo. Il tutto nel più assoluto silenzio e senza informare adeguatamente i cittadini: non è un caso, infatti, che l’iter di ratifica avvenga tra la fine di luglio e gli inizi di agosto, mentre gli italiani sono distratti dai bagni e dal calcio-mercato.

Ma entriamo nello specifico. Perché è così importante il Trattato di Lisbona? In realtà, come ho evidenziato pocanzi, si tratta di un Trattato che modifica sia il Trattato sull’Unione Europea (cioè il Trattato di Maastricht del 1992 – TUE) che il Trattato che istituisce la Comunità Europea (il Trattato di Roma del 1957 – TCE, fatta eccezione per il Trattato Euratom). In altre parole non si è giunti a redigere un unico Trattato (come era invece avvenuto con la c.d. Costituzione europea), ma si sono riformati (e di qui la denominazione di Trattato di riforma) sia il Trattato sull’Unione Europea (TUE o Trattato di Maastricht) che il Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE). Il primo ha mantenuto la sua denominazione, mentre il secondo è stato denominato Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). A questi vanno poi aggiunti sia la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (la c.d. Carta di Nizza) che il Trattato Euratom (il quale non era stato integrato nella Costituzione europea). Un bel grattacapo che rende particolarmente difficile la comprensione dello stesso diritto originario dell’UE… e posso garantire che non è un caso! Trattandosi di Trattati, e quindi bisognosi di ottenere un’autorizzazione alla loro ratifica da parte dei Parlamenti di ciascuno degli Stati membri, è più difficile per quei pochi parlamentari nazionali indipendenti comprendere l’obiettivo dell’apparato eurocratico se non vi sono le condizioni per capire, non dico tanto il contenuto, ma addirittura gli aspetti formali di base dei Trattati medesimi. Non è una barzelletta, è andata proprio così! I nostri parlamentari, infatti, da un lato fanno finta di accapigliarsi di fronte alle proposte di revisione della Costituzione, dall’altro, quando si tratta di autorizzare la ratifica dei Trattati dell’UE (che esautorano la nostra Costituzione), non battono ciglia e applaudono ipocritamente.

In merito al contenuto dei predetti Trattati (TUE e TFUE così come riformati dal Trattato di Lisbona), occorre ammettere anzitutto che si è data forma e sostanza alla Costituzione europea del 2004, seppur con qualche modifica non particolarmente significativa.

Inoltre, all’interno del vasto panorama dei Trattati europei, si colloca anche il cosiddetto Fiscal Compact, il quale tuttavia – essendo un Trattato intergovernativo – non fa parte del diritto originario dell’Unione, ma produce pienamente i suoi effetti al pari di tutti gli altri Trattati, infatti l’Italia non solo lo ha sottoscritto e ratificato, ma ha addirittura inserito in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio, superando – in peius – il famigerato vincolo del 3% nel rapporto deficit/PIL fissato da Maastricht e ribadito da Lisbona. Il Fiscal Compact, quindi, oltre ad obbligare ciascuno Stato al pareggio di bilancio e a mantenere il rapporto deficit/PIL dello 0,5% (dell’1% per i Paesi che hanno un rapporto debito pubblico/PIL non superiore al 60%), impone anche la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL al ritmo annuale pari a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL. In pratica si è giunti, per legge, a bandire Keynes dalle politiche economiche! Zero spesa a deficit, pareggio di bilancio e riduzione del debito pubblico a ritmi insostenibili! Questa è l’Europa!

***

Tra qualche giorno pubblicherò la PARTE IIa con la quale mi occuperò di spiegarvi, nello specifico, come il c.d. Trattato di Lisbona ha ridisegnato l’assetto istituzionale dell’UE, per poi passare al funzionamento dei meccanismi giuridico-istituzionali in merito all’esercizio della funzione legislativa. Il tutto ponendo l’attenzione sul rapporto tra i Trattati dell’UE e la nostra Costituzione.

Sempre su Scenari Economici. Non mancate!

 

Giuseppe PALMA

 

[1] Roma, 25 marzo 1957.

[2] Il Sole 24 Ore – Finanza e Mercati: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-01-29/parla-inventore-formula-3percento-deficitpil-parametro-deciso-meno-un-ora-102114.shtml?uuid=ABJHQ0s

[3] di Vito Lops – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/mLZ4H

[4] Referendum in Francia del 29 maggio 2005: votanti 69,34%; SI 45,32% – NO 54,68%. Referendum nei Paesi Bassi del 1° giugno 2005: votanti 63,30%; SI 38,46% – NO 61,54%.


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