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Analisi e studi

I tedeschi pagano i nostri debiti? Falso. Lo dicono i tedeschi stessi (traduzione di Francesco Becchi)

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Di Ralph Bollmann sul Frankfurter Allgemeine
traduzione in italiano per Scenarieconomici.it a cura di Francesco Becchi
(licenza di copiare e ripubblicare l’articolo citando espressamente fonte e autore della traduzione):

È giunto il momento di chiarire un paio di cose. Da quando si sta delineando che l’Unione Europea sia intenzionata a contrastare gli effetti del virus rilasciando una sostanziosa quantità di denaro nelle economie europee, nell’opinione pubblica tedesca si è creata un’immagine distorta, o meglio: è stata riattivata.

Le persone sono sorprendentemente unite su questo, è indifferente se respingono i possibili aiuti finanziari considerandoli un contribuito allo spreco, oppure li richiedono come atto di solidarietà: il “nord” del continente paga per il “sud”. Più concretamente: i tedeschi devono sborsare per gli italiani. È sempre stato così, anche durante la crisi dell’Euro avvenuta dal 2010 al 2012. Non è vero?

No. Così non è oggi come non lo è stato allora. Durante la crisi dell’Euro, i diversi governi italiani non hanno mai ricevuto nemmeno un centesimo di aiuti finanziari. Al contrario: hanno versato 125 miliardi di euro in garanzia per quegli Stati della zona Euro che ormai erano al verde. La cifra non è tanto distante dal volume di garanzia tedesco che ammonta a 190 miliardi di euro e corrisponde alla quota italiana di popolazione e potenza economica dell’Unione Europea.

Infine, l’Italia non è soltanto la terza potenza europea, ma anche l’ottava in tutto il mondo. Sebbene, dai tempi in cui il paese si trovava al quinto posto, sia stato sorpassato da tre paesi: Cina, Regno Unito e India. Perlomeno, per quanto riguarda il sorpasso dei due paesi asiatici popolati da miliardi di persone, non c’è alcun motivo per cui vergognarsi.

Lo splendore di Varsavia è dovuto anche ai finanziamenti milanesi

Il peso economico dell’Italia si evidenzia anche nei flussi finanziari: in Germania sono solo in pochi a sapere che, all’interno dell’Unione Europea, l’Italia è un contributore netto. Soltanto nel 2018, il paese ha versato a Bruxelles 5 miliardi di euro in più di quelli che in seguito avrebbe ottenuto dai diversi fondi. La cifra corrisponde esattamente a quella che hanno ottenuto i due beneficiari netti insieme, Spagna e Portogallo. Ed è quasi la metà di quello che ottiene il beneficiario più grande dell’Unione, la Polonia – un paese la cui ripresa economica degli ultimi tre decenni viene spesso tenuta nascosta all’Italia, che invece fatica a crescere. E tutto questo quando il nuovo splendore della metropoli Varsavia è stato finanziato anche dai contributi provenienti da Milano.

Anche il piano di ripresa economica dell’UE è cofinanziato dall’Italia stessa: con il suo recente contributo al bilancio comunitario del 12% circa, l’Italia si candida al futuro ripagamento delle obbligazioni che è ora stato rilanciato da Bruxelles. In un certo senso, il paese si auto-concede un prestito. Tuttavia, visto che l’Italia è uno dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi causata dal Covid-19, la sua quota di sovvenzioni sarà questa volta decisamente superiore, trasformando momentaneamente Roma in un beneficiario netto. Questo potrà però soltanto avvenire se l’amministrazione italiana riuscirà alla fine a presentare sufficienti progetti ammissibili che siano compatibili con i criteri del programma.

Anche l’immagine dello stato italiano che ignora a proprio piacimento le regole fiscali europee, non è propriamente veritiera. Malgrado il paese abbia accumulato un debito di 130 punti percentuali sul suo rendimento economico annuale – sebbene non in tempi recenti, ma nell’arco di decenni. Inoltre, il “tetto del debito” ufficiale del 60% accordato nel trattato di Maastricht, è stato rispettato durante l’emergenza sanitaria solo da pochi Stati membri – tra i paesi europei occidentali si contano Lussemburgo, Paesi Bassi, i paesi scandinavi e infine, a stento, la Germania.

L’Austria, attualmente esponente del Club da loro stessi soprannominato dei “risparmiatori”, con un debito del 70% non è compreso tra i paesi che rispettano le regole.

Cosa manca all’economia italiana

Dal 2013, primo anno dopo il superamento della crisi dell’Euro, il debito complessivo italiano è stato relativamente costante. Da allora, il limite per il nuovo indebitamento annuo fissato al 3% del PIL, non ha mai scalfito il paese. Lo scorso anno, il bilancio dello Stato italiano ha chiuso con un deficit dell’1,6%.

La potenza economica che lo Stato ha ancora da offrire, si è potuta notare negli scorsi dolorosi mesi. Il fatto che le industrie automobilistiche in Germania si siano momentaneamente fermate, non era soltanto legato alla protezione della salute dei lavoratori, o alla scarsa clientela. Il problema era anche la mancanza di pezzi, causata dal lockdown molto più restrittivo in Italia. Volkswagen soltanto, importa fino a 20.000 prodotti singoli da aziende italiane.

Nel nord benestante del paese esiste tutt’oggi una fitta rete di piccole e medie imprese di successo, delle quali non poche sono leader mondiale nel loro settore di competenza. Quello che manca al paese, in seguito al fallimento di Fiat e Olivetti, sono da una parte delle multinazionali attive in un contesto internazionale e, dall’altra, un’ambiente imprenditoriale innovativo. In Italia si è mantenuta per lungo tempo una cultura economica relativamente conservativa, ad esempio con tanti piccoli commercianti che malvolentieri pagavano le tasse e, per questo motivo, si sono riconosciuti in Berlusconi e lo hanno votato.

Durante l’emergenza sanitaria all’Italia è mancato un punto di riferimento

Ostacoli burocratici, clientelismo e l’influenza mafiosa al sud hanno portato molte aziende internazionali a tirarsi indietro riguardo ad investimenti in Italia. La bassa interdipendenza mondiale aveva reso il paese relativamente immune contro le crisi. Dagli anni Novanta, in piena epoca del globalismo accelerato, ha però frenato la crescita del paese.

Nell’attuale crisi sanitaria, le autorità italiane – a differenza della Grecia, questa volta impeccabile – hanno fatto alcuni errori che hanno comportato una rapida diffusione del virus in ospedali e case di riposo. Tuttavia, l’Italia, in quanto primo paese europeo duramente colpito, non aveva ancora alcun modello di riferimento da seguire che indicasse il comportamento di una democrazia occidentale in una situazione del genere. Anche la Germania era altrettanto impreparata, finché non arrivarono le immagini di Bergamo. In seguito al suggestivo post su Facebook da parte di un medico italiano, sono passati solo alcuni giorni prima che la cancelliera di Berlino decidesse di prendere in mano la gestione della crisi. Probabilmente è stato proprio il dramma italiano ad evitare la stessa sorte in terra tedesca.

Il problema maggiore dell’Italia rimangono i difficili rapporti politici che rendono praticamente impossibili riforme radicali, non importa di quale orientamento politico esse siano. Anche in questo caso questa sorte è toccata al “belpaese” prima rispetto ad altri: con il crollo del tradizionale sistema di partiti nel 1992, ha vissuto quello che in altri paesi sarebbe avvenuto più tardi. Anche in Germania, ormai, ci può volere mezzo anno per formare un governo dopo le elezioni. Finora gli italiani non ci hanno mai messo così tanto.

Di Ralph Bollmann sul Frankfurter Allgemeine
traduzione in italiano per Scenarieconomici.it a cura di Francesco Becchi
(licenza di copiare e ripubblicare l’articolo citando espressamente fonte e autore della traduzione).

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Consigli letterari:

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, “DEMOCRAZIA IN QUARANTENA. Come un virus ha travolto il Paese“, Historica edizioni.

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