Attualità
I discorsi inutili dei chiacchieroni a Capodanno di Massimiliano Lenzi.
Chiacchiere e distintivi. Servirebbe un vigile urbano assai sveglio per regolare il traffico dei discorsi di fine anno agli italiani, quelli che cominciano tutti con un “care e cari cittadini…”.
Sì perché allo scadere di questo 2018, il 31 dicembre – giorno di San Silvestro – la zona Cesarini del parlare alla Nazione è diventata un’abitudine distintiva. Intendiamoci, nessuna iconoclastia nel nostro ragionamento perché il Discorso a reti televisive unificate del Presidente della Repubblica, una consuetudine che va avanti dai tempi di Luigi Einaudi, è ineluttabile, come il 1 gennaio dopo il 31 dicembre (anche se i tempi ed i modi del comunicare e dello stare insieme della nostra comunità nazionale son parecchio cambiati da Einaudi a Sergio Mattarella).
Il fatto è che quest’anno, oltre al Capo dello Stato, parleranno in molti per questo finalino. Il leader della Lega e Ministro dell’Interno Matteo Salvini, la coppia grillina Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, forse Beppe Grillo, il primo che venti anni fa, il 31 dicembre del 1998, con il suo discorso all’umanità trasmesso su Tele+ segnò di fatto la fine della liturgia unica del discorso del Capo dello Stato: “Ah l’Europa, questo paradiso. Siamo tutti uguali: un disoccupato di Teramo va a Bonn e fa il disoccupato a Bonn. È bellissimo”. E poi chissà, magari dirà qualcosa pure Matteo Renzi (lui d’accordo, ma speriamo non lo facciano i candidati del Pd – troppi – alle primarie, altrimenti si arriva al 2 gennaio, altro che discorso di fine anno!) e chi più ne ha più ne metta. Un ingorgo di parole difficile da sbrogliare. E pure vetusto.
Perché nell’era dei social che hanno sorpassato per facilità di accesso e capillarità il mantra del discorrere “a reti unificate” i politici, di potere e non, di lotta e di governo, vitaliziati e non, possono chiacchierare in ogni minuto, in ogni ora del giorno, del mese, dell’anno che vogliono, con gli italiani (anzi, con il mondo intero), senza bisogno del format solenne dell’ultimo giorno. Questo per ciò che concerne la facilità del mezzo e senza contare (assai più importante) la parte dei contenuti. Perché se è vero (e lo è) che il medium è il messaggio, allora non c’è nulla di più goffo, nell’era del web, della burocrazia della forma come è appunto il discorrere agli italiani. Anche per questo domani, 31 dicembre dell’anno 2018, il primo dell’era grillo-leghista (in realtà sono sei mesi) sarà tutto un inseguirsi di chiacchiere e distintivi. Già ne annusiamo la noia, e lo scriviamo con affetto. Per salvarsi da questa discorsite che ha colpito la nostra politica non resta che della sana cattiveria. Andarsi magari a rivedere, prima di addentare un capretto (i carnivori) piuttosto che una bietola (i vegani), il discorso al Popolo di un frate (interpretato da uno straordinario Alberto Sordi) nel film di Luigi Magni, “Nell’anno del Signore”: “Popolo, ma che te sei messo in testa? Ma che vuoi? Vuoi comanna’ te? E chi sei? Sei Papa? Sei cardinale? O sei Barone? Ma se non sei manco Barone, chi sei? Sei tutti l’altri. E tutti l’altri chi so’? Rispondi. Rispondi a me, invece di assalta’ li castelli. So’ li avanzi de li Papi, de li cardinali, de li baroni. E l’avanzi che so’? Monnezza. Popolo sei ‘na monnezza”. Quando si dice la sincerità del discorso.
Ah, questo benedetto popolo, senza chiacchiere e senza distintivi che, davanti a tanto affabulare dei politici, fa venire nostalgia per i proverbi delle nonne d’una volta: “Bimbo rammentalo sempre, il silenzio è d’oro”.
Massimiliano Lenzi, Il Tempo, 30.12.2018
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