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GRECIA: VERSO IL DEFAULT? (di Jacques Sapir)

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Jacques Sapir

Jacques Sapir

12 GIUGNO 2015

L’Eurogruppo starebbe abituandosi all’idea di un fallimento greco? Informazioni provenienti da Reuters [1] sembrano confermarlo. Una riunione di esperti tenutasi a Bratislava giovedì 11 giugno avrebbe per la prima volta  evocato esplicitamente la possibilità che, in mancanza di un accordo, la Grecia possa andare in default.

Queste informazioni confermano anche che, nonostante alcuni governi abbiano lavorato da diversi mesi a questa ipotesi, è la prima volta che l’Eurogruppo abborda questo tema.

Le conseguenze di un default

Un fallimento da parte della Grecia implicherebbe non solo il deprezzamento radicale dei crediti greci detenuti a titolo bilaterale da diversi Stati della zona euro e dal MES (Meccanismo di Stabilità Europeo o Fondo Salva-Stati), ma anche l’impossibilità di usare questi titoli come collaterale nel quadro del sistema di aiuto di liquidità d’emergenza (ELA) messo in piedi dalla Banca Centrale Europea.

Il default comporterebbe la sospensione immediata dell’ELA e obbligherebbe il governo greco a usare strumenti monetari costituenti una proto-moneta, strumenti che in qualche settimana diventerebbero una moneta alternativa.

Notiamo che in questo scenario il governo greco sarebbe obbligato a creare questi strumenti, e potrebbe sostenere che lo fa perché costretto e forzato dall’atteggiamento della BCE. Ufficialmente il governo greco potrebbe quindi continuare a dichiarare che intende restare nell’eurozona, mettendo al contempo in piedi il processo che nei fatti si concluderà con la creazione della Dracma. Il governo greco potrebbe sostenere che non ha voluto questo default e uscita dall’euro, preparandosi nel contempo a incassare i benefici di questi eventi. E questi benefici sono ben più importanti di quello che si pensi e si dica.

I benefici di un default

Le conseguenze di un fallimento sarebbero nettamente più rilevanti per i partner della Grecia che per la Grecia stessa. Delle somme notevoli sono uscite dalla Grecia dal mese di febbraio. Si stima oggi che più di 30 miliardi di euro usciti dal mese di febbraio sono detenuti da attori greci su conti esteri. Dopo la creazione della Dracma queste somme rientrerebbero in Grecia, e considerando il deprezzamento della Dracma rispetto all’Euro, gli attori (famiglie e imprese) che hanno fatto uscire quella liquidità guadagnerebbero in potere d’acquisto in Grecia.

Si potrebbe immaginare che il governo greco a quel punto stabilisca un controllo dei cambi e prelevi una piccola tassa (5%) su quei rientri, cosa che permetterebbe alle famiglie e alle imprese di legalizzare una parte dei loro averi, apportando al contempo al governo greco dei mezzi finanziari supplementari per compensare quella parte di popolazione che non ha potuto esportare quelle  liquidità.

Questo «rientro» dei soldi detenuti all’estero potrebbe proprio essere l’equivalente di quello che il governo greco ha chiesto all’Unione europea, ovvero un piano d’investimenti. Tenuto conto del miglioramento della competitività delle esportazioni greche grazie al deprezzamento della Dracma, l’effetto positivo di questo meccanismo potrebbe veramente essere considerevole.

Beninteso, la Grecia dovrà fare fronte a uno choc d’inflazione importata. Ma per un deprezzamento della Dracma del 30% rispetto all’Euro questo choc non dovrebbe superare il 6% – 8% il primo anno, e certamente meno (dal 4% al 6%) il secondo anno. Al contrario, gli effetti positivi sull’economia (e sul settore turistico in particolare) potrebbero essere molto importanti.

I costi di un default per i partner della Grecia

Per i partner della Grecia, invece, non occorrerà soltanto gestire le conseguenze economiche di un default (che comporterà una nuova azione della BCE) ma saranno soprattutto le conseguenze finanziarie e politiche a porre problemi. Da un punto di vista strettamente finanziario, la realtà di un default nella zona Euro provecher’ un movimento speculativo: si cercherà di prevedere chi sarà il prossimo paese a giocare il ruolo di «anello debole». Sin da adesso si osserva che i buoni del tesoro portoghesi, italiani e spagnoli vedono i loro tassi d-interesse crescere rapidamente. Ma è soprattutto a livello politico che lo choc sarà più rilevante. Una volta smentite tutte le scempiaggini e le flagranti stupidità su «questo non può succedere» si porrà immediatamente il problema dell’Euro. Beninteso, i governi cercheranno di limitare questo choc politico. Ma se c’è una cosa che ci insegna la crisi finanziaria russa dell’agosto 1998, è che le conseguenze politiche di un avvenimento che tutti ritenevano impossibile sono devastanti per l’ideologia che ha proclamato la sedicente impossibilità di questo evento.

Si assisterebbe quindi a un ribaltamento delle raffigurazioni politiche (ed economiche). E’ esattamente ciò che è successo in Russia nell’agosto 1998, ed è ciò che spiega la distruzione delle forze liberali avvenuta in seguito.

È certo che i responsabili europei sono coscienti, almeno in parte, di questo problema. Ma si potrebbe credere che, presi dentro la logica della negoziazione e dei suoi dettagli, abbiano perduto la comprensione della natura strategica della situazione presente. Il fatto che la questione di un possibile default greco sia stata abbordata soltanto ieri dall’Eurogruppo lo dimostra. Si potrebbe supporre che questi responsabili, a tutti i livelli, siano oramai confrontati a una situazione i cui determinanti sfuggono loro.

Rimane il problema del mantenimento della Grecia nell’Unione europea. Si sa che i trattati assimilano l’Euro alla UE, anche se numerosi paesi della UE non fanno parte della zona Euro. Ma, formalmente, per decidere che la Grecia non faccia più parte della UE, servirebbe un voto all’unanimità dei 27 (28-1) paesi dell’UE. Ora, è chiaro che alcuni paesi, e in particolare Cipro e l’Ungheria, si rifiuteranno di votare un’esclusione della Grecia.

I dirigenti europei farebbero bene a uscire dal loro autismo e iniziare a riflettere su dei meccanismi che permettano un’uscita ordinata dall’Euro con il mantenimento dei paesi nella UE, o addirittura – ma è senza dubbio domandargli troppo – riflettere su una dissoluzione della zona Euro. Un proverbio greco, quello del «sogno ingannatore» inviato da Zeus (Giove) descrive bene la situazione dei dirigenti europei. La sua traduzione latina è nota:

Quos vult perdere Jupiter dementat prius

(Coloro i quali vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione)

Ne vedremo ben presto un’applicazione …

 

[1] http://www.reuters.com/article/2015/06/12/us-eurozone-greece-default-idUSKBN0OS1BD20150612

(trad. di Ulrich Anders)


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