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Analisi e studi

Gli “Stati Generali” di Conte e la morte del Parlamento: il percorso inverso della storia (di Giuseppe PALMA)

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Gli “Stati Generali” del 1789 rappresentarono involontariamente l’inizio della democrazia. Quelli di oggi ne sono la morte.

Fare paragoni tra Conte e Luigi XVI è un grave errore. Luigi convocò (a malincuore, costretto dalle pressioni del ministro delle finanze Necker) un organismo previsto dalla tradizione della monarchia assoluta (benché prassi in disuso da oltre un secolo) e che inglobava il Terzo Stato (la borghesia). Fu una convocazione “ad maiora”, cioè verso un miglioramento socio-economico che includesse tutte le istanze, comprese quelle – appunto – della borghesia.

Luigi, mal consigliato da uno dei fratelli (il conte d’Artois, futuro re Carlo X), commise l’errore di chiudere le porte delle Tuileries al Terzo Stato dopo che questo aveva protestato sul voto per “ordine” e non per “testa”. Quel giorno (20 giugno 1789) i rappresentanti del Terzo Stato si riunirono nella sala della pallacorda (una palestra) e giurarono che non si sarebbero mai divisi se prima non avessero dato alla Francia una Costituzione. Da quel momento iniziò la Rivoluzione francese.

Oggi la situazione è diversa. Gli “Stati Generali” di Conte non hanno nulla a che vedere con quelli del XVII-XVIII° Secolo, tant’è che vanno letti al contrario.

Primo. Quelli di oggi a Villa Pamphili sono una trovata pubblicitaria e non un organismo istituzionale. Tuttavia, quelli odierni hanno purtroppo un peso effettivo: le decisioni che verranno prese saranno poi quelle che questo governo, o qualsiasi altro governo di centrosinistra, porteranno avanti.

Secondo. Gli “Stati Generali” del 1789 avevano l’obiettivo di far pagare le tasse ai nobili e al clero, quelli di oggi di restaurare una specie di “sistema feudale” camuffato da modernità e digitalizzazione. Non a caso degli “Stati Generali” del 1789 facevano parte anche i rappresentanti della borghesia, mentre a quelli di oggi il grande assente è proprio il Parlamento.

Terzo. Le decisioni che riguardano la Repubblica devono essere prese nelle sedi istituzionali previste dalla Costituzione, in primis il Parlamento, unica sede depositaria della sovranità popolare. In Parlamento siedono i rappresentanti eletti dal popolo e le sedute sono pubbliche. Gli “Stati Generali” di Conte si tengono invece a porte chiuse e vi partecipa la crème della élite interna e sovranazionale (sono presenti il capitale internazionale, apolide e senza volto, la Ue e gli esponenti delle multinazionali). Completamente assente è il popolo, infatti il Parlamento è fuori. Di contro, gli “Stati Generali” del 1789 non tennero affatto fuori il popolo: oltre ad essere rappresentato dal Terzo Stato (benché solo la borghesia), il popolo poteva assistere alle sedute plenarie. Oggi a Villa Pamphili le porte sono chiuse.

Quarto: gli “Stati Generali” del 1789, come si è già detto, erano previsti dalla prassi – seppur in disuso – della monarchia assoluta. La nostra Costituzione, invece, non conosce né “Stati Generali” né task-force, bensì solo il Parlamento. E proprio il Parlamento è fuori da Villa Pamphili.

Quinto: nel 1789 vennero poste le basi dello Stato democratico: dall’Assemblea Nazionale sorta dalla spaccatura degli “Stati Generali” nacque, con tutti gli sviluppi e lotte dei due secoli successivi, l’impianto dello Stato democratico. Di contro, gli “Stati Generali” di oggi sono un percorso al contrario, una Restaurazione del “sistema feudale”, ben peggiore di quello ante-1789. Ma, badate bene, non vi accorgerete di nulla. Vi daranno la digitalizzazione della pubblica amministrazione, lo smart working e il monopattino, così sarete contenti di restare gli schiavi che siete, col sorriso stampato in fronte.

Ciò che più mi provoca indignazione in tutto questo è il silenzio del mondo ipocrita di centro-sinistra (politica, cultura e informazione), di quel mondo che fino a ieri si lavava la bocca con la Costituzione, ma che oggi tace di fronte allo stupro del Parlamento.

Ah, dimenticavo. Luigi XVI era un uomo per bene, un vero galantuomo, un signore. Conte è solo un arrivista che pensa ad accreditare se stesso. Sia per l’oggi che per il futuro.

[Giuseppe PALMA]

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