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Gli Stati «Caporali»

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I regimi assoluti sono come certi amori: fanno giri immensi e poi ritornano. Pensa te l’ironia della sorte, e della Storia. Gli ultimi “stati generali” che si ricordino non hanno portato molto bene al dispotismo. Vennero convocati nel 1789 dalla moribonda monarchia francese. Era un modo come un altro per tirare a campare (sempre meglio che tirare le cuoia, avrebbe detto Andreotti). E invece, il terzo stato – cioè il popolo bottegaio, piccolo e medio borghese e precapitalistico – rifilò un tiro mancino a chi gli aveva, dopo più di un secolo, ridato la parola.

Da lì, l’innesco di quel turbinio di eventi da cui prese forza e vigore la fine dell’ancien regime e l’avvento di quella “democrazia”, di quel “progresso” e di quei “lumi” di cui anche noi siamo figli. In qualche modo, la nostra presunta democrazia discende (anche) dagli stati generali improvvidamente convocati da Luigi XVI. Il quale ci rimise la testa, per questo. Oggi, invece, i nostri leader la testa se la montano, e pensano di essere Luigi XVI. Quindi riconvocano gli “stati generali”, e manca poco che i media gli facciano la ola. Una volta chi credeva di essere Napoleone, senza esserlo, finiva in manicomio. Segni dei tempi.

Ma torniamo a bomba. Se, alla fine del diciottesimo secolo, gli stati generali furono la gestazione di ogni successivo esperimento di volontà “popolare” e  di democrazia più o meno “diretta”, oggi avviene l’esatto opposto. Gli stati generali di Conte rappresentano la fine di ogni velleità populista. Per una sorta di beffardo contrappasso, l’evento si presta a simbolo di un modello di governance oligarchico, elitario e classista.

Per tutta una serie di ragioni: 1) il luogo dove essi si tengono: e cioè “fuori” dal parlamento, perimetro ideale di ogni reale democrazia; 2) i protagonisti: una sfilata di vip dalla “mente brillante”  così simili, nella loro inattingibile distanza, ai “brillanti diademi” del clero e della aristocrazia del 1789; 3) le “autorità” straniere: da Kristalina Gheorghieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, a Christine Lagarde, Presidente della BCE, a Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo.

Insomma, per discutere il futuro dell’Italia che fu democratica hanno approntato scenografie extra-parlamentari, figure extra-popolari e istituzioni extra-nazionali. Quindi, gli Stati generali non contano tanto per ciò che vi si deciderà (cioè nulla), ma per ciò che ci comunicano (cioè tutto). Ci stanno gridando, con tronfia baldanza, che è finita la ricreazione iniziata con la Rivoluzione. Ce ne eravamo già accorti, beninteso.

Cosa resta a un paese in cui le leggi vengono scritte a Bruxelles, i denari sono elargiti da Francoforte e la giurisdizione di ultima istanza ha sede in Lussemburgo? Resta solo Roma a fare da claque. E a noi il ruolo di servi plaudenti. Paghiamo 945 rappresentanti per scaldare le poltrone rosso bordeaux di Montecitorio e Palazzo Madama e per delegare le decisioni alle “task force” teleguidate a Londra da gente del Bilderberg.

Ci può salvare solo una risata. Totò, in un memorabile film del 1955, si chiedeva: siamo uomini o caporali? Dove gli uomini sono la massa impotente che tutto subisce, i caporali sono gli “apparenti” titolari di un potere autocratico. Perché questo è il dettaglio fenomenale della farsa: noi non conosciamo i veri “Generali”, e forse manco i “Colonnelli”; vediamo solo i semplici emissari degli invisibili “pre-potenti” dietro le quinte della scena. Benvenuti agli stati “Caporali”.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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