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Gli NPL non soffochino famiglie e imprese (di Fabio Dragoni e Antonio Maria Rinaldi)

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Pubblicato in Milano Finanza il 30 giugno

Dal 2011 al 2019 -già prima che arrivasse la pandemia- sono successe cose nel mondo bancario e ce ne siamo accorti tutti. Nel 2011 gli sportelli erano quasi 34mila contro i 23mila attuali. Una riduzione del 30%. Ce ne siamo resi conto cercando un bancomat che funzionasse. Lontanissimi i tempi in cui le banche venivano valutate un tanto a filiale. Più ne avevano più erano appetibili. I dipendenti da poco più di 322mila sono diminuiti a circa 275mila. Se n’è accorto chi in banca ci lavorava. Il numero delle banche è sceso da 740 a 474. Se n’è accorto spesso l’imprenditore cliente delle due banche che andavano a fondersi. Quasi mai il fido accordato sul conto alla fine dell’operazione risultava pari alla somma dei precedenti. I prestiti a famiglie ed imprese sono intanto scesi da 1.512 a 1.261 miliardi. Oltre 250 miliardi in meno. Il credito al settore privato si è prosciugato al ritmo di 86 milioni al giorno. Come nota il banchiere Camillo Venesio, negli Stati Uniti -la cui popolazione è lievemente inferiore a quella dell’eurozona- ci sono circa 10.500 banche locali contro le 2.500 dell’area euro. Il Texas, con 29 milioni di abitanti, possiede circa 800 banche piccole e medie contro le 100 dell’Italia la cui popolazione è oltre il doppio. E stiamo parlando di un’economia teoricamente non bancocentrica come la nostra dal momento che mercati azionari ed obbligazionari sono alla portata di qualsiasi impresa voglia crescere indipendentemente dalla dimensione. Ma è la qualità del credito il problema più macroscopico che affligge i nostri istituti di credito che -sempre dal 2011 al 2019- hanno accantonato perdite su crediti per 195 miliardi a fronte di un risultato netto cumulato di -46 miliardi. Poco più di 900mila sono gli italiani messi a sofferenza dal sistema bancario senza contare le cosiddette inadempienze probabili (una volta chiamate incagli), le posizioni ristrutturate o semplicemente scadute. Tutte queste esposizioni vanno nel complesso a traguardare il montante dei cosiddetti crediti deteriorati ad oggi pari a quasi 100 miliardi. Gli effetti della pandemia non sono purtroppo ancora visibili. I prestiti attualmente oggetto di moratoria sono di poco inferiori a 140 miliardi. Quante di queste posizioni diventeranno inadempienze probabili se già non lo sono? Quante le prossime sofferenze conclamate? Per non parlare dei quasi 180 miliardi richiesti per far fronte all’emergenza Covid e concessi con la garanzia dello Stato. Esiste una stima ragionevole di quanto potranno essere le escussioni future di tali garanzie? Già il 28 aprile 2018 dalle colonne di questo giornale affrontavamo il problema ed avanzavamo una proposta ben consapevoli di una forte contraddizione oggi ancor più evidente. Dentro la Bce sono concentrate le funzioni di politica monetaria -attualmente ma temporaneamente espansiva- e di vigilanza creditizia – straordinariamente restrittiva nell’indurre le banche a classificare e trattare i crediti sempre più problematici e sempre più numerosi-. Una schizofrenia ben evidenziata da Angelo de Mattia. La nostra proposta presupponeva un “radicale cambio di rotta” a salvaguardia delle famiglie e delle imprese debitrici senza privare le banche della possibilità di cedere gli NPL nell’ambito delle sempre più frequenti operazioni di derisking. Proponevamo una modifica normativa dell’articolo 58 del Testo Unico Bancario che consentisse al debitore ceduto di riscattare il proprio credito entro novanta giorni dall’avvenuta cessione corrispondendo un prezzo ragionevole all’acquirente. Una maggiorazione del 10% rispetto al costo della cessione che consentisse all’investitore un rendimento del 40% su base annua. Una sorta di clausola di preventiva e bonaria conciliazione. Con particolari cautele che avrebbero prevenuto condotte di moral hazard. Debitori che smettono di pagare sapendo di poter spuntare uno sconto. Ne avrebbe tratto giovamento il mercato immobiliare oberato da una valanga di vendite forzose che deprime oltremisura il valore di tutto il patrimonio delle famiglie italiane. Senza considerare gli effetti di decongestione dei procedimenti esecutivi nei tribunali. Si parla tanto di riforma della giustizia civile. Quale migliore riforma se non diminuire il numero dei contenziosi? Avremmo ridato serenità a milioni di italiani. Se era un’emergenza allora figuriamoci oggi. Auspicavamo un dibattito. E i buoni semi danno sempre buoni frutti. Ha raccolto il testimone il Senatore Alberto Bagnai (Lega) che da Presidente della Commissione Finanze al Senato ha chiamato in audizione sul tema sia l’Abi che Banca d’Italia. Il risultato di questo prezioso percorso è ora sotto gli occhi di tutti. Al Senato giace una proposta di legge promossa dal senatore Maurizio Buccarella (Misto) e che a sua volta ha sintetizzato i contenuti di due altre proposte di legge promosse dai senatori Adolfo D’Urso (FdI) e Gianni Pittella (Pd). La straordinaria portata di questo progetto di legge, che riprende in larga parte i contenuti della nostra proposta, è che si presterebbe alla perfezione nella salvaguardia di moltissimi interessi (banche, imprese, famiglia, giustizia civile). Bene -molto bene- farebbe l’esecutivo di Mario Draghi a governare questo processo di modifica normativa facendo leva sul temporaneo clima di unità nazionale e sulla sua indiscussa competenza in materia. È urgente. Non è che un primo passo. Torneremo ancora sul tema. C’è da lavorare.
di Fabio Dragoni e Antonio Maria Rinaldi


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