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“Get woke, go broke”: Sport Illustrated licenzia in massa dopo aver scelto modelle “diverse” per il suo famoso calendario
Il titolare dei diritti di Sports Illustrated, Arena Group, si è visto revocare la licenza di pubblicazione della rivista da Authentic Brands Group dopo l’incapacità di effettuare il pagamento trimestrale di 3,75 milioni di dollari alla fine del 2023.
In altre parole, è probabile che l’editore non riesca a ottenere profitti sufficienti per mantenere il marchio. In base al contratto, Arena Group deve pagare altri 45 milioni di dollari ad ABG, la titolare dei diritti della rivista, a causa della perdita della licenza. Di conseguenza, Sports Illustrated è stata costretta a licenziare l’intero staff mentre sono in corso discussioni per salvare l’accordo.
In una dichiarazione, Sports Illustrated Union e The NewsGuild of New York hanno promesso di “lottare per tutti i nostri colleghi”. Se però la rivista chiude c’è poco da lottare, al massimo si possono prendere i propri oggetti e lasciare l’ufficio con la classica scatola di cartone in mano.
Ma come è potuto accadere? Uno dei nomi più antichi e conosciuti nel campo dell’informazione sportiva è ora scomparso, come se chiudesse la Gazzetta dello Sport.
Tra l’altro la chiusura avviene a soli tre anni di distanza da quando l’azienda si è impegnata a effettuare importanti licenziamenti nel 2020, quando era gestita da Maven, tagliando 27 milioni di dollari dai costi rispetto al 2018. A quanto pare, questo non è bastato e la proprietà è stata acquisita da Arena Group. Nel novembre del 2023, SI è stato scoperto a utilizzare falsi giornalisti e contenuti generati dall’intelligenza artificiale, il che indica che l’azienda è sul punto di fallire.
La vera causa sarà ingorata dal mondo dell’editoria mainstream, ma i guai di Sports Illustrated sono iniziati direttamente dopo aver peigato la pubblicazione ai messaggi “Woke” ed “Inclusivi”. Ad esempio, nel 2017 la rivista ha iniziato a far sfilare modelle plus-size (con un’accezione di “fat positivity”, cioè “grasso è bello”) nelle sfilate sponsorizzate e nelle aggiunte di costumi da bagno. Per una pubblicazione che dovrebbe essere incentrata sull’eccellenza atletica, l’idea della positività delle persone grasse è un ovvio anatema per il suo pubblico principale. Un appassionato di sport non ama che i suoi modelli siano persone che lo sport, evidentemente, non lo praticano.
L’azienda si è poi agganciata al movimento femminista della “parità di retribuzione” per gli sport femminili, sostenendo che le atlete e i club femminili dovrebbero ricevere una retribuzione pari a quella degli sport maschili. Un movimento che ignorava l’ovvio: gli sport maschili sono più seguiti perché i fan sportivi sono soprattutto uomini, che tendono aseguire modelli simili. Inoltre, dispiace dirlo, ma spesso le prestazioni sportive negli sport, anche di squadra, sono migliori per gli uomini che per le donne. Insomma è il mercato, baby.
Sports Illustrated ha anche iniziato a presentare donne transgender (uomini vestiti da donna) nelle edizioni dei costumi da bagno femminili, perpetuando l’ideologia gender fluid. Questo ha portato a un boicottaggio conservatore della rivista nel 2023 e ora eccola qui, fuori dal mercato.
Negli ultimi due anni la rivista è letteralmente precipitata. Il punto cruciale? La stragrande maggioranza dei consumatori americani non vuole contenuti woke e non pagherà per averli. Inoltre, le persone che desiderano questo tipo di contenuti sono attivisti che hanno i propri media e che non seguono un media mainstream solo perché diventa woke e, comunque, hanno numeri limitati ed elitari.
Quindi sport illustrated ha ammazzato il proprio mercato, e, nonostante tutte le spinte ESG, i desideri per essere “Diversi”, i numeri sono numeri e alla fine chiude. Per ora, fortunatamente, “Get Woke, Go Broke” è ancora una regola ampiamente applicata.
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