Analisi e studi
Fermi tutti! il Fondo Monetario Internazionale ci ripensa, ma solo in un “paper” (di Alfonso Scarano)
Gli investimenti (infrastrutturali) finanziati con debito pubblico creano lavoro e sospingono il PIL.
Tre economisti Abdul Abiad, Davide Furceri, e Petia Topalova del Fondo Monetario Internazionale hanno appena pubblicato (maggio 2015) un “paper” dal titolo eloquente: “The Macroeconomic Effects of Public Investment: Evidence from Advanced Economies”.
http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2015/wp1595.pdf
Utilizzando un modello econometrico gli autori del paper arrivano alla evidenza quantitativa che su un campione di 17 economie dell’OCSE dal 1985 ad oggi “l’aumento degli investimenti pubblici aumenta la produzione, sia nel breve che nel lungo termine, focalizza gli investimenti privati, e riduce la disoccupazione.”
Forse, non erano necessari modelli econometrici per arrivare a questa considerazione di evidente impronta Keynesiana, che tende a mettere alla berlina le tesi un po’ fideistiche della “austerità espansiva” sostenuta, tra gli altri, dall’ex economista dell’FMI Kenneth Rogoff ed Alberto Alesina dell’Università di Harvard.
Ma gli autori si spingono a scrivere che “quando c’è ristagno economico e politica monetaria espansiva, gli effetti della domanda sono più forti, e il rapporto debito pubblico su PIL può effettivamente diminuire”.
Non solo! Essi aggiungono anche che : “l’investimento pubblico è anche più efficace nel promuovere la produzione nei paesi con una maggiore efficienza degli investimenti pubblici e quando è finanziata attraverso l’emissione di debito.”
Bene! Bravi! Bis!
Dunque, gli investimenti pubblici in condizioni di recessione sono prezioso (ed indispensabile?!) motore per innescare una ripresa economica che tende a focalizzare anche gli investimenti privati tanto da migliorare complessivamente il rapporto debito/PIL.
Investimenti pubblici, soprattutto se finanziati a debito!
In punta di penna i tre economisti arrivano (meglio tardi che mai?) a questa travolgenti conclusioni, piuttosto in antitesi con la pratica politica economica che il Fondo Mondiale ha applicato e applica a tanti paesi del globo ed ora anche alla vicina Grecia; una politica fatta di privatizzazioni, riduzione dello stato sociale (a prescindere dal suo efficientamento), prescindendo dagli investimenti produttivi, insomma fatta sostanzialmente di lacrime e sangue pur di ridurre lo stock di debito (e l’esposizione ai creditori), a prescindere.
Occorre anche osservare che questo paper tende a generalizzare una questione che gli stessi autori un anno fa concentrava specificatamente sugli investimenti infrastrutturali, con un più preciso messaggio che si ritrova nel titolo di quello studio:
“Is it time for an infrastructure push? The macroeconomics effects of public investment”.
https://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2014/02/pdf/c3.pdf
Perché, scrivevano già un anno fa, è “il momento giusto per una spinta delle infrastrutture: gli oneri finanziari sono bassi e la domanda è debole nelle economie avanzate, e vi sono delle strozzature infrastrutturali in molte economie di mercato emergenti e in via di sviluppo. I progetti finanziati a debito potrebbero avere risultati di grandi dimensioni senza aumentare il rapporto debito-PIL” con la premessa esplicita che “l’efficienza degli investimenti (infrastrutturali) sia elevata”.
Emerge, dunque, un certo interessamento degli autori (e forse del FMI??) per gli investimenti pubblici nelle opere “infrastrutturali” che creano lavoro e PIL e, se produttive, riassorbono il debito pubblico che le ha generate.
Si lascia però non gran che esplorata la questione cruciale della valutazione della effettiva produttività di queste opere infrastrutturali.
In Italia quello delle spese per opere infrastrutturali insensate e ben poco produttive vi è una decennale esperienza soprattutto con la sciagurata “legge obiettivo”. Basta rivedere la recente trasmissione di Report dal titolo “Anas per l’Italia” della brava giornalista Giovanna Boursier.
E perché rimanere vaghi nel ragionare sugli “investimenti infrastrutturali”?
Non sarebbe il caso di approfondire, nel nuovo millennio, quali effettivamente possano essere gli investimenti più produttivi di uno Stato e di un paese?
Che ne dite?
Alfonso Scarano
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