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Analisi e studi

Fed, la tempesta perfetta su Powell: dati shock e la “rivolta” interna spingono per il taglio dei tassi

Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, si trova con le spalle al muro. I pessimi dati sull’occupazione e un crescente coro di dissenso all’interno del board stanno sgretolando la sua linea dura. Il taglio dei tassi, una volta un’ipotesi remota, ora sembra imminente.

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Il castello di certezze di Jerome Powell, costruito sulla solidità di una politica monetaria restrittiva, sta crollando pezzo dopo pezzo. Mercoledì scorso, al termine della riunione della Federal Reserve, i mercati sembravano rassegnati a tassi d’interesse elevati per un futuro indefinito. Poi, appena 48 ore dopo, è arrivata la tempesta: un dato sull’occupazione statunitense talmente debole da spazzare via ogni convinzione e costringere tutti, investitori e analisti, a riscrivere le proprie previsioni.

Ora, lo scenario è completamente ribaltato. La domanda non è più se la Fed taglierà i tassi, ma quando e quanto aggressivamente. E al centro di questo terremoto si trova proprio lui, il governatore Powell, sempre più solo nella sua battaglia da “falco”, una posizione che lo sta mettendo in enorme difficoltà di fronte a un’economia che vacilla e a una crescente opposizione politica.

Il punto di svolta: i dati sul lavoro disastrosi

Il colpo mortale alla narrativa di Powell è arrivato dai dati sull’occupazione di luglio. James Knightly, economista capo internazionale di ING, l’ha definita senza mezzi termini “una sveglia assordante”. Non si tratta solo della misera creazione di appena 73.000 posti di lavoro, ma della massiccia revisione al ribasso dei mesi precedenti: un quarto di milione di posti di lavoro cancellati dalle stime in soli due mesi. Questo, spiega Knightly, “suggerisce una chiara perdita di slancio” e dimostra che il mercato del lavoro è “tutt’altro che solido”. Una revisione così forte che ha portato al licenziamento della responsabile del BLS.

US, creazione di nuovi posti di lavoro non nell’agricoltura – Tradingeconomics

Il problema è ancora più profondo se si analizza la qualità di questi nuovi impieghi. L’esperto di ING sottolinea un dato allarmante: quasi il 90% dei posti creati da gennaio 2023 proviene da settori a basso valore aggiunto, come istruzione privata, sanità, pubblica amministrazione e ospitalità. Si tratta di lavori “peggio pagati, meno sicuri e di natura molto più temporanea”. Nel frattempo, i settori che costituiscono il cuore pulsante dell’economia americana hanno registrato perdite nette negli ultimi tre mesi. Un segnale inequivocabile che il motore economico sta perdendo colpi.

La “Rivolta” interna: le Colombe prendono il sopravvento

Se i dati economici minano le fondamenta della politica di Powell, la vera crepa si sta aprendo all’interno del Comitato Federale del Mercato Aperto (FOMC). L’isolamento del governatore è sempre più evidente. Già la settimana scorsa, Michelle Bowman e Christopher Waller avevano rotto gli indugi, votando per un taglio dei tassi in aperta controtendenza con il loro capo.

Ora, il fronte delle “colombe” si allarga. Nelle ultime ore, si sono aggiunte le voci potenti di Mary Daly, presidente della Fed di San Francisco, e di Neel Kashkari, della Fed di Minneapolis. Le loro dichiarazioni sono pugnali nella schiena della linea dura di Powell. Daly ha affermato che “si avvicina il momento di tagliare i tassi”, mentre Kashkari ha rincarato la dose, sostenendo che con “l’economia che sta rallentando, a breve termine, potrebbe essere appropriato iniziare ad adeguare i tassi”.

Questi dissidenti si uniscono ad altri due che probabilmente, già nella precedente riunione del FOMC, hanno espresso una posizione divergente rispetto a Powell: Christopher WallerMichelle Bowman hanno espresso il proprio dissenso portando a un voto non all’unanimità per la prima volta in trent’anni. Sui 12 voti del FOMC ora ce ne sono 4 contrari al Presidente. Trump aveva, in qualche modo, previsto questa evoluzione:

Il messaggio è chiaro: Powell non ha più il board in pugno. La sua ostinazione nel mantenere i tassi elevati, anche di fronte a un potenziale recessione e a un’opposizione politica sempre più feroce, lo sta trasformando in un generale senza esercito.

Il verdetto dei mercati e la divergenza con la BCE

I mercati hanno già emesso la loro sentenza. Le probabilità di un taglio dei tassi a settembre sono schizzate alle stelle. ING prevede ora tre tagli da 25 punti base entro la fine dell’anno: a settembre, ottobre e dicembre.

Questa traiettoria pone la Fed su un sentiero diametralmente opposto a quello della Banca Centrale Europea. Mentre ci si aspetta che la Fed intraprenda un ciclo di tagli aggressivo, gli investitori prevedono che la BCE possa effettuare un ultimo ritocco a dicembre per poi fermarsi. Questa divergenza sta già avendo effetti tangibili sul mercato valutario: dal venerdì nero dei dati sul lavoro, l’euro ha recuperato quasi il 2% sul dollaro, balzando da 1,14 a oltre 1,16.

Per Jerome Powell, la strada è tutta in salita. Piegato dai dati, sfidato dai suoi stessi colleghi e osservato speciale della politica, il suo ruolo di “falco” sembra ormai insostenibile. La ritirata non è più un’opzione, ma una necessità imminente.


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