Energia
ENI paga in arbitrato 1 mld € per il gas libico a Edison (100% EDF, ossia Stato Francese) : vista la pervasività transalpina nel settore, l’Italia deve far cambiare la sede arbitrale in ambito energia (oggi Parigi)!
Abbiamo appreso dalla stampa che Eni ha dovuto pagare circa 1 miliardo di euro ad Edison – ossia, in pratica, allo Stato francese visto che l’azienda milanese è detenuta praticamente al 100% da Electricitè de France (EDF), la quale è all’84,5% statale – in un arbitrato tenutosi nelle scorse settimana alla Camera di Commercio di Parigi. Notate il dettaglio: nell’immagine sopra tratta dal sito di Edison si evita accuratamente di scrivere che la sede dell’International Chamber of Commerce è quella di Parigi….
Una beffa se si considera che Edison è solo una bricola di quello che fu Montedison, la più grande azienda privata italiana ceduta forzatamente allo straniero francese [alienazione determinata, almeno nell’atto finale dalla tangente pagata al giudice corrotto della Procura di Milano Diego Curtò e mai ben spiegata, ossia di un giudice che ironia della sorte fa parte della stessa onoratissima istituzione oggi diretta dal giudice Edmondo Bruti Liberati], grazie alla “collaborazione” (…) di Fiat. Chiaramente i pezzi importanti venduti dalla gestione franco-torinese andarono in mani preminentemente francofone (Solvay, Beghin Say, EDF etc.)
Tornando all’oggetto, in pratica come da clausole approvate il contratto del gas libico [indicizzato ad un basket di prodotti petroliferi] in fornitura a Edison è stato rinegoziato su richiesta del cliente a fronte della caduta del prezzo del gas, nel periodo in cui la rinegoziazione è applicabile i prezzi del petrolio e derivati erano altissimi mentre il gas era trattato a sconto sui mercati (…). Questo ultimo round di rinegoziazioni ha interessato il 2012, stando a fonti di stampa. Da notare che – sembra – lo stesso contratto era già stato rinegoziato in passato da Edison con un ulteriore forte sconto di prezzo, successivamente è seguita questa nuova rinegoziazione che ha portato al pagamento di cui sopra. Ma non è tutto: a stima, dopo quest’ultima rinegoziazione – visto che l’indicizzazione ai prodotti petroliferi dovrebbe essere stata mantenuta modificando solo il prezzo ma non il basket, da prassi, e visto che di norma in questi casi si modifica solo la componente fissa, ndr – i prezzi attuali risultanti da detta rinegoziazione dovrebbero essere molto più bassi di quelli di mercato, questi ultimi per altro al livello più basso degli ultimi 10 anni (vedremo). E questo a causa del famoso crollo del greggio a partire da luglio 2014. Dunque, se questa fosse la realtà dei fatti è da attendersi che il prezzo di fornitura applicabile in periodi recenti a seguito di detta rinegoziazione sia bassissimo e dunque possa essere ENI a richiedere una modifica di prezzo per riportare i prezzi a livello di mercato per il futuro, probabilmente verrà di nuovo avviato l’iter arbitrale con grandi costi pagati alla Camera di Arbitrato (di Parigi). Come a carte, il banco (di Parigi) vince sempre.
In conclusione, stimando sia corretto quanto abbiamo letto sulla stampa, la primissima considerazione da fare è che la più importante azienda italiana ha indirettamente pagato quasi un miliardo di euro allo Stato francese, di fatto.
La seconda considerazione è invece che, nelle more del caso in questione – un vero casus belli –, stiamo vedendo una pervasiva ingerenza della giustizia privata nel modificare i termini contrattuali del business energetico, con grave danno della certezza dei risultati aziendali che sta alla base del mondo del business. In particolare vediamo che allo stesso contratto rischiano di essere applicate varie rinegoziazioni in serie [con enormi costi arbitrali, di norma sono in % al valore del contratto, ndr], per altro l’ultima rinegoziazione rischia (vedremo) di aver implicato una modifica del prezzo anche per il futuro – oltre al pagamento del danno per il passato – con fissazione del prezzo corrente ad un livello ben sotto del prezzo di mercato attuale (della serie, la prossima rinegoziazione ce la si potrebbe aspettare da ENI questa volta): in una logica di business, se di rinegoziazione deve trattarsi sarebbe auspicabile che questa sia sostenibile anche per il futuro, o sbaglio? A questo si aggiunga che i principi basilari di ogni business – soprattutto se grande e strategico – ci impongono che le controparti provvedano ad una oculata gestione del rischio. E nel mondo moderno tale gestione passa inevitabilmente per i derivati finanziari, liberamente accessibili per ogni azienda (le cronache sono piene di esempi, anche malsani se legati alla P.P.A.A. italiana). Or dunque, visto che gli eventuali derivati e le forniture energetiche in capo ad una stessa azienda non sono necessariamente collegati – men che meno in forma ricostruibile, gli effetti sono ugualmente in flussi di denaro ma in pratica le due gestioni sono normalmente segregate per via di una gestione cd. “di portafoglio” -, come si fa ad esempio ad essere sicuri che un’azienda, soprattutto se grande e strategica, non si sia coperta finanziariamente dagli effetti delle fluttuazioni dei prezzi dei suoi contratti di fornitura e poi richieda comunque una rinegoziazione?
La terza considerazione è che questo tipo di giustizia diciamo “privata” – in quanto non passa dai tribunali ordinari comporta di fatto l’esautorazione potenziale dei giudici e quindi degli Stati interessati – porti ad escludere l’aspetto “nazionale” introducendo al suo posto una dimensione “sovranazionale” (in questo caso, basata a Parigi) in decisioni economiche di tale rilevanza che possono avere una implicazione politica, ossia per praticità e velocità vengono introdotte logiche non necessariamente sovrapponibili a quelle che avrebbe preso la tipica magistratura. Per inciso, questa giustizia è quella che dovrebbe essere applicabile al famoso TTIP, trattato commerciale transatlantico tra EU e USA, ossia l’esempio portato dalla rinegoziazione del contratto di ENI rischia di essere un ottimo caso di studio delle potenziali criticità, includendo tra queste prima di tutto la sede dell’arbitrato.
Considerando la realtà globale e globalizzata con questa lente non vi viene il dubbio che nella gestione extragiudiziale di questi contratti entri anche qualcosa di diverso dal business, ad esempio la politica? E magari anche quella internazionale, con tutti gli annessi e connessi – e a maggior ragione anche le criticità, vedasi il caso Libya/Gheddafi e più recentemente Siria – del caso (…). Ma non voglio addentrarmi in questi meandri, certamente la Corte di Arbitrato di Parigi ha avuto le sue ragione nella decisione in oggetto, ragioni certamente giuste che vanno – sigh – rispettate. Per definizione.
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Dopo il preambolo giungiamo al punto nodale (e critico) dell’intera questione, la sede dell’arbitrato oltre che la legge applicabile: la Camera di Commercio di Parigi è spesso chiamata a dirimere controversie contrattuali anche e soprattutto in ambito energetico. EDF è la prima azienda di Francia e tra le prime al mondo dell’energia in generale che non sia petrolio, mentre Total – risultato della fusione di Total, Fina e Elf Acquitaine, ovvero di aziende storicamente molto attive nello sfruttamento energetico delle colonie francesi e territori affini – è un attore francese di dimensione globale attiva nello sfruttamento del petrolio. Ossia la pervasività della Francia nel settore energia è decisamente rilevante. Inoltre il contratto oggetto della rinegoziazione sopra citato è quello libico, ossia dell’area che fu oggetto di ingerenza neocoloniale francese durante il golpe contro Gheddafi del 2011, rovesciamento che coincise con quello in Italia di Silvio Berlusconi (ricordo che anche Obama ebbe a lamentarsi sulla rapidità dei bombardamenti francesi in Libya allo scoccare della deadline della no fly zone imposta dall’ONU, chiaramente un’ingerenza francese contro gli interessi italiani).
Ovvero far gestire una rinegoziazione tra ENI (che in tempi non sospetti il primo ministro Renzi ha definito come un centro di interessi di politica estera italiana/servizi segreti) ed EDF (di fatto un’azienda che come nessun altra rappresenta in toto lo Stato Francese) alla camera di commercio di PARIGI sembra introdurre un innegabile elemento di (potenziale) conflitto di interesse.
(Edison Shareholding structure)
Nessuno vuole implicare che nella decisione presa tra ENI ed EDF ci sia malafede, giammai, e sottolineo la posizione dello scrivente a scanso di equivoci. Ma visto che, come abbiamo spiegato sopra, è possibile che in affari di così grande impatto possa esserci – anche a volerla escludere – una qualche componente politica dobbiamo fare attenzione alle possibili conseguenze. Ovvero dette conseguenze rischiano di non essere positive, anzi, per cui è bene escluderle a priori (…). Dunque, per ovviare a casi in cui a fronte dello sdegno anche popolare ed anche di fonte mediatica – come nel caso della FIFA/Platini che ha portato ad una punizione esemplare per l’ex capitano della nazionale francese, magari eccedendo nel vigore della pena [a fronte di una leggerezza del ex vicepresidente francese della FIFA – ritengo sia bene evitare fraintendimenti per il futuro evitando che nacqua il benchè minimo sospetto sulla terzietà delle decisioni di arbitrato [ad es, siamo sicuri che la pena sarebbe stata così esemplare per Platini se la sede della FIFA fosse stata in Francia?]. A maggior ragione viste le innegabili frizioni presenti e future oltre che conflitti di interessi tra Francia ed Italia in scenari energetici geostrategici come la Libya creino seri problemi in futuro, non dimentichiamo le risatine di Sarkozy in occasione della conferenza stampa del 2011 con Angela Merkel.
Ritengo dunque che sia nell’interesse italiano e dell’Europa, ora e per il futuro, evitare la Camera di Commercio di Parigi come sede di arbitrato in abito energetico. Esistono ad esempio giurisdizioni maggiormente prone ad una terzietà “per definizione“, ad esempio la Svizzera che ha saputo punire esemplarmente il vicepresidente FIFA francese per una leggerezza che non è effettivamente reato nella Confederazione, come correttamente affermato da M. Platini il contratto verbale non è reato in Confederazione.
C’è ad esempio una sede di arbitrato che si sta specializzando in ambito energetico, quella di Lugano, che potrebbe rappresentare una giusta soluzione che contemperi gli interessi delle parti in un ambito di terzietà “per definizione”.
Ritengo che si debba in ogni caso assolutamente evitare di andare in arbitrato in sedi che possano rappresentare un dichiarato conflitto di interesse nei confronti di una delle Parti, quanto meno per contratti “strategici” pluriennali che comportino forniture internazionali con pesanti impatti geopolitici, cambiando le clausole arbitrali anche a quelli pre-esistenti.
Mi aspetterei una presa di posizione da parte italiana finalizzata ad modificare le clausole contrattuali future ed esistenti delle primarie aziende nazionali in ambito energetico in modo da ottemperare alla necessario presupposto di terzietà “per definizione” [rafforzandolo] della sede arbitrale, anche agli occhi delle pubbliche opinioni dei paesi interessati alle decisioni. Nell’intersse di tutti, italiani e stranieri.
Jetlag per Mitt Dolcino
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