“Beh, il professor Tarantelli sa molto bene che il monetarismo non è l’indirizzo di pensiero che io condivido, per il semplice fatto cheanche laddove ha raggiunto il risultato di provocare un certo rientro dell’inflazione, non bisogna illudersi: questo è stato ottenuto a prezzo di gravissimi costi sociali, che sono stati rilevati dalla stampa di tali paesi. A parte la circostanza che le ncessità di provvedere in qualche modo alle esigenze minime di vita hanno poi contribuito – è il caso dell’Inghilterra ma anche degli Stati Uniti- adaggravare il disavanzo del bilancio.
Il fatto è che si è creata una categoria di cittadini che vivono nelle forme di sussistenza – scriveva “The Economist” (!)- come gli indiani nelle riserve, come cittadini di seconda categoria.
Quindi non credo che questa possa corrispondere a degli ideali sociali, né dal punto di vista tecnico…a nessuna validità empirica che il conseguimento e il rallentamento del ritmo dell’inflazione di per sé porti a modificare le condizioni sociali che, anzi possono essere anche ulteriormente aggravate anziché attenuate.
…Quanto al neo-keynesianesimo, in questa nuova interpretazione come nuova politica dei redditi, vorrei ricordare una frase scherzosa di un economista americano che si è molto interessato dei problemi del lavoro e dell’occupazione, Okun; il quale ha avuto occasione di dire che se mettiamo in una gabbia un leone e una pecora è necessario tendere in riserva una buona scorta di pecore.
E dunque – è sempre Okun che lo dice – se una società si avvale di una politica dei redditi se ne deve possedere una buona scorta.
(Federico Caffè, “Intervista di Ezio Tarantelli a Federico Caffè”, per “Il Mondo dell’economia” nell’ambito del programma radiofonico realizzato da Carlo Toti, 16 giugno 1984, nella raccolta “Federico Caffè- La dignità del lavoro”, pag.353 ss.).”
Cioè avevamo cercato di riassumere ciò che Draghi ritiene che gli uomini debbano credere e ciò per cui si debbano affannare. Ne ribadiamo le conclusioni (rinviando al post per le premesse teoriche monetariste e neo-keynesiane ravvisabili nelle esternazioni di Draghi):
“- Draghi prende atto, a quanto pare, della prolungata caduta e mancata ripresa degli investimenti in UEM, nonostante i tassi ufficiali ai minimi storici, e che dunque la curva IS si sta rivelando, diffusamente, piuttosto rigidina;
– nell’ottica predominante delle aspettative razionali (che guidino o meno gli “esiti” della curva di Phillips), continua ad attribuire questa rigidità alla insufficiente flessibilità salariale verso il basso nei paesi “debitori” (per la Germania, obiettivamente, l’andamento salariale rispetto alla produttività non consente analogo rimprovero, anzi, semmai, un auspicio nella direzione opposta, cui avrebbe di recente aderito anche Weidman; v.sotto);
– al contempo, sicuramente senza temerla eccessivamente (adde: anche se ora si sta lentamente accorgendo che la cosa sta un po’ prendendo la mano), deve cercare di fronteggiare una prospettiva di deflazione: cioè il calo dei prezzi, come nell’ipotesi di Patinkin (e di certi economisti mainstream italiani) viene visto come una cosa generalmente positiva, ma purchè poi ne segua la fiducia degli investitori, ostacolata invece dalle eccessive pretese salariali e dal livello della spesa pubblica.
– Solo che, appunto, in attesa che effettivamente sia rimosso l’ostacolo della rigidità salariale, e dunque in presenza di curva degli investimenti IS rigida (l’abusato “cavallo non beve“), è consapevole che la politica monetaria da lui concepita da ultimo (un QE inclusivo di acquisto di titoli pubbliici e privati, fuori tempo massimo), rischia di risultare scarsamente efficace. Per questo, parlava infatti, a Jackson Hole; di “investimenti pubblici”, nell’ambito di una ovvia politica sul lato dell’offerta, che renderebbe lecito un qualche allentamento delle politiche del pareggio di bilancio; – il che riporta in auge, a doppio titolo,
– cioè sia la condizione neoclassica di accettabilità delle teorie keynesiane espansive costituita dalla rigidità della curva IS, sia per l’insufficienza dell’effetto saldi reali rispetto alla (ancora) eccessiva rigidità salariale verso il basso di paesi come la Francia e soprattutto l’Italia
– l’esigenza di una, ancorchè transitoria, mitigazione del consolidamento fiscale; – in sostanza, con una certa fantasia nel perpetuare le aspettative razionali di cui è propugnatore, vuole rompere il circolo vizioso per cui il non verificato “spiazzamento” determinato dalla rigidità della curva IS, che vanificherebbe la stessa riduzione della spesa pubblica (già in atto in termini assoluti e considerati arretramento e diminuzione del PIL) si accoppia alla caduta dei consumi e degli scambi intraUEM, determinando l’effetto collaterale della deflazione;
– notare che, implicito in questo discorso, è che la crisi non sia da domanda ma strutturale: cioè Draghi legge la situazione come sostanzialmente svincolata dall’andamento del PIL (UEM o di singole nazioni), considerato un problema “aggiustabile” nell’ambito della ristrutturazione da sempre auspicata.
Cioè, con la sola lente dell’obiettivo di preservare la moneta unica, in quanto strumento che “vincola”, cioè rende ineludibile rimuovere gli ostacoli al pieno ripristino del mercato del lavoro(-merce) che viene considerato essenziale per il funzionamento dell’effetto saldi reali, ovvero dello stesso spiazzamento espansivo verso gli investimenti privati.
– Insomma, la chiave di tutto, come sempre è il mercato del lavoro, la cuiflessibilizzazione, viene presumibilmente vista come la precondizione per la praticabilità e l’efficacia delle stesse politiche di taglio della spesa pubblica: finchè la prima non viene pienamente realizzata, le seconde rischiano di provocare un problema di deflazione e di non poter sbloccare la rigidità della curva degli investimenti.”
3. Sulle dichiarazioni-esternazioni di Draghi di ieri e sulle reazioni, attuali e future, di borse e aspettative economiche (reali), si sono già manifestati un profluvio di commenti.
Maurizio Gustinicchi, su scenarieconomici, ce ne dà una lettura con un taglio interessante:
A mia volta, forte dei commenti USA, tratti del New York Times, vorrei fare un paio di sottolineature. A mio parere non “di dettaglio”.
Il fatto è che, come sottolinea Maurizio, Draghi aveva “dichiarato” alla fine di un anno di QE un’inflazione sperata all’1% e si ritrova invece in questa situazione (dopo un ripido declino da qualche decimale di timida reflazione):
3. E dunque, inventa il TLTRO “con omaggio” della premiata ditta BCE(secondo il NYT che parla di tostapane in regalo):
“…le banche restituiranno (ndr: nell’ambito del neo-TLTRO) meno di quanto ricevuto alla fine del prestito di quattro anni. Le banche saranno ammesse a tale linea solo se presteranno (tale denaro) ai consumatori e alle imprese.. E ci sono altre condizioni. Il denaro non potrà essere usato per i mutui ipotecari ad esempio.”
Insomma, Draghi ragiona e agisce “come se” l’inflazione fosse già risalita, cioè intende spingere in tal senso, e. dunque, i tassi reali di credito, non adeguati dal lato della BCE a tale ipotesi (mantenuta nell’arco di quattro anni),diventano (ancor più) ampiamente positivi per il settore bancario.
Mi spiego: a queste condizioni di rifornimento del denaro da intermediare, nella funzione di banca commerciale, qualsiasi tasso praticato a famiglie e imprese, per credito effettivamente erogato, diviene un’occasione di amplificare il profitto di intermediazione.
4. Ma anche se il Target non fosse rispettato, e cioè il credito non fosse erogato, intanto, fino al periodo di revoca della linea privilegiata di liquidità aggiuntiva BCE, le banche possono segnare un attivo discretuccio, alleviando i bilanci, anche rimanendo ferme.
Alla peggio, alla scadenza del periodo di “verifica” (un paio d’anni sul totale di quattro) del rispetto del target, si avrà la restituzione anticipata del debito TLTRO (nel precedente caso, abbiamo visto: “il TLTRO, sulla violazione del previsto bench mark incrementale di prestiti ai privati, si limita a sanzionare con la restituzione dopo due anni anzicchè i quattro ordinari. Sicchè, in pratica, più che “targeted” all’economia reale, è un…LTRO biennale di tentata sopravvivenza dell’euro”)
Draghi naturalmente si è affrettato a smentire che ciò potesse essere volto allo scopo di favorire i profitti bancari. Ma il risultato pratico non cambia (se il meccanismo attuale non prevederà altro che la restituzione secca dopo due anni su quattro: ma, al massimo, in caso contrario,potrebbe essere applicato l’attuale tasso ordinario di operazioni di finanziamento bancario: cioè zero, anzichè – 0,4 targeted).
5. Questa è una misura sul lato dell’offerta: sia sul piano bancario, cioè dei costi di rifornimento della liquidità da parte del sistema creditizio, sia sul lato dello “sperato” minor costo delle aperture di credito per crediti alle imprese e al consumo, ove fossero poi concessi (tranne che per i mutui ipotecari, come abbiamo visto, cioè per le case delle famiglie, che si vorrebbe tener fuori, probabilmente per evitare bolle immobiliari e ulteriori insolvenze per i mutui in corso, che diverrebbero più onerosi e, potenzialmente, da ricontrattare a favore dei mutuatari).
6. Ovviamente, il cavallo non berrà o berrà molto meno del previsto:infatti, Draghi si assicura che le politiche di bilancio siano improntate al consueto rafforzamento delle riforme strutturali. Cioè alla ulteriore deflazione salariale e al taglio della spesa pubblica, con il (consueto) connesso calo della domanda: la deflazione, funzionerebbe, nella sua visione, (per implicito non enunciato), come uno stimolo positivo per gli investimenti, secondo l’ipotesi dell’effetto saldi reali, nel mentre la flessibilità massima del lavoro dovrebbe condurre alla piena occupazione (che fa funzionare tale ipotesi nell’assunto neo-liberista, comunque denominato).
La limitazione delle politiche di spesa pubblica, sul lato del welfare (riforme strutturali complementari a quelle del lavoro), infatti, unita al mercato del lavoro auspicato, dovrebbe condurre alla “piena occupazione” e ridestare gli animal spirits degli investitori, che col calo dei prezzi dovrebbero scorgere maggiori disponibilità al consumo delle famiglie, e maggiori proprie convenienze a impiegare la liquidità intrappolata, dato il presunto recupero della alta elasticità degli investimenti ai tassi di interesse, che è il presupposto di tutto il “meccanismo di trasmissione monetaria” ipotizzato.
7. Non sarà così: a tacere dell’altra mezza dozzina di misure adottate da Draghi– tra cui l’estensione del QE all’acquisto dei bond privati delle impresenon bancarie, laddove avvantaggiate, sul piano dei rating di ammissibilità, saranno essenzialmente grandi imporese francesi e tedesche e molto limitatamente quelle italiane.
8. Che poi sarebbe una crisi da domanda, su cui le politiche monerariste, sposate alfalso buonismo delle politiche dei redditi neo-keynesiane, coronate dalla spinta alla introduzione della contrattazione aziendale (ne riparleremo perché lo stesso Caffè ce ne parla in modo ladipario e ineludibile), nulla possono. Ma proprio nulla.
Draghi può prendere le distanze quanto vuole (da Caffè), ma dalla deflazione generata dalla inguaribile debolezza della domanda in costanza di politiche monetarie (non trasmissibili) e di una infinita austerità espansiva, non si esce.
Le “pecore” continueranno a essere dilaniate: e non basterà la “riserva” ulteriore di immigrati (“migranti” è un politically correct per ipocriti, che rifiutano di vedere come la mattanza del lavoro non abbia più confini).
Semplicemente aveva ragione Caffè.
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