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Analisi e studi

DOV’È LA LIBERTÀ? (di Giuseppe Palma)

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La libertà non è una cosa scontata. Pur essendo un principio di diritto naturale, quindi senza la necessità di tipizzazione da parte del diritto positivo, da sempre i governi hanno cercato, chi più chi meno, di limitarla.

Il primo ed unico periodo della storia (quantomeno quella degli ultimi tremila anni) in cui si è vissuto per davvero in libertà, è stato quello dal 1945 in avanti, cioè dalla fine della guerra fino al febbraio 2019.

Non per caso, ovviamente. Sì è trattato di un dono frutto di lotte sanguinose combattute nel corso dei secoli – anche per noi – dalle generazioni che ci hanno preceduto. Ma la mia generazione se l’era dimenticato. Tutto era dovuto, tutto era scontato. Anche, e soprattutto, la libertà. Per questo abbiamo pensato di dedicarci alle cose inutili, dimenticandoci di difendere la libertà.

Dunque, chi è nato dalla fine degli Anni Trenta in poi ha solo conosciuto questo mondo, l’unico mondo in cui – al di là delle molteplici imperfezioni e falle, talvolta gravi, del sistema – si viveva per davvero da uomini liberi. Certo, un conto era la libertà degli Anni Sessanta-Anni Ottanta (dove esisteva un sensi profondo di libertà sostanziale), un conto è la libertà degli ultimi vent’anni, dove le limitazioni – anche economiche – hanno finito per svilire il principio stesso di libertà. Ma questo è un altro discorso.

Dai primi giorni di marzo di quest’anno una battuta d’arresto, tra le più violente della storia. Ciò che credevamo inviolabile, talvolta sacro, è divenuto addirittura superfluo. Non appena una “polmonite da eziologia sconosciuta” (così la chiamava una nota del ministero della salute il 5 gennaio) ha fatto ingresso nel nostro Paese, sessanta milioni di italiani si sono felicemente accomodati sul divano. C’è il virus. E poi lo dice il presidente del consiglio.

Non importa se la libertà personale e quella di circolazione, che per ottenerle sono morti milioni di ragazzi che ci hanno preceduti, sono state limitate attraverso semplici Dpcm (decreti del presidente del consiglio dei ministri), in violazione della “riserva di legge” prevista dagli articoli 13 e 16 della Costituzione. Ciò che importa è aver salva la pelle. Comprensibile, legittimo, giusto.

Ma è libertà quella di restare vivi senza vivere? È libertà quella di accettare un’applicazione sul telefonino che tracci i nostri movimenti di presunti sani? È libertà quella di vivere a distanza di sicurezza? È libertà quella di annientare il rapporto umano per fare spazio alla totale digitalizzazione del lavoro e dei rapporti stessi? È libertà quella di vedere il proprio lavoro andare in frantumi non a causa propria? È libertà quella di non poter uscire in macchina a mezzanotte per fumare una sigaretta o guardare il mare? È libertà quella di non poter più passare le mani tra i capelli di una ragazza su una spiaggia di notte? È libertà quella di non sapere quando, e se, torneremo liberi?

Si può certo vegetare e continuare a campare, anche con la mascherina a tempo indeterminato e il terrore dei contatti umani e sociali. Anche nei gabbiotti di plastica col caldo d’agosto e uno che ti dice “in spiaggia non puoi entrare perché si è raggiunto il numero prestabilito”. Si può persino continuare a sorridere.
Ma non chiamatela vita.
Non chiamatela Libertà.

Giuseppe PALMA

 


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