Crisi
DIE WELT(1): L’ITALIA NON SI SALVERA’
Per l’Italia non c’è nessuna solida ragione per rimanere nell’unione monetaria. E non c’è mai stata. L’impero di Carlo Magno era sussidiario e decentrato. Oggi si proseguirà, passando attraverso il deserto economico dell’unità monetaria, per creare con brutale violenza politica gli “Stati Uniti d’Europa”. In fin dei conti è l’unica sottostante logica per l’unione monetaria, che nessun politico potrebbe esprimere nella sua mostruosa radicalità.
L’economia italiana si trova da sei anni in una durevole depressione. La produttività economia è crollata drammaticamente, dal suo massimo del 2007 al livello di quattordici anni fa. La produzione industriale è nelle condizioni degli Anni ’80. L’industria concorrenziale e le imprese produttrici muoiono: la disoccupazione giovanile si situa all’incirca al 42%. Prima di aver legato la lira al marco, nel 1996, il Nord-Italia produttivo aveva un sano surplus commerciale con la Germania, benché il marco si rivalutasse regolarmente.
In molte regioni oggi il mercato immobiliare è in caduta libera. Più del 90% degli italiani sono scontenti del proprio Paese, fino ad occupare la quartultima posizione nel mondo, peggio perfino dei territori palestinesi o dell’Ucraina. Il livello del debito, in rapporto al prodotto interno lordo, si trova attualmente all’incirca al 135%. La meta da raggiungere, al momento dei negoziati sull’unione monetaria degli anni 1996-1999, era (ed è) per tutti gli Stati dell’euro il 60%/pil. Nessuno Stato si è attenuto a ciò e certamente non il nuovo commissario francese alla Moneta Pierre Moscovici, di recente nominato, che ora rischia di essere considerato il lupo cui si affida la pecora.
Con un’inflazione zero l’Italia deve raggiungere un avanzo primario, senza contare il servizio del debito, del 7,8%, per rimanere capace di sopravvivere, in modo che siano assicurati il pagamento degli interessi, l’ammortamento e le prestazioni necessarie dello Stato. E questa è una pura illusione. L’Italia è una delle ragioni per cui la Banca Centrale Europea ha già perso la partita e si trova nel panico, come mostrano chiaramente le misure dell’ultimo consiglio della Bce.
Sicché l’Italia uscirà dall’unione monetaria, anzi dovrà farlo. La democrazia e i politici italiani dovranno affrontare una epocale “prova di resistenza”. Sarà radicale più o meno come l’inizio (1861) e la fine (1946) della monarchia italiana, incluso l’intermezzo fascista.
Ciò che tiene (ancora) insieme l’Italia sono pochi fattori: tassi d’interesse storicamente bassi, l’assegno in bianco irrazionale di Berlino per proteggere e garantire fiscalmente (Contratto ESM), l’Italia e tutti gli euro-Stati e lo spericolato tentativo della Bce, attraverso l’acquisto di titoli, in contraddizione col sistema, di comprare principalmente e inconfessatamente la carta straccia delle banche italiane (ABS, RMBS) attraverso usufruttuari privati (‘BlackRock’) e di distribuire i rischi ai contribuenti europei e tedeschi (2). Secondo calcoli della banca d’affari italiana Mediobanca la crescita dell’economia italiana dipende per circa il 67% dal valore esterno dell’euro (per la Germania si tratta del 40%). Non fa meraviglia che ora la Bce e Wall Street tentino il miracolo di una svalutazione della moneta per comprimere l’euro fino a portarlo alla parità rispetto al dollaro americano, per stabilizzare l’Italia. Il sistema vacilla e la politica rimane senza parole.
Tutto ciò non salverà l’Italia. Già si preparano nuovi shock esogeni. Per come stanno le cose oggi, Marine Le Pen, la presidente del Front National, dovrebbe vincere in scioltezza le prossime elezioni presidenziali e come primo provvedimento della sua amministrazione annuncerebbe l’uscita dal patto monetario europeo.
Il voto popolare potrebbe strappar via la Scozia da un’Inghilterra molto poco amata. Ciò corrisponderebbe alla logica della ri-regionalizzazione politica attraverso il sorgere del Superstato di Bruxelles, il contromodello di quello di Carlo Magno. I catalani copierebbero immediatamente questo trucco di liberazione dalle catene senza versamento di sangue degno di Houdini e spingerebbero ancora più in alto il rischio politico in Europa in modo che anche l’ultima delle persone partecipanti al mercato se ne accorga, che si rompa l’impero sognato dell’euro e che Berlino non lo protegga e non lo paghi. L’Italia, col suo tesoro di territorio, le sue 2.451 tonnellate d’oro (corrispondenti a circa il 67% delle attuali riserve di valuta di Roma), e altri beni geostrategici può ben sostenere la sua nuova valuta. E per tutti i nostalgici: no, la nuova moneta sicuramente non si chiamerà Lira.
Erwin Grandinger, Analista politico-finanziario presso il Gruppo EPM di Berlino.
(Traduzione dal tedesco di Gianni Pardo)
(1)http://www.welt.de/print/die_welt/finanzen/article132206352/Italien-wird-Euro-Zone-den-Ruecken-kehren.html
(2) Non tutto è chiaro in questa frase. NdT).
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