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Cultura

DeInfluencing: la vera tendenza in corso, da incentivare

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Instagram, TikTok e YouTube stanno vedendo una vera tendenza, reale, da grandi influencer: il “Deinfluencing“, il rifiuto, secco e brutale, degli influencer e dei loro suggerimenti.

La cosa strana è che, parzialmente, anche il de-influencing ha i suoi influencer, persone che dicono ai propri follower perché non dovrebbero acquistare un prodotto. Questa tendenza è iniziata con le categorie beauty e lifestyle, ma si è poi spostata in altri settori e prodotti popolari. Gli influencer discutono di prodotti che ritengono eccessivamente pubblicizzati e possono fornire alternative ai loro follower.

L’hashtag #deinfluencing ha avuto più di 233 milioni di visualizzazioni su TikTok qualche mese fa.  I video invitano a un acquisto più responsabile considerato, che non valuti solo la comunicazione, ma tutti gli aspetti del prodotto. Parlando di marketing e tornando alle origini, a Jerome McCarthy, si potrebbe dire che il deinfluencing è la vendetta della P di Prodotto sugli altre tre.

Il caso del deinfluencing

Una spinta molto forte verso il deinfluencing è avvenuta dopo l’introduzione di TikTok shop e degli acquisti su Instagram. Le due piattaforme speravano di far si che il potere degli influencer si trasformasse, immediatamente, in vendite, e quindi in flussi monetari per loro e per i clienti commerciali. Il risultato è stato un  boom di piccoli e grandi influencer che  hanno bombardato con tentativi di vendita, un po’ di tutti i tipi, pressanti, e con il bottoncino per vendere. I social media, nati per incontrare l’amico e il simile, sono diventati come una fiera, invasiva, continua e oppressiva, da cui il rifiuto.

A questa vera e propria repulsione per la comunicazione commerciale forzata si aggiungono poi le preoccupazioni ecologiche e di sanità morale e mentale legate al consumo eccessivo.  La cultura degli influencer promuove un’abitudine malsana di consumo eccessivo nel tentativo di stare al passo con le ultime tendenze.

Mentre i grandi influencer incoraggiano i giganti del fast fashion, come Shein o Old Navy, la produzione di vestiti contribuisce a circa l’8%-10% delle emissioni di carbonio del mondo, oltre al 20% dell’inquinamento idrico globale, secondo ResearchGate. Anche il trasporto contribuisce al 3% delle emissioni globali di gas serra. I deinfluencer promuovono una maggiore sostenibilità non acquistando tanto a livello di consumatore.

Infine, francamente, l’influencer spinge al consumo eccessivo che, alla fine, di fronte alle risorse economiche scarse, diventa spreco del necessario da un lato (Cosa te ne fai di un milione di gadget che magari compri a scapito di un’alimentazione sana) e frustrazione per insoddisfazione dall’altro, per cui molti  hanno deciso di dire basta.

Deinfluenzare significa rifiutare la cultura materiale, soprattutto quella del consumo veloce, dell’usa e getta made in Bagladesh, e dell’avere sempre di più di ciò che è perfettamente inutile.

Deinfluencer vs. influencer

Il deinfluencing non è un rifiuto diretto del mercato degli influencer, ma rafforza l’onestà nei confronti dei follower. I creatori cercano di aiutare i loro follower dicendo loro opinioni oneste invece di incoraggiarli ad acquistare qualcosa di cui potrebbero non avere bisogno. I deinfluencer si interrogano e si pongono in modo scettico nei confronti delle pubblicità dei prodotti.

Gli influencer cercano di convincere i follower ad acquistare un prodotto e in genere dicono che il prodotto è utile a tutti. I deinfluencer si rendono conto che i prodotti potrebbero non essere adatti a tutti e cercano di mostrare delle alternative, a volte anche meno costose.

Sia gli influencer che i deinfluencer cercano di persuadere i follower, quindi sono simili. Rafforzano un rapporto con i loro fan o seguaci. Le tendenze possono sembrare divertenti, ma internet spinge a cambiare le tendenze in continuazione, rendendo difficile e costoso per i consumatori stare al passo.

Deinfluencer ed etica

Un deinfluencer come si porrebbe rispetto a quello che accade ora, con pandori e uova vendute tre volte il loro valore commerciale perché promosse da un influencer? Spingerebbe a ragionare su quello che stiamo comprando, se veramente vale tre volte il suo prezzo, se non esiste un’alternativa migliore a un prezzo più interessante, se alla fine c’è veramente bisogno del ventesimo eyeliner o del phon che fa anche i riccioli io della crema per mantenere morbida la barba.

Oppure del pandoro che costa nove euro invece che tre e mezzo.


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