Attualità
Daihatsu chiude gli impianti di produzione dopo lo scandalo sicurezza
La Daihatsu Motor Co. ha fermato gli impianti di assemblaggio di veicoli nazionali dopo aver ammesso decenni di falsificazione fraudolenta dei test di sicurezza, mettendo in allarme le comunità locali, i fornitori e i lavoratori che dipendevano in questa azienda, dando un colpo alla proverbiale solidità economica giapponese.
Il 25 dicembre la produzione di veicoli è stata interrotta negli stabilimenti Daihatsu di Ryuo, nella prefettura di Shiga, e di Oyamazaki, nella prefettura di Kyoto, e in uno stabilimento sussidiario di Nakatsu, nella prefettura di Oita.
Le operazioni di assemblaggio dei veicoli dell’azienda si sono interrotte bruscamente dopo che lo stabilimento di Ikeda, nella prefettura di Osaka, ha sospeso la produzione il 26 dicembre.
I quattro impianti, che insieme hanno assemblato circa 930.000 veicoli nell’anno fiscale 2022, rimarranno inattivi almeno fino alla fine di gennaio. Non è stato deciso quando riprenderanno le attività.
I lavoratori della fabbrica saranno assegnati al lavoro d’ufficio, alle pulizie e ad altre mansioni durante il giorno. Il lavoro notturno sarà sospeso. Ovviamente è una soluzione che può durare solo per qualche settimana, dopo di che o si riprende la produzione o si chiude.
A Ryuo, una città di poco più di 10.000 abitanti, lo stabilimento Daihatsu impiega circa 4.000 lavoratori a tempo pieno.
La crisi si estente a tutto l’indotto: un’azienda che fornisce più del 90% dei suoi prodotti a Daihatsu ha messo in congedo più della metà dei suoi circa 1.000 dipendenti dopo che il 20 dicembre le è stato comunicato che lo stabilimento Daihatsu sarebbe stato chiuso a causa dello scandalo.
“È così difficile che non riusciamo a vedere una strada per andare avanti”, ha dichiarato un funzionario dell’azienda. “Confidiamo che (Daihatsu) prenda provvedimenti per affrontare la situazione”.
A Ryuo la città è in simbiosi quasi totale con l’azienda automobilistica: ad esempio nell’anno fiscale 2021, la città ha avviato un programma che prevedeva il prestito gratuito di un veicolo Daihatsu per tre anni a una famiglia che avesse messo al mondo due o più figli. Ora la città tiene il fiato sospeso.
Lo stabilimento Daihatsu Motor Kyushu Co. di Nakatsu, che impiega circa 4.200 lavoratori, rappresenta più della metà della produzione nazionale di veicoli del gruppo Daihatsu.
La città ha una popolazione di circa 80.000 abitanti. Riceve circa il 20% del gettito dell’imposta comunale sulle società dalle aziende automobilistiche, tra cui la filiale Daihatsu.
Il 25 dicembre il governo della prefettura di Oita ha avviato un servizio di consulenza per i partner commerciali di Daihatsu e per gli altri interessati.
Secondo la società di ricerca creditizia Teikoku Databank Ltd., 89 aziende della prefettura forniscono direttamente o indirettamente parti e materiali a Daihatsu Motor Kyushu e si stima che i ricavi delle attività correlate ammontino a 480 miliardi di yen (3,37 miliardi di dollari).
Presso un fornitore di pezzi di ricambio le cui transazioni con la filiale Daihatsu rappresentano il 10-15% delle sue vendite complessive, sette lavoratori producevano pezzi per l’azienda.
Il 25 dicembre Daihatsu ha dichiarato che l’azienda ha raggiunto un accordo con il sindacato per la compensazione degli stipendi dei dipendenti a causa della chiusura. I dettagli non sono stati resi noti.
L’azienda acquisterà anche alcuni dei pezzi che i suoi 423 subappaltatori principali avrebbero dovuto consegnare entro la fine di gennaio come forma di compensazione.
Si tratta però di tappabuchi che può durare per poco tempo: Dahiatsu e la controllante Toyota dovranno rapidamente scegliere se e come riformare il marchio e disegnare una strategia per riconquistare la fiducia del pubblico, scossa dallo scandalo sulla falsificazione dei dati sulla sicurezza delle auto, o scegliere di chiudere direttamente il marchio e o chiudere o utilizzare diversamente le fabbriche.
Il Giappone non ha un problema di disoccupazione, anzi, importa lavoratori stranieri, ma la chiusura potrebbe causare uno shock occupazionale di breve termine.
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