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Economia

Marelli, ex Magneti Marelli, addio a un secolo di storia: dal Green Deal al fallimento, cosa sta succedendo

La storica Magneti Marelli in crisi profonda: istanza di fallimento (Chapter 11) negli USA. Le cause, dal Green Deal alla cessione a KKR, e l’impatto su 6.000 lavoratori in Italia. Quale futuro per il colosso dell’automotive?

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Magneti Marelli, storico colosso italiano nel settore della componentistica automobilistica, sta affrontando una crisi profonda, culminata con la presentazione di un’istanza di fallimento negli Stati Uniti. Questa situazione ha generato grande incertezza per migliaia di lavoratori in Italia e a livello globale. Fondata nel 1919 da Giovanni Agnelli ed Ercole Marelli, l’azienda ha rappresentato per decenni un simbolo dell’innovazione italiana nell’automotive, con brevetti significativi in settori come le iniezioni elettroniche e i sistemi di accensione.

La crisi ha cause europee: l’approvazione del Green Deal europeo, che prevede il blocco delle auto a motore endotermico. Questa politica ha innescato una “crisi verticale” nel gruppo, riducendo drasticamente la domanda di componenti tradizionali per veicoli a combustione interna. Inoltre, Marelli ha risentito della diminuzione produttiva da parte di importanti case automobilistiche come Maserati, BMW, Mercedes-Benz, Toyota, Nissan e Stellantis.

Attualmente, Marelli, che era stata parte dell’universo Fiat per molti anni prima di essere ceduta da FCA nel 2019 ai giapponesi di CK e successivamente al fondo statunitense KKR, ha cercato la protezione del Chapter 11 presso il tribunale del Delaware. Questa istanza di fallimento, formalizzata l’11 giugno, è un passo obbligato per affrontare una situazione debitoria che supera i 4 miliardi di euro, a fronte di un fatturato annuo di circa 10 miliardi. L’azienda è particolarmente nota per i suoi sistemi di illuminazione e gli interni per automobili.

La cessione a KKR è stata praticamente un fallimento pilotato della famiglia Elkann, impegnata direttamente nel distruggere quello che la famiglia Agnelli, spesso con i soldi degli italiani, aveva compiuto in un secolo. Ed esattamente dopo un secolo dalla sua fondazione Magneti Marelli è stata venduta a KKR. Gli Elkann, a parole, affermano di voler tutelare il lavoro italiano, hanno ricevuto 19 miliardi dal governo, eppure il loro reale impegno per il nostro paese è pari zero.

Logo storico Magneti Marelli

La situazione dell’indotto automobilistico italiano è da tempo precaria. Già nel 2013, la Pcma Magneti-Marelli (ex Ergom) di Napoli, che produceva paraurti e plance per le Alfa di Pomigliano e le Lancia Y di Termini Imerese, si trovava in “fermo produzione” da due anni. Con l’arrivo della Panda a Pomigliano nel 2011, la produzione si è ridotta e Fiat ha creato un “polo plastico” interno, lasciando 800 operai della Magneti Marelli di Napoli senza nuove commesse e con la cassa integrazione in scadenza a luglio 2013. Francesco Percuoco della Fiom Cgil aveva denunciato che l’indotto era “vittima dello stesso progetto-Marchionne”, poiché gran parte della componentistica della Panda arrivava dalla Polonia, e aveva avvertito che il disinvestimento da parte di Fiat (oggi Stellantis) avrebbe portato a centinaia di licenziamenti in Campania. Questa forte dipendenza da Stellantis continua a influenzare pesantemente l’intera filiera automobilistica in Italia e in Piemonte.

L’impatto sui lavoratori è significativo. A livello globale, il gruppo Marelli, dopo la fusione con Calsonic Kansei, conta 170 siti produttivi e circa 51.000 dipendenti, avendo già licenziato circa 5.000 persone nell’ultimo anno. In Italia, gli occupati sono circa 6.000. La situazione è particolarmente critica per i 1.600 dipendenti torinesi, che lavorano nei due stabilimenti di Venaria e nel centro di ricerca e sviluppo, considerato “cuore dell’innovazione per l’azienda”, dove venivano ideati i sistemi di iniezione elettronica all’avanguardia. Altri stabilimenti italiani colpiti includono Bologna, Sulmona (dove la cassa integrazione è già attiva), Crevalcore e Corbetta. Oltre alla Pcma Magneti Marelli di Napoli, altre aziende dell’indotto campano, come la Liar di Caivano (130 lavoratori) e Magneti Marelli Sistemi Scarico (200 lavoratori), si trovano in una situazione di sofferenza.

Il futuro di Magneti Marelli è ancora incerto. L’istanza di Chapter 11 mira a ristrutturare il debito e avviare un nuovo processo di vendita, probabilmente a un “gruppo industriale ancora da definire”. È stato riportato che circa l’80% dei creditori ha già aderito all’accordo per rafforzare la liquidità dell’azienda. Tuttavia, i precedenti negoziati per un’acquisizione da parte del gruppo indiano Samvardhana Motherson International Ltd (Samil), che avrebbe dovuto accollarsi i debiti senza esborso di denaro, non hanno avuto successo, portando all’attuale fase di messa all’asta.

I sindacati, tra cui Fim Cisl e Fiom Cgil, stanno monitorando la situazione con grande preoccupazione. Hanno sollecitato incontri urgenti con la dirigenza aziendale e ritengono “indispensabile” l’apertura di un tavolo istituzionale presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), chiedendo al governo di intervenire direttamente. La preoccupazione maggiore è che, se Stellantis dovesse “colare a picco e disinvestire”, molti lavoratori dell’indotto perderebbero il lavoro. Alcuni esperti e rappresentanti regionali, come Guido Guidesi, assessore alle attività produttive della Lombardia, hanno sottolineato la necessità di rivedere le politiche sul blocco dei motori endotermici per evitare un “effetto valanga” sull’intero comparto automobilistico.

La crisi di Magneti Marelli è considerata un “allarme rosso” per l’industria automobilistica a livello mondiale, data la persistenza delle politiche dell’UE sui motori endotermici, che espone l’industria europea alla concorrenza cinese. Il percorso di rilancio dipenderà dalla capacità di ristrutturare efficacemente il debito e di trovare un acquirente solido che possa garantire continuità produttiva e occupazionale in un settore in rapida trasformazione.


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