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Corte Costituzionale: indennizzo dovuto anche per i danni da vaccino non obbligatorio

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È lecito ordinare a tutti, per legge, un vaccino? O è, piuttosto, preferibile ricorrere a un modo più “gentile”, come direbbe il premier Conte, per proporlo, anziché imporlo? I vaccini fanno davvero (sempre) bene? E se, invece, fanno (talvolta) male, è giusto che il cittadino danneggiato sia risarcito? E di questo risarcimento deve farsene carico lo Stato? Tutte queste domande erano già scottanti prima dello tsunami Covid-19. Oggi, alla luce di quanto accaduto, sono quesiti addirittura incendiari. Specialmente se consideriamo la pressione mediatica a favore della vaccinazione anti-Coronavirus e gli investimenti miliardari sollecitati da Bill Gates. E anche lo storytelling corrente secondo cui l’unico rimedio contro il maledetto virus è, per l’appunto, il vaccino che (ancora) non c’è.

Per tutte queste ragioni, è di straordinario interesse una recente sentenza della Corte Costituzionale, la numero 118 del 23 giugno scorso, con la quale la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 1, comma 1 della legge 25 febbraio del 1992, numero 210. Trattasi di una norma poco conosciuta e ancor meno pubblicizzata perché smentisce platealmente la favola bella dei vaccini “innocui” per definizione. Insomma, la vulgata secondo cui non c’è nulla da temere perché tali farmaci non provocano mai reazioni avverse.

Ciò è talmente falso che, da quasi trent’anni, il nostro Paese si è dotato di una legge –  la nr. 210/1992, appunto –  che prevede indennizzi a favore di quanti hanno riportato danni a seguito di vaccinazioni obbligatorie. In tutto questo tempo, lo Stato ha erogato molti soldi a favore degli sventurati incappati in menomazioni di varia natura. Ma perché la norma in oggetto è finita all’attenzione della Corte Costituzionale? Tutto nasce dalla vicenda toccata in sorte a una donna pugliese la quale, da bambina, si era sottoposta per ben due volte, nel 2003 e nel 2004, alla somministrazione di un vaccino contro l’epatite A: un rimedio “raccomandato” (quindi, non obbligatorio) dalla Regione ai nuovi nati e ai ragazzi fino a dodici anni.

La sfortunata protagonista di questa storia, a seguito della “puntura”, risultò affetta da “lupus eritematoso sistemico”. Si rivolse quindi al Tribunale che riconobbe la sussistenza del nesso di causa tra le vaccinazioni e la successiva patologia e le riconobbe il diritto all’indennizzo da parte dello Stato. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Lecce, ma il Ministero della Salute non se n’è dato per inteso ed è ricorso in Cassazione onde far annullare la pronuncia. Secondo il Ministero, infatti, nessun ristoro doveva essere liquidato perché il vaccino non era affatto obbligatorio, ma solo raccomandato; e la legge 210 del 1992 riconosce il diritto, come sopra già esposto, solo a chi non ha potuto sottrarsi perché “costretto” dallo Stato.

Per tutta risposta, la Corte di Cassazione ha sollevato un’eccezione di illegittimità della legge del 1992. Secondo la Suprema Corte, infatti, essa è contraria alla nostra Carta fondamentale. Perlomeno laddove prevede il diritto all’indennizzo solo a beneficio di coloro i quali riportano pregiudizi a causa di un vaccino obbligatorio; e non anche a favore di chi – a quel vaccino – si è sottoposto “spontaneamente”. Magari sulla base di una mera “raccomandazione” della pubblica autorità. Ebbene, come anticipato in apertura, la Corte Costituzionale ha dato ragione ai giudici del palazzaccio.

Tra l’altro, sulla base di un assunto pienamente condivisibile. Meritevole di essere memorizzato, in particolare, da quanti hanno in mente di imporre per legge – o anche solo di “caldamente” consigliare a tutta la popolazione italiana – una bella vaccinazione anti-Covid. In buona sostanza, i giudici della Consulta hanno rilevato come, nel caso di specie, la cosiddetta “raccomandazione” si era in realtà tradotta in una “ampia e insistita campagna di informazione” da parte delle autorità sanitarie. Per effetto della quale, la giovane era stata convocata presso gli ambulatori dell’ASL mediante una missiva che presentava la vaccinazione “non tanto come prestazione raccomandata, ma quasi come se fosse stata obbligatoria”. In effetti, e a ben vedere, la differenza tra “obbligo” e “raccomandazione”, nella pratica medico-sanitaria, è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici.

Tradotto: le chiamano raccomandazioni, ma in realtà qualsiasi cittadino le percepisce, recepisce e interpreta come coercizioni. Soprattutto perché l’uomo della strada è portato, di regola, a riporre “affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie”. Tutto ciò ha condotto la Corte Costituzionale alla declaratoria di illegittimità della norma esaminata. Anche in virtù di un principio ben preciso: il diritto all’indennizzo maturato dal paziente non risiede tanto nella circostanza dell’obbligo, quanto piuttosto in un preciso dovere di solidarietà incombente su tutta la comunità statuale.

Se i danni sono provocati da un vaccino (imposto o raccomandato che sia) la cui somministrazione è giustificata da un interesse collettivo, allora la collettività tutta deve farsi carico delle lesioni causate ai singoli. Ora, è evidente come questa pronuncia aprirebbe scenari da monitorare se il Governo dovesse davvero intraprendere la strada, da molti auspicata, di una vaccinazione di massa contro il nuovo Coronavirus. Sia nel caso in cui si dovesse optare per un imperativo esplicito sia in quello in cui si dovesse propendere per una sorta di “moral suasion” concepita per indurre “spintaneamente” il maggior numero di persone a vaccinarsi.

Le conseguenze, in termini di costi per lo Stato, non saranno irrilevanti se si considera che il famoso vaccino anti-Covid – in fase di sperimentazione un po’ in tutto il mondo – potrebbe essere tutt’altro che sicuro. A maggior ragione se messo in commercio in tempi troppo rapidi e senza una adeguata e preventiva fase di testing. Un allarme è stato lanciato, su Affariitaliani.it, da Maria Rita Gismondo a proposito dello studio sul mRna-1273 di Moderna pubblicato sul New England Journal of medicine: “La cosa pericolosa è che questa accelerazione possa applicarsi a un vaccino del genere, totalmente nuovo e paragonabile a tutti gli effetti a una terapia genica. La gente deve essere consapevole di quello che sta accadendo”. Adesso l’allarme è doppio. Infatti, la “precipitazione” verso soluzioni frenetiche, e quindi potenzialmente micidiali, sarà pagata non solo in termini di salute individuale, ma anche di finanza pubblica.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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