Attualità
Coronavirus e allarme suicidi. Il legame tra economia e mortalità. (di Ilaria Bifarini)
In un momento storico in cui l’opinione pubblica rivolge tutta la propria attenzione sulle statistiche relative ai decessi giornalieri può essere di beneficio riportare alcuni dati sulle principali cause di mortalità del nostro pianeta. Il fattore principale di mortalità a livello globale è, infatti, rappresentato dalle malattie cardiovascolari – quasi 18 milioni – seguita dai tumori (oltre 9,5 milioni), dai disturbi respiratori e dalle infezioni delle basse vie respiratorie (in totale circa 6,5 milioni). A oggi i decessi con o da coronavirus nel mondo sono circa 80 mila, anche se il numero è inevitabilmente destinato ad aumentare ancora.
Subito dopo l’HIV e prima della malaria, c’è un fattore di mortalità che miete ogni anno 800 mila vittime tra la popolazione mondiale, ossia una ogni 40 secondi, e rappresenta una delle principali cause di morte tra i giovani: il suicidio. Numeri sorprendenti e spaventosi, quanto verosimilmente sottostimati, se consideriamo che in alcuni Paesi togliersi la vita è considerato illegale e molti casi vengono classificati come morti per incidenti.
Il tasso di incidenza tra i decessi totali di una popolazione segue matrici non ben identificabili: tra i Paesi con maggiori suicidi spicca la Groenlandia, con una percentuale di incidenza sui decessi nazionali addirittura pari 7,21%, segue la Corea del Sud col 5%, seguita dalla Guyana, il Qatar e lo Sri Lanka. In Europa la percentuale risulta più alta in Russia (2,45%), in Ucraina, in Bielorussia, ma anche in Francia, dove solo negli ultimi anni tale indicatore è sceso sotto il 2%, rappresentando con i suoi 11 mila casi registrati nel 2017 la settima causa di morte, prima delle malattie epatiche e del diabete. Regno Unito, Italia e Spagna registrano tassi inferiori all’1%, bassi rispetto alla media ma comunque numeri preoccupanti, pari a migliaia di decessi ogni anno.
Fattori di rischio
Tra i fattori di rischio riconosciuti nella letteratura scientifica come i più rilevanti nel fenomeno suicidario sono indicate le patologie mentali, quali la depressione e altri disturbi dell‘umore, spesso un riflesso delle difficoltà di adattarsi agli standard sociali e lavorativi richiesti al giorno d’oggi. E proprio il livello di disoccupazione e la situazione economica del Paese in cui si vive sono variabili che incidono fortemente sul tasso di suicidio. Gli studi condotti su tale relazione sono numerosi e giungono a evidenze chiare e predittive: esiste una chiara correlazione tra recessione economica e andamento del tasso di suicidio, anche se non lineare, poiché è più forte nei paesi con un tasso di disoccupazione pre-crisi più basso.
Analizzando gli effetti della crisi economica asiatica avvenuta tra il 1997 e il 1998, è stata riscontrata una correlazione con i tassi di suicidio, in particolare quello maschile, aumentati in modo evidente in Giappone, Hong Kong e Corea, mentre nel caso delle donne il tasso è rimasto pressoché invariato[1]. Come emerge palesemente dal grafico per la Corea del Sud, l’aumento avviene sia durante la crisi che negli anni successivi, essendo le ripercussioni di una crisi economica spalmate e durature nel tempo.
Uno studio analogo è stato condotto in Europa, a seguito della crisi dei mutui subprime del 2008 che, nata in Usa, proprio nel Vecchio Continente sembra essere stata più deleteria e persistente, tanto che molti Paesi, come il nostro, non ne sono ancora usciti mentre si trovano ad affrontare uno shock economico mondiale ancora più travolgente, quello legato al coronavirus. Anche in questo caso è stato riscontrato un aumento del tasso di suicidi legato alle dinamiche economiche.
Interessante è il focus sulla Grecia, il paese che più di tutti ha sofferto la crisi economica del 2008, con l’intervento della Troika che ha imposto misure durissime di austerity alla popolazione, ridotta allo stremo. Ebbene, proprio dal Paese ellenico, che in passato poteva vantare uno dei tasso di suicidi più bassi in assoluto, proviene l’incremento più significativo, con una crescita del 56% tra il 2007 e il 2011 e del 35% tra il 2010 e il 2012[2]. A seguito dei tagli draconiani apportati al settore della sanità sono stati rilevati anche peggioramenti nello stato di salute generale della popolazione: il virus dell’HIV è aumentato del 52%, si è assistito a un’epidemia di malaria che non si riscontrava dal 1974 e a un aumento della mortalità infantile. È la conferma che l’austerity uccide, come hanno dimostrato gran parte dei Paesi occidentali, in primis l’Italia, di fronte all’emergenza coronavirus: i tagli alla sanità hanno reso inadeguata la risposta ospedaliera allo scoppio di un’epidemia, peraltro prevedibile, con un numero di terapie intensive insufficienti ovunque, ad eccezione della Germania, dove il numero è 6 volte quello dell’Italia.
La situazione in Italia
In questi giorni di lockdown in Italia, come nel resto del mondo, l’allarme suicidi manifesta le prime avvisaglie. Numerosi sono stati i casi di persone che si sono tolte la vita per aver contratto il “male oscuro” o per il solo timore di essere contagiati, soprattutto tra il personale ospedaliero, il più esposto al virus, in particolare nel Nord Italia. Si tratta di una reazione istintiva alla paura della malattia da parte dell’essere umano, tanto che già Ovidio nelle Metamorfosi racconta: “si impiccarono, per uccidere le paure della morte con la mano della morte“.
Diversi anche i casi di violenze domestiche, legate a una convivenza forzata e senza interruzione che ha esacerbato situazioni già problematiche, e degenerate in omicidi (dal ragazzo di Roma che ha decapitato con un coltello la madre alla studentessa messinese uccisa dal compagno).
Nel torinese un ragazzo di 29 anni nei giorni scorsi si è tolto la vita perché la sua ditta a seguito del lockdown aveva chiuso e dunque aveva perso quel contratto di tirocinante tanto ambito. Analoga sorte per il 25enne di origini senegalesi a Milano.
Di fatto stiamo vivendo una condizione innaturale per l’essere umano, che per sua natura è un “animale sociale” e nella comunità trova sostegno e riconoscimento, fondamentale soprattutto per le persone più fragili. L’attività lavorativa, oltre che necessaria al sostentamento economico, è una componente imprescindibile dell’equilibrio psichico dell’individuo e della sua integrazione nella collettività.
L’attenzione per i decessi con coronavirus non deve farci dimenticare quelle 800 mila persone che ogni anno muoiono per sofferenze psicologiche, molte delle quali potrebbero essere salvate con maggiore sostegno sociale e attenzione verso di esse, e ricordarci sempre lo stretto nesso che esiste tra aspetto economico e sanitario, complementari e entrambi imprescindibili per il benessere della collettività.
Ilaria Bifarini
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