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Analisi e studi

Conte ha perso la maggioranza assoluta al Senato. Mattarella chieda alle Camere una verifica (di P. Becchi e G. Palma su Libero del 27 giugno)

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La senatrice pentastellata Alessandra Riccardi è passata alla Lega. Da qualche giorno il governo Conte bis ha dunque perso la maggioranza assoluta a Palazzo Madama, infatti i voti dell’aula a suo sostegno sono adesso 160, uno in meno rispetto alla soglia minima di sicurezza che è 161.

Vediamo nel dettaglio come stanno le cose.

Settembre 2019, il governo giallo-rosso ottiene la fiducia alla Camera con 343 voti, 169 al Senato. A Palazzo Madama votano a favore anche due senatori a vita, Monti e Segre, e due del Movimento Italiano all’Estero, Ricardo Merlo e Adriano Cario. Il senatore Paragone, che all’epoca faceva ancora parte del gruppo pentastellato (oggi non più), si astiene. Adesso, probabilmente, voterebbe contro. Giorgio Napolitano, pur non partecipando al voto, fa sapere che avrebbe votato a favore.

Nel frattempo il M5S ha perso, oltre agli espulsi De Falco e Nugnes, che comunque voterebbero per salvare Conte, altri 9 senatori: De Bonis, Fattori, Grassi, Urraro, Lucidi, Buccarella, Martelli, Di Marzio e Ciampolillo. Con il recente abbandono della senatrice Riccardi i numeri sono scesi a 160. Il Senato, tra elettivi e senatori a vita, è composto da 321 membri, quindi come si è detto la maggioranza assoluta è 161. Il governo non è più autosufficiente, anche perché altri due senatori del M5S starebbero pensando di abbandonare il MoVimento, non votando più la fiducia a Conte.

Ma basta questo per farlo cadere?
No, la fiducia è accordata a maggioranza relativa, cioè dei presenti, non serve quella dei componenti. Da questo non si può prescindere.

Potrebbe cadere sulla fiducia solo in due casi: il primo è quello sullo scostamento di bilancio, cioè prevedere spesa a deficit ai sensi del secondo comma dell’art. 81 della Costituzione (“Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”), dove occorre quindi la maggioranza dei componenti l’assemblea.

Il governo non ha più i numeri, tuttavia non è politicamente sostenibile per le opposizioni farlo cadere su questo argomento: verrebbero meno i soldi per pagare la cassa integrazione e i bonus alle partite Iva.

Non a caso, sullo scostamento dei 55 miliardi del mese scorso, la maggioranza non ottenne tutti i suoi voti e lo scostamento avvenne solo grazie ai voti della Lega, altrimenti oggi non ci sarebbe né la cassa integrazione né il bonus di maggio per gli autonomi.

Secondo caso, del tutto improbabile, è quello che in Senato si presentino tutti i 321 componenti, con le opposizioni – compreso tutto il gruppo misto e almeno quattro senatori a vita – che esprimano compatte voto contrario alla fiducia.
Non accadrà, anche perché Renzo Piano e Carlo Rubbia quasi mai si presentano, ed è probabile che Giorgio Napolitano appaia in aula per salvare Conte.

Esiste una terza via.

Nel corso della Seconda repubblica (cioè dal 1994 in avanti) non è mai successo che un governo tirasse a campare senza avere la maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. Il governo Prodi II, dal 2006 al 2008, resse su 161 voti, ma appena perse un senatore cadde miseramente.
Alla Camera il problema non sussiste (i numeri ci sono), al Senato – come si è visto – il governo non è più autosufficiente.

Certo, può sopravvivere grazie a voti di fiducia a maggioranza relativa, ma quella in cui versa attualmente il Paese non è una situazione normale. Il virus e il modo in cui è stato gestito hanno prodotto un’economia “di guerra”, e quando si è in guerra occorre che l’esecutivo abbia numeri sufficienti per governare.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, dal 1946 al 1948, De Gasperi governò con comunisti e socialisti, fino alle elezioni del 1948.

Non si comprende perché oggi, di fronte ad una economia non dissimile a quella post-bellica, Conte e giallo-rossi debbano continuare a governare senza disporre neppure della maggioranza dei componenti in una delle assemblee.

Presentare una mozione di sfiducia non serve a nulla, ma le opposizioni potrebbero chiedere al Capo dello Stato di inviare un messaggio alle Camere (art. 87, secondo comma, della Costituzione) allo scopo di invitare il Parlamento a verificare se il governo sia o meno autosufficiente, soprattutto per approvare gli scostamenti di bilancio.

Non se ha tecnicamente la fiducia, ma se ha i numeri sufficienti – in entrambe le camere – per reggersi autonomamente di fronte a scelte economiche decisive.
In caso contrario, Conte dovrebbe prenderne atto e rassegnare le dimissioni.

A quel punto le soluzioni sarebbero due: elezioni anticipate a settembre, insieme alle regionali, ovvero un governo istituzionale (non tecnico) con tutti dentro – centrodestra e parte dell’attuale maggioranza – fino al prossimo anno o al massimo fino alle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica (gennaio 2022), poi elezioni politiche.

C’è un precedente.

Il governo Berlusconi IV, fino al novembre 2011, godeva ancora del sostegno della maggioranza dei componenti di entrambe le camere, anche se a Montecitorio – dopo la spaccatura di Fini avvenuta un anno prima – per appena un voto (316).

L’8 novembre la Camera approvò il rendiconto generale dello Stato con soli 308 voti, alcuni deputati forzisti decisero infatti di non seguire più il presidente del consiglio. Pur conservando la maggioranza relativa, e quindi la fiducia, il Cav prese atto di aver perso la maggioranza assoluta e – nonostante le perplessità e dopo diversi tira e molla – dichiarò che avrebbe rassegnato le dimissioni subito dopo l’approvazione della legge di stabilità, cosa che avvenne dopo qualche giorno.

Berlusconi non perse la fiducia delle camere, semplicemente prese atto di aver perso la maggioranza assoluta in parlamento e si dimise.

Conte non è Berlusconi, ma per quale motivo – in una situazione, quella attuale, ben peggiore di quella del 2011 – Conte non dovrebbe dimettersi visto che non è più autosufficiente al Senato?

(di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 27 giugno 2020)

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di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, “DEMOCRAZIA IN QUARANTENA. Come un virus ha travolto il Paese“, Historica edizioni.

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