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Economia

Come hanno malamente svenduto il Patrimonio Pubblico IRI: un’analisi con Antonio Maria Rinaldi

IRI ed Europa: come l’IRI ha permesso di superare crisi economiche e di controllaregli eccessi del sistema capitalistico, sino ad essere stata sacrificata sull’Altare della UE da Romano Prodi. Senza ottenere niente in cambio

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Perchè venne creata l’IRI e quale vantaggio si è avuto dal suo smantellamento e svendita, fatta a suo tempo da Romano Prodi?  Su questo tema vi presentiamo un’illuminante intervista a Radio Radio con il Professor Antonio Maria Rinaldi, intervistato da Fabio Duranti. Al centro della discussione vi è il tema cruciale del controllo pubblico delle società e la gestione del patrimonio statale in Italia, con un focus critico sulle privatizzazioni avvenute negli anni ’90.

Rinaldi analizza le contraddizioni insite nella quotazione in borsa di società che gestiscono servizi essenziali per i cittadini – come acqua, energia e farmaci – sottolineando come la natura “isterica” e orientata al guadagno immediato della borsa moderna sia incompatibile con la garanzia di servizi primari. Viene evidenziato come la necessità di aumentare costantemente utili e distribuire profitti porti queste società a privilegiare la speculazione rispetto alla qualità e all’accessibilità dei servizi.

La conversazione ripercorre la storia dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), un ente fondamentale nato dopo la crisi del 1929 per salvare e risanare aziende in difficoltà, garantendo al contempo l’occupazione. Viene ricordato come l’IRI, fondato durante il periodo fascista con il patrocinio di Benito Mussolini e Guido Jung, abbia giocato un ruolo cruciale nella rinascita economica del paese, mettendo capitali statali per mantenere in vita le imprese e salvaguardare i posti di lavoro.

In contrapposizione, viene fortemente criticata la stagione delle privatizzazioni, in particolare quella avvenuta negli anni ’90 in previsione dell’ingresso nell’Unione Europea e dell’adozione della moneta unica. L’esigenza di rispettare i parametri di Maastricht, in particolare il rapporto debito/PIL, avrebbe portato lo Stato a svendere asset pubblici risanati – definiti “gioielli di famiglia” – a prezzi irrisori, un “piatto di lenticchie scotto”. Questa strategia, oltre a deprivare lo Stato di asset redditizi, non avrebbe nemmeno raggiunto l’obiettivo di ridurre significativamente il debito pubblico.

Viene inoltre fatto un paragone con la gestione della crisi del 1929 negli Stati Uniti e il conseguente New Deal, ispirato alle teorie keynesiane. Rinaldi ricorda come il governo americano intervenne massicciamente con un programma di investimenti in infrastrutture per creare lavoro e rimettere in circolo l’economia, dimostrando un approccio statale attivo e incisivo.

L’intervista si conclude con una riflessione amara sugli esiti delle politiche di svendita e un parallelismo critico con i risultati ottenuti dall’adesione all’Unione Europea, mettendo in discussione l’effettivo beneficio che tali scelte abbiano apportato al paese e al benessere dei cittadini.

Un momento di discussione per capire la situazione attuale, sulla base delle scelte, giuste e sbagliate, fatte in passato

Buon Ascolto:

 

Estratto dell’intervista ad Antonio Maria Rinaldi

 

Rinaldi: Però io vorrei ritornare al discorso tuo di prima. Dici, ma è giusto andare a eh quotare società che distribuiscono dei servizi essenziali? Allora, qui facciamo un piccolo passo indietro. Negli anni ’90, negli anni ’90, in previsione della famoso mercato unico del quindi dell’Unione Europea e quindi della condivisione di una moneta, bisognava avere i cosiddetti conti in ordine. Quante volte abbiamo sentito i conti in ordine e in particolare quei famosi due parametri di Maastricht che ce li sogniamo di notte, no? Il rapporto debito PIL, per carità, deve essere inferiore al 60% non superiore, cioè che poi non si sa dove hanno trovato sti numeri, perché io non ho mai visto un lavoro scientifico eh di qualsiasi università del… Sì, sì, i numeri vengono tirati fuori solamente per fare per accreditare le proprie [tesi?] e il famoso deficit non deve essere più del 3% del PIL. Questo 3% dice forse è stato detto da Mitterrand perché gli piaceva il 3, ma non c’è nessun lavoro scientifico a supporto di questi numeri.

Ebbene, noi ci siamo immolati, ci siamo ammazzati, ci siamo svenati per stare per tentare di stare dietro a questi numeri e il fatto che lo Stato si spossessasse di propri asset, cioè di proprie aziende, per poter ridurre quel debito per tentare di arrivare a quel 60%, ha consentito di svendere un patrimonio pubblico anche a prezzi di veramente di liquidazione, io dico, per dirla in maniera semplice, per un piatto di lenticchie scotto, neanche dice cotto bene e non abbiamo assolutamente diminuito il debito pubblico. Anzi, di peggio perché molte volte erano delle azioni di società che rendevano, risanate nel tempo perché lo Stato le aveva comprate in situazioni, diciamo, non ottimali e le aveva ricapitalizzate, anche per mantenere l’occupazione. Attenzione, poi parleremo dell’IRI. Sono state rivendute, quindi, in bonis a un prezzo minimo, ma che rendevano, cioè dava dei rendimenti buoni e lo Stato ci ha rimesso perché il debito non è stato abbattuto. Vi ricordo che quando siamo entrati eh con i famosi criteri di Maastricht che ci hanno fatto questo gran piacere di farci sedere al tavolo al club dell’euro, nonostante il nostro rapporto debito pubblico PIL fosse superiore al 100%, mentre invece è richiesta il 60, per dire. Eh, non abbiamo abbattuto il debito e eh ci siamo spossessati dei gioielli di famiglia. Tu prima hai detto dell’IRI, vi dico l’IRI.  

Nascita dell’IRI: L’IRI, Istituto per la Ricostituzione Industriale, fu fondato dopo la crisi del ’29, vi ricordate? Nel 1929 partì il famoso venerdì nero della borsa, il Black Friday di di New York, investì praticamente tutto il mondo e per qualche anno fu dura. Molte aziende, sto parlando dell’Italia, rischiavano e hanno rischiato, anzi il fallimento. Intervenne giustamente lo Stato perché così doveva fare, soprattutto per mantenere i livelli di occupazione, altrimenti la gente stava in mezzo alla strada, c’erano dei problemi non indifferenti.  

Anzi, io vorrei raccontare un piccolo episodio negli Stati Uniti per dire come si affrontano queste crisi. Nel ’29, vi ricordate? Gente che aveva perso tutto in borsa, eccetera, aziende sull’astrico eccetera. Il governo americano si trovò nelle condizioni di intervenire a tutela dei propri cittadini che non avevano più i soldi per andare a comprarsi un pezzo di pane. Lo sapete cosa fecero? E qui fu applicata la famosa teoria keynesiana di Keynes. Eh, diedero vita a un programma di infrastrutture, cioè di investimenti, di strade, ponti incredibili, perché erano quelle attività che davano più lavoro possibile alla gente, perché per costruire un ponte, per costruire strade, costruire edifici, eccetera, ci vuole molta forza lavoro.  

Bene, anche con una distribuzione piuttosto ampia della ricchezza, però prima di poter intraprendere un lavoro del genere è necessario almeno fare il progetto. Ci vuole qualche mese, però nel frattempo gli esseri umani hanno purtroppo il difetto che mangiano almeno una volta al giorno. Come si faceva? Come hanno fatto? Ebbene, prendevano squadre di migliaia e migliaia di operai, gli facevano scavare delle buche, il giorno dopo un’altra squadra richiudeva le buche, però gli consentiva di dargli dei soldi in maniera di dare. Esatto. di dargli quei dollari che gli consentivano almeno di andarsi a comprare un pezzo di pane. Ebbene, in questo modo si sono risollevati perché poi quelle persone andavano a consumare e compravano, no? e rimettevano questo famoso moltiplicatore keynesiano, no? Rimettevano in circolo quel denaro ed è stato praticamente la fortuna. Noi in Italia abbiamo fatto l’IRI che andava a rilevare quelle aziende decotte che per la stessa cosa faceva la stessa cosa e metteva capitali, era lo Stato, stampava e metteva i soldi in maniera tale che quelle società sopravvivevano e davano il lavoro alle persone.  

Antonio Maria Rinaldi: No, ma si può dire anche quello che dico io. Allora, se Prodi con questa svendita avesse risolto un problema del debito pubblico, beh, io gli battevo le mani, gli dicevo “Bravo Romano, bravo, guarda, ti perdono anche il tiraggio del capello perché perché tu hai risolto un problema forte del debito”, cioè, ma non hai risolto. C’hai un credito dei cinque tirate dei capelli. Sei stato bravo. Come? Come? E questo lasciamelo dire, dice “Ma tu critichi l’Unione Europea?” Ma guardate che se l’Unione Europea avesse fatto cose, una ricaduta positiva per il nostro paese, tutti stavano meglio, potere d’acquisto superiore, non c’era più disoccupazione, evviva. Ma io andavo in giro vestito con la camicetta azzurra con le stelline e ti posso garantire che invece del santino di Sant’Antonio sul mio comodino, ma c’era l’immagine di Junker, della von der Leyen, di tutti questi e dicevo grazie che ci siete, bravi, vi batto le mani, pure di Prodi, ma certo, ma anche di lui se ci fosse stata una ricaduta. Però siccome ho visto che questo non è avvenuto, anzi, stiamo molto peggio. Mettete che io mi incavolo e vi dico, guardate che avete fatto.


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