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Cina: il settore dei chip in crisi esistenziale, fra recessione mondiale e dazi americani

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Il settore dei chip giapponesi è sull’orlo della disperazione dopo che Washington ha inasprito le restrizioni agli scambi di know how  nel settore, al loro commercio, all’acquisto di società USA da parte di entità cinesi e perfino all’assunzione di cittadini americani nelle aziende orientali. Ora tutte le aziende cinesi produttrici di chip si stanno preparando ad affrontare un anno difficile.

Nel 2020, quando Washington ha inserito nella lista nera decine di aziende tecnologiche cinesi, tra cui Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC) e Hikvision, ha contribuito a innescare un boom nel settore della produzione e della progettazione di chip in Cina, con le aziende che hanno cercato di soddisfare l’invito di Pechino all’autosufficienza tecnologica. Biren Technology, un’azienda di progettazione di chip, ha beneficiato di questa spinta, raccogliendo 4,7 miliardi di yuan (648,5 milioni di dollari) nei primi 18 mesi dalla sua costituzione.
Con l’ultimo divieto statunitense sui chip, il castello dell’intelligenza artificiale cinese potrebbe essere costruito sulla sabbia.

Solo l’anno scorso la Cina ha aggiunto 592 aziende di progettazione di chip, pari a circa 11 nuove start-up a settimana. Alla fine dell’anno, città cinesi focalizzate sui semiconduttori come Shanghai, Pechino, Shenzhen, Wuxi e Nanchino contavano un totale di 2.810 aziende di questo tipo.
Da allora la situazione è cambiata drasticamente. Durante un evento al summit Semicon China di questo mese, quattro su cinque dirigenti di aziende cinesi produttrici di chip hanno previsto che il 2023 sarà peggiore di quest’anno, aggiungendo che si stanno “preparando all’inverno”.
“Il prossimo anno sarà relativamente fiacco, sia dal punto di vista globale che da quello nazionale, quindi dobbiamo migliorare i nostri prodotti”, ha dichiarato Liu Erzhuang, CEO di Productive Technologies. Oltre a dare parzialmente la colpa alla geopolitica, Liu Erzhuang ha attribuito la flessione alla pandemia, all’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti e alla carenza di chip a livello mondiale, che però rischia di diventare sovrabbondanza.

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Eppure i chip sono un elemento essenziale nella strategia di espansione tecnologica di Pechino, ma il mercato rischia di passare da una situazione di scarsità estrema a una di eccessiva fornitura in un tempo brevissimo.  “Sebbene la carenza di chip si stia attenuando, il mercato globale dei semiconduttori sta entrando in un periodo di debolezza che si protrarrà fino al 2023, quando si prevede un calo del 2,5% del fatturato dei semiconduttori”, ha scritto Richard Gordon, practice vice-president di Gartner, in un rapporto di luglio. Quindi abbiamo un mercato che sta passando dalla fase di boom a quella di bust, di implosione per eccessivi investimenti che hanno effetto al momento sbagliato. Però la situazione cinese viene ad essere perfino peggiore.

Il 7 ottobre, l’Ufficio per l’Industria e la Sicurezza degli Stati Uniti, un’agenzia del Dipartimento del Commercio, ha attuato una nuova serie di controlli sulle esportazioni con l’obiettivo di limitare la capacità della Cina di ottenere chip avanzati, sviluppare e mantenere supercomputer e produrre semiconduttori avanzati per applicazioni militari, comprese le armi di distruzione di massa.
Le sanzioni, considerate le più complete e pericolose finora adottate nei confronti dell’industria cinese dei semiconduttori, fanno seguito alla promulgazione della legge statunitense Chips and Science Act, volta a sostenere la produzione di chip a livello nazionale, e alla decisione del Dipartimento del Commercio di limitare la vendita alla Cina dei chip più avanzati di intelligenza artificiale (AI) da parte di Nvidia e Advanced Micro Devices (AMD).

L’impatto è stato immediato. La cinese Biren, che si vantava di essere in grado di progettare chip più potenti di quelli di Nvidia, è stata costretta a ridurre le prestazioni del suo chip per evitare i controlli sulle esportazioni, secondo quanto riportato dal Financial Times. Biren, progettista cinese di chip che però fa produrre all’estero, ha dovuto abbassare i propri standard per evitare le sanzioni USA, e fare prodotti peggiori.

Il mantenimento delle catene di fornitura all’estero è fondamentale per le aziende cinesi di progettazione di chip, che si affidano agli impianti di produzione più avanzati gestiti da aziende come Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC). HiSilicon, l’unità di chip interna a Huawei Technologies, ha subito respinto una notizia diffusa dai media questo mese, secondo la quale sarebbe stata in grado di produrre l’avanzato chip Kirin per smartphone di Huawei nel 2023.
Anche le fabbriche di wafer e le aziende produttrici di chip, soprattutto quelle che si concentrano sui nodi avanzati, stanno affrontando l’impatto delle restrizioni. Paradossalmente quindi anche la Cina è vittima della globalizzazione e proprio in un settore estremamente delicato come i chip. 

Quindi quella che affronta la Cina nei semiconduttori è quasi una tempesta perfetta: da un lato ha enormi difficoltà nella gestione di una catena logistica integrata, dall’altro il settore di riferimento è in crisi e quindi non in sviluppo.

Quest’anno è già fallito un numero record di aziende legate ai chip. Ben 3.470 aziende che includono la parola cinese “chip” nel loro nome o ambito di attività si sono cancellate tra gennaio e agosto, superando le 3.420 aziende di questo tipo che hanno chiuso nel 2021, secondo le statistiche della piattaforma di database aziendale Qichacha.
“L’industria cinese dei semiconduttori si trova attualmente nella fase di recessione del ciclo economico”, ha dichiarato Wang Chikun, ricercatore dell’istituto di ricerca Kandong di Pechino. “Le imprese esistenti devono fare i conti con rapporti di input-output ridotti, vendite in calo, una scala di attività in diminuzione e un profitto lordo più basso”.

 


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