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Cina: fuga dai titoli di debito, che si rifugiano nel Sud-est asiatico

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Money / currency of PBOC or people's bank of china. One hundred CNY Chinese yuan bill with a flag of China. 100 rmb or renminbi, depicts Beijing economy system, public banking policy and interest rate

Gli investitori stranieri hanno venduto il debito cinese per il sesto mese consecutivo a giugno, anche se l’Asia emergente ha visto forti afflussi di fondi, secondo l’Institute of International Finance (IIF) e riportato dal SCMP.

Un totale di 1,59 miliardi di dollari è stato rimosso dal debito cinese il mese scorso, rispetto ai 4,19 miliardi di dollari di maggio, come hanno mostrato i dati preliminari IIF rilasciati giovedì. Le azioni cinesi hanno registrato a giugno afflussi per un valore di 1,93 miliardi di dollari da fondi esteri, ha affermato l’IIF, rispetto all’afflusso di 126 milioni di dollari di maggio. Quindi il problema riguarda non le società, ma il debito.

L’associazione con sede negli Stati Uniti per il settore dei servizi finanziari globali ha stimato che l’Asia emergente avrebbe  attratto 13,5 miliardi di dollari di fondi da investitori esteri a giugno, mentre l’America Latina ha raccolto 6,7 miliardi di dollari.

Lo slancio positivo dei mercati azionari nel mese di giugno ha favorito notevolmente il flusso. Questo, combinato con una prospettiva di minore inflazione nei prossimi mesi per gli Stati Uniti, dovrebbe giovare ai flussi dei mercati emergenti in generale“, ha affermato l’IIF nel suo rapporto.

La Cina ha seguito una politica monetaria diversa, quasi opposta, a quella della FED. Questa ha dovuto aumentare i propri tassi di interesse, che ora oscillano fra il 5% e il 5,25%, con 10 scatti consecutivi. La Cina ha visto sempre questa politica con diffidenza perché troppo pericolosa per la propria crescita.  Questo ha condotto a un deprezzamento dello Yuan e a conderare i titoli cinesi non più convenienti, con conseguente fuga degli investitori esteri.

Rory Green, responsabile della ricerca su Cina e Asia presso la società di ricerca londinese TS Lombard, prevede che il tasso di cambio dello yuan salirà a circa 7,35 per dollaro USA nel terzo trimestre, con una pressione al deflusso sullo yuan che dovrebbe aumentare nei prossimi mesi.

“La People’s Bank of China non cerca né di prevenire né di aumentare la debolezza dello yuan; anzi, è un gradito sottoprodotto di un’attività economica contenuta. L’intervento si concentrerà sul rallentamento piuttosto che sull’inversione del deprezzamento”.

Tu Yonghong, professore presso la School of Finance della Renmin University of China, ha dichiarato giovedì in un articolo sull’Economic Daily di proprietà statale che la banca centrale cinese dovrebbe prestare “molta attenzione agli effetti di ricaduta della politica monetaria statunitense”.

Ha anche affermato che la People’s Bank of China dovrebbe rafforzare la sua comunicazione con i mercati rispetto alle aspettative del tasso di cambio dello yuan, ampliando al contempo la profondità e l’ampiezza dei mercati offshore dello yuan.

Sebbene l’uso globale dello yuan sia aumentato dallo scorso anno, Green ha affermato che i paesi sono meno disposti a detenere la valuta a causa della mancanza di attrattiva delle attività denominate in yuan.

“L’internazionalizzazione dello yuan è ancora in una fase iniziale, ma avrà un impatto crescente [sul tasso di cambio dollaro USA-yuan]. Per ora, è un fattore da tenere d’occhio, non un fattore chiave”, ha aggiunto Green.

Se la Cina vuole veramente una diffusione dello yuan a livello mondiale e non solo per i commerci, ma anche per la finanza, dovrà essere molto più attenta e trasparente a livello di politica monetaria ed economica. Però  non è di per se necessario per assicurare il benessere della popolazione. L’economia reale può essere più che sufficiente.


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