Economia
C’è la Cina! Tra l’altro anche da un po’…
Tra le varie cause della crisi della nostra economia e conseguentemente dell’Italia dal punto di vista sociale, oltre che a quelle di “natura pubblica” come la casta, la cricca, la corruzione, la spesa pubblica improduttiva, ecc. ecc., ci sono state indicate, negli anni, una serie di cause che si potrebbero dire avere una “natura privata”, delle quali alcune dipendenti da noi ed altre no; alcuni esempi possono essere la bassa competitività e/o produttività nel settore privato, la difficoltà di accedere al credito ed i mercati emergenti. Proprio questi ultimi, negli anni recenti, sono stati indicati come modello produttivo con il quale era impossibile competere ed al quale era necessario tendere; il “motto” è stato, prendendo “l’esempio principe”: c’è la Cina!!! A parte che, senza offesa per nessuno, c’è la Cina, economicamente non vuole dire nulla, ma, visto che indicandola si voleva per lo più fare riferimento alla crescita della stessa ed ai bassi costi del lavoro – peccato che si parli sempre dei bassi costi di produzione grazie al basso costo del lavoro invece che, per esempio, dei bassi costi di produzione dovuti all’utilizzo di materiali scadenti – dovuti alla grande quantità di manodopera disponibile, i sostenitori dello spauracchio dei mercati emergenti e della Cina hanno, spesso, rincarato la dose in un modo da far apparire la Cina come una nazione arrivata recentemente nel panorama mondiale e che, avendo una popolazione oltre il miliardo e trecento milioni di persone, avrebbe potuto, con la sola domanda interna, sbaragliare qualsiasi altra economia. Per queste ragioni, il paragone con questo nuovo mercato caduto dal cielo era impossibile e ci saremmo dovuti arrendere a questa manifesta superiorità addirittura subendola!
Non possiamo però dimenticare che ci sono delle leggerissime evidenze storiche, tipo le vie della seta di romana memoria ed i viaggi, raccontati da Marco Polo ne “Il Milione”, verso la Cina ed il “Grande Cane”, che dimostrano che proprio la Cina non è il risultato di una eruzione vulcanica recente o di uno tsunami arrivato dall’Oceano Pacifico, ma che è sempre stata dove si trova adesso e che praticamente da sempre commercia, in modo maggiore o minore, con “l’occidente”. Questo si può vedere nel grafico (d’area) sottostante che descrive l’andamento della quota di PIL mondiale delle varie “civiltà” addirittura dall’anno mille.
Storia economica della Cina e delle altre maggiori potenze – quota del PIL mondiale
Come si può vedere, dall’anno mille – più o meno quando l’Italia era divisa tra Sacro Romano Impero, Stato Pontificio, Impero Bizantino e Califfato di Cordoba – la Cina (area rossa) ha avuto una quota di PIL mondiale superiore a quella attuale; e questo fino – semplifichiamo – all’esplicarsi in Europa e negli USA, dopo il 1800, degli effetti della Prima Rivoluzione Industriale. E che dire di “questa” India (area giallo scuro)?! Ma lasciamo perdere l’India, c’è la Cina! Dal XIX° secolo la quota di PIL mondiale della Cina diminuisce e ricomincia a espandersi in maniera significativa solo dopo il 1970. Quindi si, la Cina c’è e c’è sempre stata, ed in passato, un passato anche molto remoto, tra l’altro, ha avuto quote di produzione mondiale largamente superiori a quella che detiene in questo momento. E pure l’India! Pertanto, sembra abbastanza illogico richiamare ora la Cina come una ineluttabile fonte dei nostri problemi; e, soprattutto, come se fosse una nazione formatasi ultimante grazie a qualche evento naturale o politico, prima inesistente e senza produzione. Se si vuole usare la Cina come riferimento bisogna dire che in passato la stessa ha anche avuto quote di PIL mondiale superiore all’attuale. Quindi, “tecnicamente”, allora un confronto con la Cina sarebbe dovuto essere “più duro” che ora.
Detto questo, che ci sembra sufficiente per capire che, almeno di primo acchito, dire: “c’è la Cina!”, come se prima non ci fosse mai stata ha poco significato, cerchiamo di vedere come sono andate le cose ultimamente per la stessa, utilizzando, per quanto possibile, le fonti che più facilmente si possono trovare in rete. Innanzitutto, per coloro che sostengono che “i cinesi sono tanti” e, semplicemente per questo, “possono generare una grossa domanda interna”, è ovvio che la stessa sia ex sé una buona argomentazione quando la popolazione è abbondantemente al di sopra del miliardo e trecento milioni di persone; ma è anche abbastanza ovvio, però, che se la maggior parte di quelle persone guadagnano due dollari al giorno, la spinta per la domanda interna sarà nel … baratro! Ancora, se la mela non cade mai lontano dall’albero, di ovvietà in ovvietà, è anche facile notare come, per esempio, gli USA (dati trading economics) a fronte di una popolazione di circa 317 milioni di persone abbiano un PIL di 15685 miliardi di dollari, mentre la Cina, a fronte di una popolazione di 1354 milioni di persone abbia un PIL di 8230 miliardi di dollari. Gli USA con una popolazione inferiore alla Cina nell’ordine, più o meno, del miliardo di persone, hanno un PIL, ancora al momento attuale, che è quasi il doppio di quello cinese. La Cina cresce più velocemente?! Vero, anche se le stime di crescita sono state viste al ribasso (2013), ma se supereranno gli USA nel PIL, non sarà di certo domani; ma più importante, bisognerebbe valutare la sostenibilità di questa crescita visto che già nel 2008 si parlava di sospendere alcune gare delle Olimpiadi, per salvaguardare la salute degli atleti, in caso di … smog. Detto, questo, e senza poterci dilungare oltre sulla sostenibilità della crescita cinese – argomento che dovrebbe essere trattato a parte – vediamo che il Giappone, con una popolazione di 127 milioni di persone, ha un PIL (a centrali nucleari praticamente spente) di 5960 miliardi di dollari. Ad una popolazione giapponese largamente inferiore (uno a dieci – diciamo) corrisponde un “gap” tra i PIL delle rispettive nazioni molto meno rilevante. Quindi, è vero che la Cina ha enormi potenzialità, ma la produzione non è fatta solamente dalla forza lavoro o, meglio, dal lavoro a basso costo; ci sono anche altri fattori. A conferma, possiamo dare un occhio alla classifica (2008) della complessità economica – dell’osservatorio sulla complessità del centro per lo sviluppo internazionale dell’Università di Harvard, come si può vedere a fondo pagina – dove troviamo ai primi tre posti Giappone, Germania e Svizzera (poco meno di 8 milioni di abitanti per dire); mentre troviamo l’Italia al 16° posto e la Cina solo al 29° posto.
Quindi “c’è la Cina” o “i cinesi sono tanti” restano affermazioni che sono vere, ma partecipano al novero delle costatazioni piuttosto che delle “asserzioni” che hanno un “significato” economico. Invece, effettivamente quello che nessuno può contestare è che la Cina abbia un rapporto debito/PIL nettamente inferiore a quello dell’Italia e di molte altri paesi sviluppati.
Rapporto Debito/PIL della Cina
Nonostante dalla fine degli anni ’90 il rapporto debito/PIL della Cina abbia cominciato ad aumentare e nel 2010 abbia avuto un “balzo”, ad oggi resta indubitabilmente al di sotto, di molto, di quello dei paesi industrializzati. Ma determinare lo “stato” di un paese e della sua economia unicamente tramite una valutazione asettica del solo rapporto debito/PIL può essere fuorviante. Vediamo allora anche qualche altro dato come, per esempio, il debito delle imprese cinesi in percentuale del PIL.
Rapporto Debito delle imprese/PIL
Da questo punto di vista, se è vero che la Cina “primeggia” nell’avere un rapporto debito/PIL tra i più bassi, è anche vero che primeggia nell’avere uno dei rapporti debito delle imprese/PIL tra i più alti (addirittura al 151% del PIL). Come si può vedere, le imprese cinesi (colonna rossa), in rapporto al PIL, sono più indebitate di quelle di Hong Kong, Singapore, Regno Unito, USA, ecc. ecc.. Aggiungiamo ora questo ulteriore grafico che riporta l’andamento dell’alto livello del flusso di credito in Cina fino a marzo 2013.
Il flusso del credito raggiunge nuovamente alti livelli in marzo
Da questo vediamo che il credito in Cina, dopo essere diminuito, è tornato ora ai livelli del 2009 ed a livelli comunque molto superiori a quelli pre-crisi. Il rapporto debito/PIL è diminuito, mentre il debito delle imprese ed il credito sono a livelli molto alti. Dove sarà pertanto “fluito” tutto quel credito?! E visto che dove c’è un credito c’è sempre anche un debito, chi se lo sarà accollato?! La risposta può essere data dal grafico sottostante che riassume bene i grafici sopra riportati e potrebbe aiutare nella risposta delle domande appena poste.
Boom del credito post-crisi in Cina
Dal 2009 il credito governativo della Cina (parte nera nelle colonne sopra i rispettivi anni sull’asse delle ascisse) è in diminuzione; quello ai consumatori (grigio chiaro) è in leggero aumento come quello alle imprese (grigio scuro); mentre il credito a quelle che nel grafico sono chiamate “altre imprese” e nelle quali viene ricompreso lo “shadow banking” (parte bianca all’apice delle colonne) è in nettissimo aumento. Quindi pur se il rapporto debito/PIL cinese è molto basso, i numeri del suo debito privato non sembrano essere altrettanto bassi e tutto sembra essere confermato anche da un articolo della Reuters di inizio 2013 nel quale si parla del debito “mongolfiera” dell’Asia e del quale si riporta un ultimo grafico abbastanza esplicativo sulla situazione del debito “aggregato” cinese, e del suo andamento, negli ultimi anni.
Il debito della Cina alle stelle
Infine le notizie che sono arrivate dalla Cina in questi anni non sono state delle migliori. Omettendo il discorso sulla sostenibilità – che non è il tema di questo articolo – vediamo che anche i mercati finanziari non hanno lanciato segnali pienamente, ma nemmeno propriamente, rassicuranti sulla Cina. Infatti, oltre la notizia appena riportata sull’aumento del debito privato cinese, circa a metà giugno del 2013, Wall Street Italia ci informava che un’asta di titoli della potenza “export-leading” per eccellenza era andata quasi deserta e che per la Cina – forse esagerando – si sarebbe potuto prospettare un problema di liquidità. Una notizia di appena una settimana successiva, riportava di un tasso overnight cinese al 25% – non proprio a buon mercato, diciamo – mentre proprio ancora a gennaio 2014 la Reuters ci diceva che: “Il gabinetto cinese ha pubblicato le linee guida per il rafforzamento della regolamentazione del rischio del credito fuori bilancio in un nuovo tentativo di affrontare i crescenti rischi finanziari di una esplosione del debito”. Pertanto sembra che siano in atto dei tentativi di contenere gli effetti negativi proprio del credito effettuato nello “shadow banking” cinese. Tentativi che non sembrano avere successo al momento, visto che sei compagnie fiduciarie cinesi si sono esposte pesantemente verso una compagnia di carbone definita, nell’articolo dell’agenzia che ha la dato notizia, “delinquente”; con il rischio dell’aumento di una prospettiva di default per il sistema bancario ombra cinese. Fino a pochi giorni fa la situazione non era migliorata di molto visto il rischio appena scampato, ma non ancora scongiurato, di un pesante sell-off sugli emergenti. Non sembra – a chi scrive – che queste notizie parlino della Cina come di un paese del “Bengodi”; forse come un modello di concorrenza inimitabile può essere, dal lato lavoro, ma, in questo caso, a quale prezzo?! Al solito prezzo?! Quello che pagano sempre gli altri?! Per il resto la Cina sembra avere i problemi che hanno anche altri paesi e forse anche maggiori – oltre alla sostenibilità, anche finanziari – solo che nel suo caso sono nascosti dietro il velo dei parametri “mainstream” della crescita economica, guidata però da un sistema “ombra”, e di un basso rapporto debito/PIL. Indipendentemente da questo, la cosa che sembra abbastanza chiara è che la Cina e la sua situazione economica, descritte dai media d’oltre confine, sono molto differenti da quelle scimmiottate come spauracchio dalla congerie di economisti (e non) nostrani che per anni ci hanno detto: “c’è la Cina!”.
Luca Pezzotta di Economia Per I Cittadini.
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