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Boris Johnson ottiene la fiducia e rimane primo ministro, ma restano i ribelli

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Boris Johnson ha vissuto una giornata estenuante a Westminster, affrontando la più grave minaccia alla sua leadership, ma ne è uscito stanco vincitore. Il presidente della Commissione 1922, Sir Graham Brady, ha annunciato questa sera: “Posso riferire, in qualità di funzionario addetto al controllo dei voti, che sono state espresse 359 schede, nessuna scheda bianca, che il voto a favore della fiducia a Boris Johnson come leader è stato di 211 voti e che il voto contrario è stato di 148 voti. E quindi posso annunciare che il partito parlamentare ha fiducia in Boris Johnson”. Per ora Jonhson può tirare un sospiro di sollievo.

Pur avendo vinto il ballottaggio, il Primo Ministro non è ancora fuori pericolo, poiché il margine di vittoria suggerisce che i ribelli Tory potrebbero ancora mettere in discussione il mandato del loro leader in un momento successivo. 

Il Primo Ministro ha scritto ai parlamentari Tory e si è rivolto loro in una riunione privata a Westminster due ore prima dell’inizio delle votazioni. Ha ricordato ai conservatori che “sotto la mia guida” il partito ha ottenuto la più grande vittoria elettorale degli ultimi 40 anni. Ha avvertito che le scissioni dei Tory rischiano il “disastro totale” dell’ingresso dei laburisti di Sir Keir Starmer a Downing Street, sostenuti dall’SNP.

Secondo alcuni estratti del suo discorso, avrebbe : “L’unico modo in cui permetteremo che ciò accada è se fossimo così sciocchi da scendere in un inutile dibattito fratricida sul futuro del nostro partito”.

Nella sua lettera separata ai conservatori, Johnson ha dichiarato: “Stasera abbiamo la possibilità di porre fine a settimane di speculazioni mediatiche e di portare avanti questo Paese, immediatamente, come un partito unito”.

Le accuse principali a Johnson erano di carattere etico, legate alle bugie da lui dette sul Partygate, cioè sullo scandalo dei festini a Downing Street durante il lockdown per il covid-19, però poi le accuse si erano anche allargate al campo fiscale, dove il carico è il più alto degli ultimi 50 anni, e alla gestione della crisi energetica. Queste voci non sono state tacitate dalla sconfitta nel voto di fiducia, anche se per ora il ministro dalla bionda disordinata chioma può tirare un sospiro di sollievo. Comunque non è più la macchina da guerra politica che era nel 2019, in due anni ha distrutto una parte importante della propria credibilità.

 


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