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Bisogna riformare l’articolo 50 TFUE. Il meccanismo di uscita dall’Unione deve essere rivisto ed ampliato

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La recente vicenda della BREXIT e le lunghe, complesse e non ancora terminate, mostrano come  l’articolo 50 del, TFUE, che regola in teoria l’uscita di un paese dalla UE, si sia rivelato completamente inadeguato nel caso di effettiva uscita di un paese. Quindi, nell’ottica di quanto accaduto, dovremmo rivedere questo strumento e renderlo efficace a predisporre un’eventuale uscita non traumatica ma amichevole, prevedendo tutti gli eventuali casi di sua applicazione. 

Ecco l’intervento di Antonio Maria Rinaldi in commissione AFCO ieri su questo tema. 

Indubbiamente l’esperienza del recesso dalla Unione Europea da parte del Regno Unito ha fatto emergere molte disfunzionalità applicative del procedimento indicato nell’art.50 del TFUE. Inoltre va tenuto presente che l’articolo in questione prevede un accordo che regoli i rapporti futuri fra Unione e l’ex Stato membro come solo “eventuale” e inoltre:

  1. l’accordo non è, per espressa previsione, un presupposto del recesso in quanto è operativo dopo due anni dalla notifica anche in sua assenza;
  2. tale accordo eventuale non è disciplinato nei suoi contenuti ragionevoli e inderogabili in modo tale da agevolare una negoziazione che preservi gli interessi reciproci secondo la buona fede e lo spirito cooperativo che dovrebbe essere mantenuto sopra ogni altro interesse anche “di mercato” tra Paesi europei.

Non secondariamente, anche sulla citata esperienza Brexit, per quanto si possa modificare ed implementare l’art.50 (ma ciò avrebbe senso sempre e solo a condizione da rendere agevolato e cooperativo ogni attuale e futuro negoziato politico ed economico col Paese “recedente”) il suddetto articolo genera l’equivoco (contrario ai principi giuridici vigenti tra Paesi civili) che si possa recedere solo “ad nutum”, cioè come pura espressione di volontà di uno Stato-membro, e non anche in modo causale, cioè secondo i motivi più legittimi considerati nel diritto internazionale generale.

In una prospettiva in cui la salvaguardia della pace e della cooperazione in Europa rimanga l’interesse sostanziale e principale a cui tendere, ben al di là della storicità di un singolo assetto di agreement, va dunque rammentato che l’unica e insostituibile cornice normativa in termini di diritto dei trattati è, e rimane, la Convenzione di Vienna che si applica a tutti i trattati, compresi quelli su cui si fonda l’Unione Europea, in base al suo valore di diritto internazionale generale, che com’è noto, prevale come fonte superiore su qualsiasi fonte pattizia, in ogni sua previsione.

Ciò implica che l’art.50 non possa e non debba essere, (neppure sospettato di essere), contrario a tale diritto internazionale generale; e ciò in quanto ponga condizioni impossibili o oggettivamente troppo onerose per il recesso, essendo tale effetto contrario allo ius cogens, profilo che si manifesterebbe sia nel porre un vincolo de facto irretrattabile e perenne a carico di Stati democratici, sia sopprimendo per implicito le ipotesi generali di recesso causale. In particolare, sia il recesso per eccessiva onerosità sopravvenuta che quello per grave inadempimento di una parte.

Le vicende, recenti (e non), della mancata solidarietà tra i paesi dell’Unione, vietata espressamente dall’art.125 TFUE, unita all’enforcement incoerente e irrazionale della violazione dei parametri di convergenza economica, in quanto risulta limitato alle sole regole ormai palesemente opinabili sul disavanzo e sul debito pubblico, rende tale incertezza e lacunosità  del trattato (anche solo sul piano interpretativo) particolarmente pericolosa per la pace e la cooperazione nel nostro Continente.


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