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BCE, Trattati e vigilanza finanziaria: i limiti strutturali del civil law europeo di Antonio Maria Rinaldi*

BCE e Giustizia: perché l’Europa è paralizzata rispetto agli USA. L’analisi di Antonio Maria Rinaldi svela i limiti strutturali del Civil Law europeo: mentre la Fed agisce con flessibilità, la BCE e la vigilanza UE sono bloccate dal timore di contestazioni giudiziarie. Un paradosso che affida ai giudici, e non agli economisti, le sorti dei mercati.

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Il dibattito sull’evoluzione del ruolo della Banca Centrale Europea è frequentemente affrontato in chiave politica o macroeconomica, ma più raramente viene ricondotto al suo fondamento giuridico essenziale. La BCE opera infatti all’interno di un ordinamento fondato sul principio di attribuzione delle competenze, tipico del diritto dell’Unione, che condiziona in modo strutturale le modalità e i margini della sua azione, soprattutto in ambito monetario e di vigilanza finanziaria.

Ai sensi dell’articolo 5 del Trattato sull’Unione europea, l’Unione agisce esclusivamente entro i limiti delle competenze che le sono state conferite dagli Stati membri. Per quanto riguarda la BCE, tali competenze trovano fondamento principalmente nell’articolo 127 TFUE: da un lato, il paragrafo 1 definisce l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi; dall’altro, il paragrafo 6 consente il conferimento alla BCE di compiti specifici in materia di vigilanza prudenziale, successivamente disciplinati dalla normativa secondaria, in particolare dal Regolamento sul Meccanismo di Vigilanza Unico.

In questo contesto, l’azione della BCE non è semplicemente vincolata da un elenco formale di compiti, ma è costantemente esposta al rischio di contestazioni per eccesso di mandato. Ne deriva un incentivo istituzionale a incardinare ogni evoluzione operativa o strumentale entro una motivazione strettamente coerente con il dettato dei Trattati e con i criteri di proporzionalità elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Il rispetto del mandato diventa così non solo un vincolo giuridico, ma anche la principale linea di difesa dell’istituzione sul piano giudiziario.

Questo assetto produce un effetto sistemico rilevante. In presenza di rischi emergenti, innovazioni finanziarie o situazioni non pienamente contemplate al momento della redazione dei Trattati, la BCE tende a privilegiare soluzioni che possano essere chiaramente ricondotte alle competenze attribuite, piuttosto che sviluppare interpretazioni estensive o creative del mandato. Non si tratta di un’incapacità di adattamento, bensì della conseguenza di un sistema in cui l’innovazione istituzionale deve essere preventivamente “giustificabile ex post” sotto il profilo della proporzionalità e della competenza.

Il confronto con il modello statunitense mette in luce la specificità europea. La Federal Reserve opera in un contesto di common law caratterizzato da un ampio spazio di discrezionalità riconosciuto alle autorità indipendenti e da standard di sindacato giudiziale tendenzialmente deferenti, fondati sulla ragionevolezza dell’azione amministrativa (arbitrary and capricious review). In tale quadro, l’autorità di vigilanza può intervenire in modo flessibile su fenomeni nuovi o atipici, confidando in una valutazione ex post che tenga conto della complessità e dell’incertezza intrinseche all’azione regolatoria.

Nell’Unione europea, al contrario, la combinazione tra principio di attribuzione, controllo giurisdizionale incentrato sul rispetto del mandato e regimi di responsabilità spesso severi per i decisori pubblici produce, in molti ordinamenti nazionali, un effetto di prudenza eccessiva. Le autorità di vigilanza, pur formalmente titolari di poteri tecnico-discrezionali, sono frequentemente indotte a un’applicazione meccanica delle norme, per ridurre il rischio di contestazioni penali o contabili ex post.

Questo squilibrio emerge con particolare evidenza nei casi non tipizzati, ossia nelle operazioni o situazioni che non rientrano perfettamente negli schemi normativi esistenti. In tali circostanze, la vigilanza europea e nazionale tende a sospendere l’azione, a rinviare la decisione o a rifugiarsi in interpretazioni minimaliste del quadro regolatorio. Il vuoto decisionale che ne deriva viene spesso colmato dall’intervento della Magistratura, chiamata a pronunciarsi ex post su scelte che avrebbero richiesto una valutazione ex ante di natura tecnico-prudenziale.

Si realizza così un paradosso istituzionale. In un sistema formalmente fondato sul civil law e sulla centralità della norma scritta, l’evoluzione concreta delle regole avviene per via giudiziaria, attraverso decisioni casistiche che producono effetti regolatori di fatto, ma senza il coordinamento sistemico necessario in ambito finanziario. Il potere giudiziario finisce così per esercitare una funzione supplente e impropria, che né i Trattati né le leggi nazionali gli attribuiscono esplicitamente.

La soluzione non può essere ricercata né in una forzatura del mandato della BCE né in una sua politicizzazione. L’intervento necessario riguarda piuttosto il cuore giuridico del problema: il riequilibrio tra responsabilità e tutele delle autorità di vigilanza. Se si pretende che tali autorità esercitino un potere discrezionale effettivo, fondato sui principi di proporzionalità e di sana e prudente gestione anche in contesti nuovi, è indispensabile riconoscere loro una protezione adeguata contro forme di responsabilità ex post sproporzionate.

In questa prospettiva, una riforma del diritto europeo e dei diritti nazionali dovrebbe chiarire che l’esercizio motivato del potere discrezionale tecnico, quando coerente con gli obiettivi dei Trattati e con il quadro regolatorio europeo, non può essere automaticamente sindacato in sede penale o contabile. Solo così può svilupparsi una prassi amministrativa europea capace di evolvere nel tempo, interpretando il mandato senza violarlo formalmente.

In assenza di tale riequilibrio, la BCE resterà strutturalmente incentivata a una lettura prudente e statica del proprio mandato. Il rispetto dei Trattati, da garanzia di stabilità dell’ordinamento, rischia così di trasformarsi nel principale fattore di immobilismo dell’architettura finanziaria europea, in un contesto in cui la complessità dei mercati richiederebbe, al contrario, capacità di adattamento e decisione responsabile.

* ex membro della Commissione ECON del Parlamento Europeo

Parlamento Europeo Strasburgo

Domande e risposte

Perché la Federal Reserve americana riesce ad essere più rapida della BCE? La Fed opera in un sistema di Common Law che concede ampia discrezionalità alle autorità indipendenti. I giudici americani tendono a essere “deferenti” verso le scelte tecniche, valutando se l’azione è ragionevole e non arbitraria. Al contrario, la BCE è vincolata dal Civil Law e dal principio di attribuzione: ogni azione deve essere giustificata da una norma scritta precisa, rallentando i processi decisionali e limitando la capacità di adattamento a nuove crisi.

Qual è il rischio principale per i funzionari della vigilanza europea? Il rischio è la responsabilità personale, sia penale che contabile. In Europa, un funzionario che prende una decisione discrezionale in un contesto non perfettamente “tipizzato” (cioè non previsto chiaramente dalle norme) teme di subire contestazioni giudiziarie ex post. Questo timore induce a una “prudenza eccessiva” e a un’applicazione meccanica delle regole, portando spesso all’immobilismo per evitare guai giudiziari, a scapito dell’efficacia dell’azione di vigilanza.

Perché l’intervento dei giudici nell’economia è considerato un problema nel testo? L’intervento della magistratura diventa problematico quando funge da supplente a causa dell’inazione delle autorità di vigilanza. I giudici intervengono ex post, caso per caso, senza avere necessariamente la visione d’insieme o la competenza tecnica per gestire la stabilità finanziaria sistemica. Si crea così un paradosso: in un sistema di diritto scritto, le regole finiscono per essere fatte dalle sentenze, generando incertezza e mancando del necessario coordinamento economico.

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