Economia
IL BAZOOKA CHE SPARO’ CORIANDOLI
Post di Paolo Cardena’ da Vincitori e Vinti
A proposito della BCE e del possibile quantitave easing, ci sono due semplici concetti chiave da dover comprendere.
Il primo è che la BCE non puo’ finanziare direttamente i governi e questo pregiudica la possibilità da parte della BCE di comprare direttamente debiti sovrani, cioè di fare un quantitative easing sul debito pubblico; la seconda è che la BCE ha come mandato quello di garantire la stabilità dei prezzi (cioè l’inflazione posta come target al 2%) e la stabilità del sistema finanziario.
Ora, siccome la stabilità dei prezzi è minacciata da spinte deflazionistiche in molti paesi dell’area mediterranea che, peraltro, mettono a rischio anche la stabilità finanziaria dell’intera area poiché rendono i debiti pubblici difficilmente sostenibili, la BCE, in assenza di modifiche ai trattati istitutivi dell’euro e al proprio statuto, potrebbe aggirare il primo divieto (quello di comprare debiti sovrani), facendo leva sulle attribuzioni del suo mandato che è quello di garantire la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria dell’intera area.
Quindi, in altre parole, dovrebbe dire: “siccome la deflazione pregiudica la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria dell’intera area, come estrema ratio, non abbiamo alternativa che comprare debito pubblico finanziando direttamente gli stati, pur violando apertamente il principio secondo il quale la Bce non puo’ finanziare i singoli governi“. Un discorso del genere, benché reso più istituzionale da parte della BCE, è semplicemente qualcosa di logicamente improponibile da ascoltare ed è espressione delle innumerevoli contraddizioni della moneta unica. Non c’è nulla da dire: in questo, i padri fondatori dell’euro sono stati dei veri fenomeni.
Ora, ammesso che si giunga ad un QE, comprare debito pubblico direttamente dai governi vuol dire assolutamente nulla ai fini della capacità di questa azione di garantire la stabilità dei prezzi e quindi ai fini dell’aumento dell’inflazione fino al 2%.
Per il semplice motivo che l’inflazione potrà avvicinarsi al target della BCE (2%) solamente se la moneta circola nell’economia reale, cioè se potrà essere spesa da famiglie e imprese. Quindi occorre farla circolare.
Se uno stato (ancorché fallito) riceve i soldi della BCE, per fare circolare la moneta nell’economia reale (cioè tra famiglie e imprese) ha solo 2 possibilità: la prima è quella di aumentare la spesa pubblica o la spesa per investimenti, che si si traduce in reddito di qualche altro individuo e quindi in capacità di spesa che non deve essere aggredita da prelievi fiscali; la seconda è quella di diminuire le tasse, in modo che le famiglie abbiano più redditi disponibili da consumare e le imprese maggiori utili da poter reinvestire. Se le regole europee stabiliscono che le nazioni non possono spendere per via del pareggio di bilancio, non si capisce in che modo l’acquisto di debito sovrano da parte della BCE possa giungere all’economia reale e quindi contribuire ad aumentare l’inflazione verso il target della BCE. Quindi, ammesso che non prevalgano le posizioni tedesche contrarie ad un intervento di questo genere, in assenza di un alleggerimento dei vincoli di bilancio, l‘acquisto di debito sovrano da parte della BCE sarà strumentale solamente ad alimentare la bolla sul mercato obbligazionario che già quota prezzi del tutto asimmetrici rispetto alle reali condizioni di molte economie.
In molti paesi sta crescendo il consenso elettorale a sostegno di molti partiti anti euro. Proprio ieri, Tsipras, il leader del partito greco Syriza, ha affermato che se dovesse vincere le elezioni cancellerà l’austerità imposta dalla Troika e rinegozierà il debito pubblico. Al netto delle sparate di mera propaganda elettorale del leader, non mi sembra che sia un atteggiamento tanto favorevole e costruttivo ad incentivare i tedeschi ad assumere una posizione più morbida tale da favorire l’acquisto di debito dei paesi mediterranea da parte della BCE.
Sempre in Grecia, nelle ultime settimane la borsa è crollata e i tassia breve termine hanno subìto un aumento repentino, provocando l’inversione della curva dei rendimenti. I Crediti Default Swap, anch’essi in aumento, sono arrivati oltre i 900 punti.
I mercati stanno cominciando a prezzare il default della Grecia e anche l’eventuale uscita dalla moneta unica, per via della prospettiva che Syriza vinca le elezioni se si dovesse andare al voto, qualora il parlamento greco non riesca ad eleggere il nuovo Presidente.
In italia l’euroscetticismo sta conoscendo vette non immaginabili fino a qualche tempo fa. La stessa cosa accade in Francia con il partito della Le Pen e in Spagna con Podemos. Insomma, personalmente non scommetterei nulla sul fatto che l’euro tra qualche anno possa ancora esistere.
E’ chiaro, quindi, che stati cerchino delle soluzioni di compromesso finalizzate ad arginare quanto più possibile l’eventualità di doversi accollare delle perdite prodotte da un eventuale abbandono della moneta unica da parte di alcuni paesi, ammesso che l’euro possa sopravvivere ad un’ipotesi del genere. Per chi crede che la Bce possa fare un quantitative easing sui debiti sovrani nello stesso stile delle altre grandi banche centrali, la stampa riporta indiscrezioni secondo le quali i paesi deboli dell’eurozona dovrebbero in qualche modo farsi garanti degli acquisti della BCE attraverso la creazione di appositi fondi in seno alle singole banche centrali nazionali, oppure attraverso l’estensione dei fondi già esistenti (presumo l’ESM). Cioè, stati falliti dovrebbero garantire chi garantisce la solvibilità di stati falliti, che sarebbe la BCE. Il trionfo del nulla, verrebbe da dire.
Da Il Sole 24 Ore:
I costi a chi ha i vantaggi. La Bce starebbe studiando – secondo l’agenzia Reuters che cita fonti anonime – un sistema per trasferire i rischi di un eventuale quantitative easing (qe) sugli Stati più deboli, e più bisognosi del sostegno della politica monetaria, cercando così di contrastare le obiezioni della tedesca Bundesbank.L’idea sarebbe di imporre agli Stati più deboli la creazione di un fondo come accantonamento per contrastare eventuali perdite sui bond acquistati dalla Bce. Nel sistema europeo già esistono simili fondi, e si tratterebbe dunque di espanderli. In alternativa, gli acquisti – in cui si concreta il quantitative easing – potrebbero essere effettuati direttamente dalle singole banche centrali nazionali, si immagina sotto la direzione della Bce. In questo modo le eventuali perdite, se fossero di tali dimensioni da ridurre il capitale delle singole autorità monetarie di Eurolandia, sarebbero ripianate dai contribuenti dei singoli paesi.La Bce non ha commentato le indiscrezioni, che potrebbero semplicemente riguardare una delle ipotesi allo studio. Segnalano però il tentativo di dare al quantitative easing di Eurolandia – che molti analisti e investitori si attendono per il primo trimestre del 2015 – una forma tale da superare tutte le obiezioni e far spostare la discussione e i contrasti in corso dal “se fare” al “come fare” questo tipo di operazione. Il presidente Mario Draghi aveva comunque annunciato che l’esame delle modalità del qe – o, più genericamente, delle possibili nuove misure – avrebbe coinvolto anche alcune banche centrali nazionali.Il problema è la posizione dei tedeschi e di alcuni altri paesi minori. Il governatore della Bundesbank Jens Weidmann – il maggior oppositore degli acquisti di bond – resta più preoccupato della possibilità che gli Stati traggano dal quantitative easing un incentivo a indebitarsi o a rinviare le riforme che dal ribasso delle aspettative di inflazione, l’obiettivo prioritario della Banca centrale europea. Il banchiere centrale tedesco continua anche a sottolineare come il Trattato europeo vieti la “mutualizzazione” dei rischi, che devono quindi ricadere sui singoli paesi. È infatti preoccupazione costante dell’opinione pubblica tedesca che le difficoltà delle economie più deboli di Eurolandia non ricadano sul loro paese.L’idea di creare o espandere fondi per coprire il rischio ha come controindicazione il fatto che lo sforzo finanziario per questi accantonamenti potrebbe vanificare l’effetto stesso del quantitative easing. Molto dipende da come sarebbe disegnato un simile vincolo agli acquisti. Per un paese come la Grecia il mercato – basandosi sui cds, credit default swaps – indica un costo di 3,2 milioni di dollari per assicurare un debito a cinque anni da 10 milioni di euro: l’onere per partecipare al quantitative easing potrebbe quindi essere insostenibile. La stessa questione può essere forse posta per l’Italia non certo per il suo profilo di rischio – qui la stessa operazione sui cds, per lo stesso ammontare e la stessa durata costerebbe circa 150mila dollari – quanto per le dimensioni del suo debito e il ruolo che esso avrebbe in un quantitative easing su scala europea
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